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VENERDI
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Notiziario Marketpress di
Venerdì 19 Luglio 2013 |
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MILANO (CENACOLO): APERTURE STRAORDINARIE FINO A DICEMBRE GRAZIE A ENI |
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A Milano, le luci del Refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, dove Leonardo ha dipinto l’Ultima Cena, non si spegneranno nelle serate del 13 settembre, 15 novembre, 6 dicembre e 20 dicembre 2013: dalle 19,30 alle 22,30 sarà così possibile ammirare il capolavoro, meta di visitatori da tutto il mondo, grazie alle aperture straordinarie garantite da Eni. L’ingresso è libero (per prenotazioni n. 0292800360, dal lunedì al sabato, dalle 8,00 alle 18,30) secondo la formula di eccezionalità e gratuità che caratterizza il sostegno del cane a sei zampe all’arte e alla cultura. Negli eventi promossi da Eni, dopo il successo a Palazzo Marino della mostra Amore e Psiche (225mila visitatori) che ha portato a Milano la statua di Antonio Canova e il quadro Psyché et l’Amour di François Gérard, provenienti entrambi dal Museo del Louvre, si riallaccia il filo con Leonardo, già protagonista nel 2009 dell’esposizione ospitata dal Comune di Milano del dipinto San Giovanni Battista, proveniente dal museo del Louvre. Fin dai tempi di Enrico Mattei la cultura costituisce per Eni un importante terreno di iniziative attraverso cui coniugare la propria natura di grande società energetica con il tessuto sociale e culturale dei paesi in cui opera. Affermarsi come impresa che agisce per lo sviluppo di un territorio specifico è il principale obiettivo di ogni progetto. Eni è convinta infatti che favorire l’accesso alla cultura sia un valore e uno strumento di crescita per tutta la società. Per questo motivo tutti gli eventi culturali sostenuti da Eni sono oggi riconoscibili per la qualità dei contenuti e la varietà dei linguaggi e degli strumenti di approfondimento messi in campo, concepiti per formare sempre spettatori coscienti, ad ogni fascia d’età. Leonardo ha dipinto l’Ultima Cena per volere di Ludovico Maria Sforza detto il Moro, in un arco di tempo che va dal 1494 al 1497. L´artista, trattandosi di pittura su muro, non si è affidato alla tradizionale quanto resistente tecnica dell´affresco, che impone una veloce stesura del colore sull´intonaco ancora umido, ma ha voluto sperimentare un metodo innovativo che gli consentisse di intervenire sull´intonaco asciutto e, quindi, di poter tornare a più riprese sull´opera curandone ogni minimo particolare. Le intuizioni di Leonardo, purtroppo, si rivelarono sbagliate e ben presto, per un’infelice concomitanza di cause, la pittura cominciò a deteriorarsi. Nel corso dei secoli, di conseguenza, si susseguirono molti restauri nel disperato tentativo di salvare il capolavoro. Nel 1999, dopo oltre vent’anni di lavoro, si è concluso l’ultimo intervento conservativo che, grazie alla rimozione di tante ridipinture, ha riportato in luce quanto restava delle stesure originali. Le precarie condizioni del dipinto obbligano il Museo a osservare rigide regole di visita consentendo l’ingresso di 30 persone ogni 15 minuti. In un periodo in cui, al trend di disinvestimento economico risponde un aumento costante della domanda in cultura, l’impegno di Eni è quello di facilitare l’accesso e la conoscenza all’arte, al teatro, alla musica, al cinema. Info e prenotazione (gratuita ma obbligatoria): tel 02.92800360 dal lunedì al sabato dalle 8,00 alle 18,30) - http://www.cenacolovinciano.net/ |
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BOLZANO (MUSEO DEL VINO): LABORATORIO DELL’ARGILLA - 19 LUGLIO/30 AGOSTO |
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Dal 19 luglio al 30 agosto ogni venerdì orario 10 - 11.30 il Museo provinciale del vino a Caldaro proporrà un laboratorio dell’argilla per bambini dai sei anni in sù. I piccoli potranno così scoprire l’antico mestiere del vasaio. Necessaria la prenotazione. Modellare oggetti d´argilla osservando anfore e brocche in ceramica esposte al museo: è il laboratorio dell´argilla, che il Museo provinciale del vino a Caldaro organizza a partire dal prossimo 19 luglio e fino al 30 agosto ogni venerdì dalle ore 10 alle 11.30. Nella scenografica e istruttiva cornice del museo i piccoli partecipanti scopriranno così l´antico mestiere del vasaio. Le date esatte del laboratorio dell´argilla sono: 19 e 26 luglio, 2, 9, 16, 23 e 30 agosto, sempre dalle ore 10 alle 11:30. Partecipare costa 5 euro. E´ richiesta la prenotazione allo 0471 963168. Info: Museo provinciale del vino - vicolo dell´Oro 1, Caldaro - tel. 0471 963168 - www.Museo-del-vino.it |
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ESTATE AMPEZZANA ALL’INSEGNA DELL’ARTE |
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Da Mario Sironi a Carlo Ramous, da Flavio Caroli a Bernard Aikema a Claudio Spadoni, da De Pisis a Tomea, passando per l’architettura, la natura e la moda. Da luglio a ottobre, sette esposizioni e altrettanti protagonisti dell´arte di ieri e di oggi segnano il fittissimo calendario artistico di Cortina d’Ampezzo. Metti l’arte in valigia. A Cortina d’Ampezzo l’estate è sinonimo anche di musei, mostre e gallerie. Cortinaècultura –il cartellone di 12 manifestazioni per oltre 200 appuntamenti in programma da giugno a settembre, molti dei quali gratuiti – presenta agli appassionati di pittura, scultura e fotografia 7 mostre per alternare, tra un’escursione e l’arte, il piacere e il gusto del Bello. Prossima al vernissage Anemos-5 la nuova esposizione fotografica del fotoreporter Stefano Zardini (ha firmato servizi anche per Vogue e Harper’s Bazaar) alla Ikonos Art Gallery, pronta ad aprire al pubblico il 20 luglio, mentre l’inaugurazione ufficiale si terrà venerdì 23 agosto. Visitabile fino al 15 settembre è un viaggio nell’essenza più nascosta delle metropoli per cogliere l’anima invisibile di città come Roma, New York e Venezia. Trasformate in architetture viventi, respirano e vibrano, come scenografie in divenire della storia del mondo. Www.stefanozardini.com Il Museo d´Arte Moderna Mario Rimoldiospita, invece, Mario Sironi. Anni ´40 e ´50. Opere scelte delle collezioni Mario Rimoldi e Antonio Allaria. Curata da Claudio Spadoni, direttore artistico di Arte Fiera Bologna, e Alessandra de Bigontina, direttrice del Museo Rimoldi, in collaborazione con la Fondazione Ludovico degli Uberti, offre fino al 6 ottobre, l’occasione per conoscere da vicino una delle collezioni più prestigiose e complete dell’artista sassarese, tra i massimi esponenti del Novecento italiano. Inaugurazione in programma il 16 agosto alle 18.30. Sempre nelle sale del museo sarà allestita anche Carlo Ramous. Un percorso di vita, curata da Walter Patscheider. Visitabile fino al 6 ottobre – con vernissage fissato il 19 agosto, ore 18.30– racconta il variegato universo poetico di uno scultore il cui lavoro in questi ultimi anni è stato riscoperto |
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MILANO (MUSEO MINGUZZI): WILDLIFE PHOTOGRAPHER OF THE YEAR - 19 OTTOBRE/22 DICEMBRE 2013 |
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Dopo il successo della scorsa edizione, Wildlife Photographer of the Year torna al Museo Minguzzi di Milano, dal 19 ottobre al 22 dicembre 2013. Organizzata da Roberto Di Leo, presidente dell´Associazione culturale Radicediunopercento, la nuovissima mostra 2013 sarà allestita anche quest’anno nei suggestivi e antichi spazi del Museo dedicato allo scultore Luciano Minguzzi (Bologna 1911 – Milano 2004), in via Palermo 11. In esposizione le ultime 100 immagini premiate al più prestigioso concorso di fotografia naturalistica, indetto dal Natural History Museum di Londra con il Bbc Wildlife Magazine e arrivate in Italia grazie all´esclusiva concessa dal Museo londinese alla Pas Events di Torino. La mostra articolata su tre piani, consente di immergersi in un viaggio affascinante negli aspetti più incontaminati e sorprendenti della natura che gli autori hanno “catturato” grazie alla loro conoscenza dell’ambiente, alla capacità di esprimersi con la macchina fotografica, alla creatività, alla pazienza e naturalmente alla passione. Il premio si tiene ogni anno dal 1964 e in questa edizione ha visto la partecipazione di 98 paesi, con oltre 48.000 concorrenti che sono stati selezionati da una giuria di stimati esperti e fotografi naturalisti, proclamando i vincitori di ognuna delle categorie in gara. Tra le opere finaliste esposte spicca il premio più ambito, il Veolia Environnement Wildlife Photographer of the Year, assegnato al fotografo canadese Paul Nicklen per la sua fotografia Bubble-jetting emperor: un’immagine spettacolare di pinguini imperatori, nel loro caotico mondo sottomarino, scattata nel Mar di Ross, in Antartide. Paul è rimasto immobile, con le gambe bloccate nel ghiaccio, aspettando i pinguini. Improvvisamente gli uccelli sono saltati fuori dalla profondità e, con le dita congelate, il fotografo ha catturato questa incredibile immagine che, secondo il parere espresso dalla giuria, “…ti trascina per un attimo nel privato mondo dei pinguini imperatori: un caos infinito e perfettamente organizzato”. Lo stesso premio per la categoria junior, 11-14 anni, il Veolia Environnement Young Wildlife Photographer, è stato vinto dall’inglese Owen Hearn con Flight paths: una splendente aquila e sullo sfondo di un aeroplano in lontananza. La foto è stata scattata nel luogo originariamente scelto per il terzo aeroporto di Londra, nel 1960, quando le aquile rischiavano l’estinzione. L’opposizione alla costruzione dell’aeroporto e la reintroduzione delle aquile, ha fatto sì che oggi questi uccelli possano volare ancora. Degni di nota altresì i fotografi italiani che hanno ricevuto due menzioni speciali: Fortunato Gatto con la foto Celebration of a grey day, un paesaggio che ritrae la Laig Bay, in un’isola della Scozia nord-occidentale, menzionata nella categoria Paesaggi incontaminati; e Hugo Wassermann con la foto Positioning che immortala un’upupa su un tronco, nella nebbia, menzionata nella categoria Visioni creative della natura. Il percorso espositivo illustra tutte le categorie in gara > Premi speciali > Erik Hosking Award | Wildlife Photojournalist of the Year | Premio Gerald Durrell per le immagini di animali a rischio di estinzione | Premio “Il Mondo nelle nostre mani”. Categorie adulti > Animali nel loro ambiente | Comportamento animale: Uccelli | Comportamento animale: Mammiferi | Comportamento animale: animali a sangue freddo | Il mondo subacqueo | Ritratti di animali | Elogio alle piante | Natura in città | Natura in bianco e nero | Visioni creative della natura | Paesaggi incontaminati. Categorie junior > Fotografi di età compresa tra i 15-17 anni | tra gli 11-14 anni | sotto i 10 anni. Le didascalie e i testi che accompagnano le immagini raccontano sia i requisiti tecnici della fotografia sia la storia e le emozioni che hanno motivato l´autore nella realizzazione dello scatto, insieme a dati di carattere scientifico sulle specie fotografate. Eventi collaterali > Alcuni eventi collaterali organizzati da Radicediunopercento aggiungeranno ulteriore spessore culturale e scientifico all’esposizione. In programma serate-incontro con fotografi italiani professionisti, selezionati al Wildlife Photographer of the Year Competition, che illustreranno al pubblico i dettagli e le avventure della loro attività sul campo. Una mostra family friendly > Per agevolare la visita alle famiglie, l´Associazione culturale Radicediunopercento propone la promozione family friendly. Con 2 genitori (o adulti) paganti si ha diritto alla gratuità per 1 bambino / ragazzo (6-17 anni) su 2 da loro accompagnati. Catalogo > Il libro commemorativo Wildlife Photographer of the Year Portfolio 22, edito da The Natural History Museum, è curato da Rosamund Kidman Cox, con introduzione di Jim Brandenburg, uno dei fotografi di natura più rispettati al mondo, e contiene tutte le immagini del concorso. (Lingua inglese; Pagine 160; € 35,00) Info: Wildlife Photographer of the Year - Museo Minguzzi - Via Palermo 11, 20121, Milano - 19 ottobre/22 dicembre 2013 - info@wpymilano.It - info@radicediunipercento.It - www.Wpymilano.it - www.Radicediunipercento.it - Tel +39 02 36565440 |
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VENEZIA (FONDAMENTA NANI – DORSODURO 947):
OFFICINA DELLE ZATTERE - 3/31 AGOSTO 2013
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Sharing Arts Sales . In tempi di crisi anche l’arte si adegua. Saldi, saldi, saldi. Arte per tutti! Provocazione o ironia sulla situazione economica di oggi? Liberi pensiero ed opinione. Di fatto qui di certo non si vuole svendere l’arte, ma semplicemente renderla più accessibile a tutti. Nessuna propaganda tesa a raccogliere il consenso dei più, ma senso reale del ruolo dell’arte oggi e volontà di renderla più vicina allo spettatore con il suo ruolo di oggi cultural tecnologico. Ed ecco che le opere di Gianluca Perna libere da ogni orpello e scarnificate all’essenziale sembrano più adatte che mai al contesto storico odierno. Saldi dell’arte dunque, per canzonare il business e per far sì che quanto resta di prezioso e puro sia condivisibile ”a buon prezzo”. Una grossa opera suddivisa per l’occasione in tanti formati A4 in modo che quante più persone possibile siano in grado di acquisirne un pezzo e condividere con altri l’opera nella sua completezza. Un’altra che vuole una monetina per entrarci all’interno, dove all’accensione delle luci ne si può fruire il contenuto facendone anche parte integrante. E proprio come accade quando ci sono i Saldi, la settimana dal 3 all´11 agosto, ad una “commessa” il compito di far volantinaggio davanti la stazione di Venezia Santa Lucia. I foglietti provvisti di un codice serviranno ad ottenere uno sconto sulle opere se inserito questo nel sito dell´artista o presso la mostra. Una trovata in più per portare pubblico. Nell’importante contesto della Biennale di Venezia un’ occasione per poter apprezzare l’artista Gianluca Perna il cui operato è del tutto particolare. Nessuna tecnica già usata e conosciuta, ma un metodo di ricerca tutto suo, “self-supproting-art” appunto “arte autoportante”, di grande impatto visivo ed emozionale . Ottime le critiche degli esperti tra cui Vittorio Sgarbi e il maestro Giorgio Celiberti presenti alla personale che è stata ad Udine a Palazzo Kechler il 9 maggio scorso . “Perna volge la sua attenzione nei confronti della sperimentazione sulla materia e si pronuncia attraverso l’arte informale, visto che gli permette di rispondere istintivamente a esigenze personali mosse da moti “incontrollati” dell’anima” scrive la dott.Ssa Raffaella Ferrari ( critico d’arte). Gli attuali lavori dell’artista mostrano lo sviluppo e l’arrivo di un lungo percorso pittorico volto all’arte figurativa, iniziato nel lontano 1985 sotto la guida del maestro Rinaldo Nimis. Assolutamente unica la sua messa in atto e sublimazione del un nuovo concetto dell´arte-autoportante nella ”opera senza tela”. Le sue creazioni si compongono così in forme volute ed esplodono dal “non supporto” bidimensionale, per acquisire la complessità della terza dimensione. Francescacamponero@libero.it Gianluca Perna - artista E’ nato a Udine, Italia, nel 1972. Ha frequentato il liceo a Udine. Diventa un imprenditore nel 1996. Ha iniziato la sua carriera artistica in gioventù: il primo lavoro può essere considerato educativo e raffigurano paesaggi, nature morte, cavalli, realizzati in vernice. Poi, dopo un´estate di studio presso il maestro Rinaldo Nimis nel 1985, gli stessi soggetti sono registrati in acrilico su tela. Per molti anni, dal 1987 al 2011, non produce nulla. In questo periodo si dedicò con grande passione di essere un imprenditore nel settore della ristorazione, prima aprendo tre ristoranti e ora nel campo della sicurezza sul lavoro anche fondando un´associazione di datori di lavoro, Assomicroimprese. Trova l´ispirazione poi (nel 2011) e viene portato alla espressione del concetto astratto senza tela, in maniera del tutto innovativo e allo stesso tempo decisamente soggettivo. Domenico Alfredo Pasolino – art director evento Critico d´arte internazionale- esperto d´arte moderna, National Gallery of Art-washington (U.s.a.), Istituto Italiano di Cultura di Washington- Circolo Italiano di New York- 2the Corps of Volunteers of Assistance and of Peace"(state California), Intemationale Sankt-lukas (1475)Akademie(bamberg-west-germany), Museo Governativo d’Arte Moderna- Valletta-malta, Direttore artistico periodico Cultura, Direttore artistico Centro Esposizionipalazzo Barberini, Accademia Inter.le d’Arte e Cultura “I Micenei” Reggio Calabria, Direttivo Art Action” Novara, Direttivo “Il Sistina tra teatro e arte” Roma, Direttivo Premio Internazionale dell’Arte “Fidia” Roma |
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PADOVA (CENTRO CULTURALE ALTINATE SAN GAETANO): ANTONIETTA RAPHAëL E LE ARTISTE EBREE DEL NOVECENTO |
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La mostra è promossa dal Comune di Padova, Assessorato alla Cultura – Settore Attività Culturali, e sostenuta dalla Comunità Ebraica di Padova, ed è allestita negli spazi espositivi del Centro Culturale Altinate San Gaetano. “L´amministrazione comunale ha accolto con slancio l´idea di allestire una grande e ricca mostra in occasione della Giornata europea della Cultura Ebraica, afferma l´Assessore alla Cultura, Andrea Colasio. La mostra offre lo spunto per riflettere sull´identità di genere, sullo spazio e ruolo della donna nella tradizione ebraica e, più in generale, per favorire la conoscenza e la comprensione di una realtà come quella della Comunità Ebraica, da anni ben radicata sul territorio cittadino”. L´esposizione presenta, intorno a una protagonista come Antonietta Raphaël, altre sette importanti artiste ebree del Novecento, delineando così una storia dell’arte italiana in un´ottica prima di tutto femminile e poi specificamente ebraica. L´iniziativa intende dare “il giusto risalto a quelle esperienze femminili che sono state in grado di trasformare una condizione di minorità sociale in una ragione di affermazione, di indipendenza creativa, tali da valorizzare sia le loro esistenze che la vita culturale del nostro paese”. “Se artisti quali Modigliani, Cavaglieri o Cagli sono stati ampiamente studiati e rappresentati anche al grande pubblico, artiste come Antonietta Raphaël o Adriana Pincherle sono figure di secondo piano nel mondo artistico contemporaneo o per lo meno non ancora abbastanza conosciute, afferma Marina Bakos, che cura l’esposizione insieme a Virginia Baradel. La risonanza della voce femminile, nella prima metà del Novecento, è in generale molto limitata, e ciò vale ancor più per le donne ebree. Penalizzate dall’appartenenza ad una minoranza che di per sé ne condiziona l´emergere sulla scena culturale, esse si vedono accomunate alle sorti delle loro contemporanee non ebree dal pregiudizio, tanto infondato quanto radicato, che l’uomo debba essere il solo depositario della vera professionalità; dall’altro, il ruolo che esse hanno ricoperto nell’arco dei secoli in seno all’ebraismo, le porta ad una posizione maggiormente defilata nell’ambito sociale e, viceversa, centrale nella realtà famigliare. Non per questo esse furono assenti o esitanti nell’assumere con la massima competenza iniziative di primo piano sulla scena culturale e artistica. Anche perché, in seno alla tradizione ebraica, il valore della cultura è basilare nella formazione individuale e collettiva. Valga per tutti l’esempio di Margherita Sarfatti, che leggeva i classici romantici nelle lingue originali (Goethe in tedesco, Ruskin in inglese e Stendhal in francese) e all’inizio del ‘900 era già apprezzata giornalista d’arte, destinata a diventare regista indiscussa (e mal tollerata dagli apparati politici del regime) della fondamentale stagione del Novecento Italiano. Plurilinguismo e pluriculturalismo sono valori che contraddistinguono un’attitudine della conoscenza prensile e libera da pregiudizi, propria anche di un’altra protagonista sulla scena artistica tra le due guerre: Antonietta Raphae?l, pittrice e scultrice di grande valore, artefice della Scuola romana di via Cavour. Pure l’indagine di realtà a noi più vicine, come quella veneziana, ci regala un tessuto denso di presenze femminili dalla storia romanticamente affascinante (come fu quella di Alis Levi) o più quietamente familiare (come fu quella di Gabriella Oreffice). Ma al di là della comunanza di genere, gli artisti ebrei del Novecento condividevano l’appartenenza alle classi medio-alte e alla élite culturale. Concepirono un’arte variamente declinata: alcuni, intrinsecamente latina e mediterranea (volta ad esaltare i miti di una grandezza nazionale), altri, attenta agli sviluppi dell’avanguardia europea, per riaffermare tutta la libertà creativa insita nel liberalismo italiano. Mediando continuamente tra la vita pubblica e la vita privata, tra l’identità religiosa e quella nazionale, essi realizzarono un operato sostanzialmente legato e concorde a quello che andava consolidandosi sulla scena della cultura europea contemporanea”. In mostra, la Raphaël sarà presente con una ventina di selezionatissime opere, quasi una piccola, attenta monografica. Intorno a questo nucleo, le altre sette artiste saranno documentate ciascuna con una decina di opere di particolare rilievo. A comporre un´indagine mai così organicamente sviluppata in Italia, prima d´ora. Info: Comune di Padova – Settore Attività Culturali - Tel. 049 8204529 – donolatol@comune.Padova.it - www.Padovacultura.padovanet.it ; Comunità Ebraica di Padova - Tel. 049 8751106 - cebra.Pd@tin.it |
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BRUFA: MARCO MARIUCCI INAUGURA LA 27A EDIZIONE DI “SCULTORI A BRUFA, LA STRADA DEL VINO E DELL´ARTE” - INAUGURAZIONE OPERA PERMANENTE: 20 AGOSTO 2013, ORE 18.30 - INIZIATIVA NELL’AMBITO DI “BRUFA IN FESTA” - 20 AGOSTO/1 SETTEMBRE 2013
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Martedì 20 Agosto 2013, alle ore 18.30, a Brufa (Pg), presso il “Giardino del Vino”, si terrà la cerimonia d’inaugurazione dell’opera permanente della scultore Marco Mariucci, artista invitato dalla Pro Loco della frazione del Comune di Torgiano, per festeggiare la 27a edizione di “Scultori A Brufa. La Strada Del Vino E Dell’arte”. “L’uomo Di Brufa” è il titolo che l’artista ha dato all’opera che misura 4 metri e mezzo circa ed è in pietra serena. Sarà collocata nel “Parco delle Sculture”, collina adiacente alla Chiesa parrocchiale, con vista su Assisi, città della Pace. Il bozzetto di tale scultura fu ideato nel 1997, quando Marco Mariucci fu invitato a “Brufartegiovani”, la sezione dedicata ai giovani scultori. L’artista allora motivò il progetto de “L’uomo di Brufa” come monumento alla tradizione contadina del territorio; oggi, nella maturità, vuole essere il simbolo universale del lavoro che nobilita. Il contadino, scolpito in pietra serena è colto nell’atto di ripararsi dal vento grazie al suo mantello, scende ad est, verso il paese, nel ritorno a casa dopo la faticosa giornata di lavoro. La figura è completamente ammantata e come il Balzac di Rodin, l´unica parte visibile è la testa che si innalza orgogliosa al cielo. Il mantello mina il realismo formale e indiscusso dello scultore che in questa opera progetta, in modo quasi astratto, l’emblematica rappresentazione del lavoratore della terra che trasforma la propria prostrazione nel pane quotidiano. A proposito della sua scultura Mariucci afferma: “La fatica dell’uomo è il segno dell’antica disobbedienza, traccia tangibile di una sofferenza che se compiuta riabilita. Si, il lavoro compiuto nel solco dell’obbedienza all’impegno morale e civile, etico e religioso, forgia l’uomo alla vita autentica, quella in cui l’amore fa sopportare il sacrificio del sudore, perché trova piena realizzazione nel risultato che è favorevolmente manifesto a tutti. Così forse non esiste figura più emblematica di quella del lavoratore della terra, che trasforma la propria prostrazione nel pane quotidiano. In questa ottica la scultura deve incarnare l’aspetto più autentico di questa figura del coltivatore. Deve svilupparsi dal terreno ma imporsi su di esso nel contempo. Deve giganteggiare ma allo stesso tempo mostrare tutta la sua vulnerabile fragilità, perché l’uomo è straordinariamente grande sia pur nella sua immensa precarietà”. Claudia Bottini, storica dell’arte e autrice del testo critico nel catalogo stampato per l’occasione, afferma: “Il perugino Marco Mariucci in questi anni è diventato famoso, per la sua arte sacra: si ricorda il suo crocifisso ligneo, il Corpus Domini presentato con successo anche in Francia; ma anche per opere provocatorie come la monumentale Staffetta, esposta nel 2011 alla Biennale di Venezia, padiglione Umbria. Mariucci è diventato anche un insegnante all’Istituto d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Perugia. Un “maestro”, non soltanto in senso creativo, per il livello artistico delle sue opere, ma anche in senso didattico. L’artista, infatti, crede nel ruolo sociale dell´arte, alla capacità di persuasione delle immagini che commuovono. Mariucci, con i suoi temi e il suo creare, sembra nutrito di una grandezza antica, la stessa che fu espressa plasticamente dai Pisano nella decorazione della Fontana Maggiore di Perugia, opera che per la prima volta contemplò un programma enciclopedico – allegorico con temi religiosi, frammisti a simbologie politiche, agrarie e ad ammonimenti di etica civica. Si può dire quindi che, con quest’opera, Mariucci, entrerà a far parte in qualche modo di questo sapere enciclopedico – allegorico del nostro patrimonio artistico, immortalato nella pietra, e sarà ricordato dalle generazioni successive”. Oltre la scultura permanente, fino al 1° Settembre 2013, presso la Sala polivalente comunale di Brufa, si potrà visitare una mostra con alcune opere dell’artista. Massimo Fico, nuovo Presidente della Pro Loco Brufa, dichiara: “Il viaggio di Scultori a Brufa 2013 approda nuovamente al figurativo classico, senza alcuna pregiudiziale tradizionalista o nostalgica, perseguendo un intento di riappropriazione, non tanto dell´essenza della manifestazione, ormai proiettata su orizzonti di apertura e condivisione universale, ma dell´idea originaria di scelta e autoconsapevolezza interna alla comunità di appartenenza: essere consapevoli dello sviluppo storico e spirituale di una manifestazione vuol dire comprenderne appieno il senso più profondo, riaffermandolo con rinnovata carica ideale e pregnanza di significato”. La manifestazione, promossa ed organizzata dalla Pro Loco di Brufa, è in collaborazione e con il patrocinio del Comune di Torgiano, Regione Umbria, Provincia di Perugia e Perugia 2019. “Scultori A Brufa, La Strada Del Vino E Dell´arte” fu ideata dalla Pro Loco di Brufa nel 1987: invitando uno scultore all’anno ad esporre i propri lavori per le strade che dominano i vigneti e le piazzette del borgo e acquisendo un’opera per ciascun artista, è arrivata alla 27a edizione con risultati entusiasmanti. Oramai, durante tutto l’anno, molti turisti e collezionisti arrivano a Brufa per visitare le sculture all’aperto in permanenza e per il mondo dell’arte l’iniziativa è un appuntamento consolidato. In questo paesaggio sono state inserite le sculture degli artisti: Massimo Pierucci, Marcello Sforna, Mario Pizzoni, Agapito Miniucchi, Giuliano Giuman, Aurelio De Felice, Bruno Liberatore, Nino Caruso, Loreno Sguanci, Umberto Mastroianni, Mirta Carroli, Carlo Lorenzetti, Joaquín Roca-rey, Nicola Carrino, Giuliano Giuliani, Gino Marotta, Eliseo Mattiacci, Mauro Staccioli, Valeriano Trubbiani, Pietro Cascella, Teodosio Magnoni, Federico Brook, Umberto Corsucci, Ettore Consolazione, Beverly Pepper, Federica Marangoni. Brufa è un piccolo centro del Comune di Torgiano, sulle cui colline sono situati i vigneti della prestigiosa produzione enologica torgianese; domina la piana del Tevere e la pianura di Assisi fino a Foligno. Fa parte della dorsale Torgiano - Brufa - Miralduolo - Torgiano, dove si sviluppa “La Strada del Vino e dell’Arte”. Da sottolineare anche che, sabato 24 agosto prossimo, sempre alle 18.30, si terrà la cerimonia d’inaugurazione della 16a edizione di Brufarte Giovani, la sezione dedicata ai giovani scultori. “Scultori a Brufa” e “Brufartegiovani” sono nell’ambito della 45a edizione di “Brufa in Festa”, che si tiene dal 20 Agosto al 1° Settembre 2013. Storia Di Brufaii centro abitato di Brufa si trova in posizione strategica su un colle di circa 300 m slm fra la pianura del Tevere e la piana di Assisi. Nel territorio è attestata la presenza romana ed etrusca da numerosi rinvenimenti. Tra Xii e Xiii secolo l’intera area è interessata da un notevole riassetto urbanistico promosso dal comune di Perugia nell’ambito di un progetto di costituzione e consolidamento del proprio territorio, indirizzato alla difesa dei confini e all’incremento demografico; infatti proprio la costituzione dei centri di Torgiano e Brufa, ora citato come Castel Grifone, avvenuta nel 1274 e nel 1276 conferma questa volontà di fortificare il confine con il territorio di Assisi caratterizzato fino alla metà del Duecento solo dalla presenza di ville. Il territorio di Torgiano e in particolare Castel Grifone sono ricordati per un´importante battaglia combattuta nel 1367 fra le truppe del Papa Urbano V, guidate dal famoso capitano Giovanni Acuto (John Hawkwood), e le milizie del comune di Perugia guidate dall´Anichino; lo scontro fu fatale per Perugia che perse il dominio dell’Umbria. Nel 1415, prigioniero in una torre del castello, Giovanni da Capestrano ebbe la visione di San Francesco che lo spinse sulla via della santità. La storia del castello di Brufa si lega, nella seconda metà del Milleseicento, a quella di Andrea Angelini Bontempi, musicista, architetto, pittore, letterato, uomo di grande cultura e di grande ingegnosità, che a Brufa aveva acquistato fabbricati e terreni; qui morì nel 1705 e fu sepolto nella chiesa dei S.s. Cosma e Damiano da lui stesso fatta edificare nel castello; la chiesina è andata distrutta e le spoglie sono state trasferite nella chiesa principale dedicata al patrono del paese S. Ermete che si trova all’esterno della cinta muraria. La chiesa è già menzionata nel 1568 quando il vescovo Della Corgna fa trasferire qui il fonte battesimale e venne edificata su un terreno di proprietà dei Cavalieri di Malta che ne conserverà il diritto di patronato fino al 1925. Accanto alla chiesa nel 1896 viene fatto erigere il campanile alto 25 metri. Notizie Utili Sede dell’opera permanente di Marco Mariucci: “Parco delle Sculture”, collina adiacente alla Chiesa parrocchiale, con vista su Assisi, città della Pace. Sede mostra delle opere di Mariucci: Sala polivalente comunale a Brufa (Via del Pozzetto, di fronte la sede della Pro Loco) - dal 20 Agosto al 1° Settembre 2013 Orario mostra: dalle 18 alle 24 Ingresso gratuito Informazioni al pubblico: Pro Loco di Brufa - Tel. 075 9889208 – www.Brufa.net Comune di Torgiano - Tel. 075 988601 – www.Comune.torgiano.pg.it Provincia di Perugia - Tel. 075 3681218 – www.Provincia.perugia.it |
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REGGIO EMILIA (FONDAZIONE PALAZZO MAGNANI): UN’AMPIA MOSTRA ANTOLOGICA E UN CICLO DI GRANDI CONFERENZE DEDICATE A MAURITS CORNELIS ESCHER - 130 OPERE PER CELEBRARE IL GENIO CHE HA SAPUTO SEDURRE PERSONE COMUNI E, ALLO STESSO TEMPO, MATEMATICI, ARCHITETTI, FINI INTELLETTUALI |
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L’esposizione promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia è curata da un Comitato scientifico d’eccezione coordinato da Piergiorgio Odifreddi - logico matematico di fama internazionale -, e composto da Marco Bussagli - saggista, storico dell’arte, docente di prima fascia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma -, da Federico Giudiceandrea - collezionista e studioso di Escher - e da Luigi Grasselli - matematico, docente e pro-rettore dell´Università di Modena e Reggio Emilia. La mostra presenta la produzione dell´incisore e grafico olandese, dai suoi esordi alla maturità, raccogliendo ben 130 opere provenienti da prestigiosi musei, biblioteche e istituzioni nazionali – tra i quali la Galleria d’Arte Moderna di Roma, la Fondazione Wolfsoniana di Genova ecc. - oltre che da importanti collezioni private. A Palazzo Magnani saranno riunite xilografie e mezzetinte che tendono a presentare le costruzioni di mondi impossibili, le esplorazioni dell´infinito, le tassellature del piano e dello spazio, i motivi a geometrie interconnesse che cambiano gradualmente in forme via via differenti. “...Con le mie stampe, cerco di testimoniare che viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza forma, come sembra talvolta. I miei soggetti sono spesso anche giocosi: non posso esimermi dallo scherzare con le nostre inconfutabili certezze. Per esempio, è assai piacevole mescolare sapientemente la bidimensionalità con la tridimensionalità, la superficie piana con lo spazio, e divertirsi con la gravità... E’ piacevole osservare che parecchie persone sembrano gradire questo tipo di giocosità, senza paura di cambiare opinione su realtà solide come rocce.” Ed ecco quindi le prime ricerche testimoniate da opere come Ex libris (1922), Scarabei (1935); le grafiche suggestionate dai paesaggi italiani Tropea, Santa Severina (1931) dove Escher struttura lo spazio; Metamorfosi Ii (1940) una delle più lunghe xilografie a quattro colori mai realizzate per narrare una storia per immagini, in cui una scena conduce a quella successiva attraverso una sottile e graduale mutazione delle forme; le figure impossibili di Su e giù (1947) e di Belvedere (1958); le straordinarie tensioni dinamiche tra figura e sfondo nei fogli come Pesce (1963). Accanto alle sue celebri incisioni – in mostra capolavori assoluti come Tre sfere I (1945), Mani che disegnano (1948), Relatività (1953), Convesso e concavo (1955), Nastro di Möbius Ii (1963) – saranno presentati anche numerosi disegni, documenti, filmati e interviste all’artista che mirano a sottolineare il ruolo di primo piano che egli ha svolto nel panorama storico artistico sia del suo tempo che successivo. Una sezione di mostra sarà dedicata al confronto della produzione di Escher con opere di altri importanti autori – ispiratori, coevi e prosecutori – per comprendere come le scelte di Escher siano in consonanza con una visione artistica che attraversa i secoli, con una consapevolezza maggiore o minore che, talora, risponde ad esigenze diverse, ma che parte dal Medioevo, interseca Dürer, gli spazi dilatati di Piranesi, passa attraverso le linee armoniose del Liberty (Secessione Viennese, Koloman Moser) e si appunta sulle avanguardie del Cubismo, del Futurismo e del Surrealismo (Dalì, Balla). Se la grandezza di un artista si misura anche dalla capacità d’influire su altri artisti, come pure sulla società circostante, Escher è stato artista sommo. La sua arte è uscita dal torchio del suo studio per trasformarsi in scatole da regalo, in francobolli, in biglietti d’auguri; è entrata nel mondo dei fumetti ed è finita sulle copertine dei long-playing, come si chiamavano a quell’epoca i 33 giri incisi dai grandi della musica pop. Non basta, però. La grande arte di Escher ha influito più o meno direttamente su altre figure di rilievo dell’arte del Novecento, come Victor Vasarely, il principale esponente dell’Optical Art, Lucio Saffaro ecc. Ha contratto un debito di creatività con Maurits Escher perfino un pittore americano come il dirompente Keith Haring. La sezione illustra con dovizia di materiali e una ventina di opere questi aspetti dell’arte di Escher per restituire al visitatore la giusta dimensione culturale ricoperta dell’artista olandese. La mostra è inoltre concepita come uno strumento e una “macchina didattica” che consente di entrare “dentro” la creatività di questo singolarissimo artista. Suggestive installazioni immergeranno dunque il visitatore nel magico modo di Escher. E’ evidente, e molto indagato, il rapporto che Escher ebbe con “il mondo dei numeri” – intendendo per tale quello della geometria (euclidea e non) e della matematica. Non meno intrigante è la sua ricerca su spazio reale e spazio virtuale, ovvero sul come “ingannare la prospettiva”. Infine, ma non ultima, la conoscenza che Escher dimostra delle leggi della percezione visiva messe in luce dalle ricerche della Gestalt. Tutte possibili chiavi di lettura, certo non le uniche, per comprendere l’universo creativo di un artista complesso che, partendo da quelle premesse, attinse a piene mani a vari linguaggi artistici, mirabilmente fusi insieme in un nuovo ed originalissimo percorso che ancora ci emoziona e che costituisce un unicum nel panorama della Storia dell’Arte di tutti i tempi. Accompagna la mostra un ricco catalogo con testi di Piergiorgio Odifreddi, Marco Bussagli, Federico Giudiceandrea e Luigi Grasselli e accurate schede delle opere in mostra. --- Per approfondire a tutto tondo l’autore la Fondazione Palazzo Magnani in collaborazione con l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia promuove un Ciclo Di Grandi Conferenze condotte da esperti di altissimo profilo, unitamente ai Curatori, al Comitato Scientifico della mostra. Venerdì 11 ottobre 2013 ore 17.30 – Aula Magna Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Via Allegri 9 Reggio Emilia “La forma della simmetria: dai mosaici dell´Alhambra ai mondi di Escher” Relatori: Prorettore Luigi Grasselli (matematico) e il Prof. Antonio F. Costa Gonzáles (matematico). Venerdì 8 novembre 2013 ore 17.30 – Aula Magna Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Via Allegri 9 Reggio Emilia “Escher: le due facce del genio, fra matematica e storia dell´arte” Conversazione sul rapporto arte-scienza. Relatori: Piergiorgio Odifreddi (logico matematico) e Marco Bussagli (storico dell’arte) (data in corso di definizione) ore 17.30 – Aula Magna Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Via Allegri 9 Reggio Emilia “Escher visto da vicino. L´uomo e l´artista nel racconto di un appassionato collezionista” Relatore: Ing. Federico Giudiceandrea --- Maurits Cornelis Escher. La vita Nacque il 17 giugno 1898 a Leeuwarden ma crebbe nella città di Arnhem con quattro fratelli. Mauk, come venne soprannominato, prese da ragazzo lezioni di carpenteria e sebbene non fosse particolarmente brillante in matematica e scienze, assimilò dal padre ingegnere l’approccio metodologico dello scienziato. Una delle sue materie preferite fu subito il disegno al quale si dedicò durante gli studi alla Scuola di Architettura e Arti Decorative di Haarlem. Fu l’incontro con de Mesquita a stimolare in Escher l’interesse per la tecnica xilografica e le sue possibili sperimentazioni nella resa di effetti chiaroscurali e pittorici di grande raffinatezza. Al 1922 risale la sua visita a Firenze (primo di una serie di viaggi tra la Toscana e il sud d’Italia) e a Granada (dove visitò lo splendido palazzo di Alhambra) dai quali colse dettagli architettonici, decorativi e particolari inusuali che gli avrebbero fornito spunti per le sue composizioni. Nel 1935 si trasferì in Svizzera. E’ a partire dal 1937 che si osserva un profondo cambiamento: perde l’interesse per il mondo visibile, per la natura e l’architettura concentrandosi sulle proprie “visioni interiori” e realizzando un corpus significativo di straordinari giochi ottici, prospettive invertite, paesaggi illusionistici tra i più famosi. Trasferitosi nel 1941 con tutta la sua famiglia in Olanda continuò a lavorare intensamente fondendo le molteplici fonti di ispirazione che traeva dai suoi interessi (psicologia, matematica, poesia, fantascienza). Morì a Laren nel 1972. --- Mostra a cura di Marco Bussagli, Federico Giudiceandrea, Luigi Grasselli. Coordinatore scientifico Pier Giorgio Odifreddi. Promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani con la partecipazione della Provincia di Reggio Emilia, dell’Università di Modena e Reggio Emilia e della Fondazione Cassa Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori, con il contributo di Landi Renzo spa, Ccpl Reggio Emilia, Schiatti Class. Info e prenotazioni: Fondazione Palazzo Magnani - Corso Garibaldi 29, 42121, Reggio Emilia - Tel. 0522 454437 – 444446 - info@palazzomagnani.It - www.Palazzomagnani.it |
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ROMA (ART CORE GALLERY): INTIME OFFTIME - LA PRIMA MOSTRA DI FEDERICO ANNICCHIARICO - QUINDICI SCATTI INDAGANO L’INTIMA RELAZIONE TRA SOGGETTO E OGGETTO, TRA UOMO E SPAZIO, COLTA DALL’OCCHIO DISCRETO DEL MEZZO FOTOGRAFICO - DAL 23 LUGLIO AL 10 SETTEMBRE |
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Immagini conoscitive, fotografie come documenti personali dell’anima, essenza dell’intimo in un tempo definito dallo scatto. Così si presenta la prima mostra di Federico Annicchiarico dal titolo Intime Offitime, 15 scatti tra Bruxelles, Roma, Genova, Alberobello, Brindisi che indagano l’intima relazione tra soggetto e oggetto, tra uomo e spazio, colta dall´occhio discreto del mezzo fotografico. Saranno gli splendidi spazi dell’Art Core Gallery (in via dei Marrucini 1), nello storico quartiere di San Lorenzo a Roma, ad ospitare le fotografie di Federico, dal 23 luglio al 10 settembre, nell’ambito della seconda edizione della manifestazione Crosswise! L’evento è ideato ed organizzato dalla Fondazione Volume, nata con la volontà di coniugare una molteplicità di linguaggi, creando un luogo di incontro e comunicazione fra differenti ambiti artistici. La prima mostra di Federico Annicchiarico Intime Offitime si apre con la sua ricerca intorno all’uomo e alla sua relazione con la realtà. Per contestualizzare gli elementi nella loro natura, il fotografo non costruisce scene, non ricorre alla finzione, ma osserva il vissuto. Emerge una lettura del tutto personale dell’elemento umano e la volontà di utilizzare la fotografia come traccia tangibile di presenza. Lo scatto cristallizza l’attimo nel tempo. Il fotografo diventa il narratore di un racconto privato, di realtà, ambienti, dimensioni luogo-temporali pienamente vissute. Le immagini rivelano le sfumature che il suo obiettivo ha saputo cogliere, con tutta la possibile empatia, l’estrema sensibilità e l´equilibrio formale. La volontà di cogliere la vita sulla base immediata di un sentire fisico e mentale spinge Federico a lavorare trasversalmente tra cinema e fotografia. Questi linguaggi si fondono nelle sue immagini, rivelando la dimensione cinematografica verso la quale lo sguardo dell´autore tende, evidente nelle inquadrature e nella scelta di punti di vista. Talvolta lo scatto non definisce i limiti spaziali di ciò che si riprende ma ne allarga i confini. L’interesse è infatti fermare il movimento per narrare l’anima di un’azione. L’immagine fissa e il movimento di un suono possibile. Cosimo Terlizzi, regista e amico di Federico accoglie il suo invito per realizzare, durante il taglio del nastro (23 luglio, ore 20, Art Core Gallery, Roma) un’opera dedicata alla sua selezione fotografica. Terlizzi compone "panoramico", una serie di tracce sonore dedicate ad ogni immagine proposta, proprio come farebbe un fonico di presa diretta, con la sola eccezione che l’artista, non presente al momento dello scatto, ne trae una personalissima suggestione, dando vita sonora a dei fotogrammi altrimenti muti. Questa edizione vede protagonista la fotografia, in un ciclo di appuntamenti che indaga le differenti declinazioni della ricerca contemporanea, dalla fotografia di reportage e documentaria, fino ai più sperimentali progetti di artisti emergenti. Ad ampliare gli intenti del ciclo di mostre, un autore sarà invitato a riflettere sul lavoro del fotografo in mostra, attraverso una composizione letteraria che accompagnerà le immagini, raccontandole, allargandone lo spazio visivo e creando uno stimolo verso differenti punti di vista. Info: Art Core Gallery - via dei Marrucini 1/1a, Roma - www.Fondazionevolume.com - www.Facebook.com/fondazionevolume - www.Artcoregallery.it - www.Facebook.com/artcoregallery.sanlorenzo |
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PISA (MUSEO DI SAN MATTEO): SHERAZADE DI FRANGI
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Notte dopo notte, per Mille e una notte, Sherazade desta l’attenzione del suo re raccontandogli le sue storie, sospendendole al loro concludersi per rinviare il finale alla notte successiva. Così le opere di Giovanni Frangi penetrano gli ambienti austeri del San Matteo di Pisa, lambiscono i capolavori del Medio Evo e del Rinascimento che qui sono custoditi, creando l’attesa del dopo, conducendo il visitatore lungo un percorso dove inizio e fine coincidono. Per questa sua importante mostra-istallazione site specific, Frangi ha creato nuove creature, traendole dalla natura: tronchi, sassi, boschi. Guardati a vista dai grandi Crocefissi, dalle Sacre Passioni, dai fondi ori del San Matteo, museo certo tra i più ricchi e suggestivi d’Italia. Sherazade è una mostra promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Artistici, Storici ed Etnoantropologici per le province di Pisa e Livorno, Museo nazionale di San Matteo, a cura di Dario Matteoni e Massimo Recalcati. Quello della natura è un tema ricorrente nell’opera di Frangi. Fin dai suoi esordi, il percorso dell’artista milanese si è concentrato nell’indagare il mondo naturale in molti suoi aspetti particolari e, all’interno di quei confini, Frangi ha sempre trovato la sua ispirazione. L’adesione alla realtà lo porta a ricreare coi mezzi diversi una realtà trasfigurata che è tipica della sua cifra espressiva, utilizzando un movimento lento di avvicinamento al dato naturale e in parallelo a un suo allontanamento fantastico . Il dialogo con le opere e con la struttura architettonica del Museo di San Matteo diventa l’elemento determinante di questa esposizione in cui interagiscono lavori degli anni passati con alcuni recenti. Qui Sherazade, che da il titolo alla mostra, è una scultura in cui una forma di un tronco, diventato rosa, sembra strisciare e muoversi sul pavimento a farsi strada tra i capolavori del San Matteo. Come altre sculture serpente, alcune in gommapiuma o in gesso dipinto o altre ancora in poliuretano rigido, “reperti” che conducono il visitatore, alla stregua dei sassi di Pollicino, in un percorso di andata e ritorno senza soluzione di continuità. Passando per un ambiente dove grandi dipinti di boschi cupi, cresciuti tra cascate e rocce, si specchiano su opere subacquee, filamenti limacciosi di una alga pluricellulare. Altrove, quadri di sassi si confrontano con un disegno su tela di un parco milanese, ospite inatteso. Con un piccolo lago finto in cui le piante si riflettono come in un cartoon. In una terza stanza cinque dipinti, meglio sinopie, propongono paesaggi visti dall’alto. Qui l’orizzonte si perde oltre il limite della tela, nell’azzurro del cielo. Il viaggio pisano di Giovanni Frangi è fatto di contrasti, di cortocircuiti inaspettati, a suggerire diverse chiavi di lettura di ogni singola opera. Il tutto nel contesto, potentissimo, del Museo nazionale di San Matteo. Qui le opere di Frangi si confrontano con una incredibile collezione di sculture lapidee e lignee, con capolavori assoluti dal primo Medioevo al Cinquecento. Emozionano le testimonianze di ignoti maestri del più intenso romanico non meno dei capolavori di Giovanni Pisano e di Donatello. Così come i dipinti che documentano ciò che di meglio ha saputo offrire l’arte in Toscana e a Pisa dagli esordi del secondo millennio al Cinquecento, compresi i capolavori di Simone Martini, Ghirlandaio, Masaccio. Se non bastasse, il San Matteo propone anche codici miniati, ceramiche, oreficerie in un incredibile, e purtroppo scarsamente noto, grandioso “affresco” del Medioevo. In questa raffinata “Teca dell’antico”, il direttore, Dario Matteoni, ha voluto proporre un confronto, site specific, con l’arte contemporanea, invitando grandi artisti d’oggi ad un confronto con i maestri dello ieri. Giovanni Frangi e Sherazade hanno accolto la sfida. Giovanni Frangi. Sherazade. Pisa, Museo di San Matteo (Piazza San Matteo in Soarta 1). Mostra promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo - Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Artistici, Storici ed Etnoantropologici per le province di Pisa e Livorno, Museo nazionale di San Matteo, a cura di Dario Matteoni e Massimo Recalcati. Info: Museo Nazionale di San Matteo - tel. 0039050541865 - sbapsae-pi.Museosanmatteo@beniculturali.it - dario.Matteoni@beniculturali.it |
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FIRENZE (MUSEO DEGLI ARGENTI DI PALAZZO PITTI): DIAFANE PASSIONI - AVORI BAROCCHI DALLE CORTI EUROPEE - FINO AL 3 NOVEMBRE 2013
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Dalla metà del Cinquecento, per circa due secoli, la scultura in avorio fu apprezzata e ricercata dalle corti europee come una delle massime e più sofisticate forme di espressione artistica. I più importanti scultori del periodo barocco, sia in Italia che nei paesi transalpini e addirittura nelle colonie portoghesi e spagnole, si cimentarono in questa tecnica raffinatissima e difficile, che univa alla perizia dell’artefice la preziosità della materia prima. In tutta Europa, imperatori e granduchi, papi e principi, altissimi prelati e ricchi banchieri si contendevano l’opera degli scultori in avorio, e spesso formavano collezioni di capolavori eburnei, che andavano dagli esemplari figurativi veri e propri ai tour de force torniti. Questi ultimi univano al piacere del capriccio visivo il rigore scientifico del calcolo matematico. L’italia giocava un ruolo chiave per la più grande fioritura della scultura in avorio tra il Cinque e il Settecento: la seconda dopo quella gotica, che aveva avuto il suo centro a Parigi. Le zanne dell’elefante arrivavano in Europa attraverso le grandi città portuali, Venezia, Genova, e Napoli, con Roma i centri principali della lavorazione della preziosa ed esotica materia, ricercata particolarmente per la sua qualità mimetica di raffigurare l’incarnato umano. L’ammirazione per l’avorio nell’Italia del Sei e Settecento favorì inoltre il collezionismo di avori africani e indiani, oltre a quelli tardoantichi e medievali. Proprio a Firenze fra il Xvii e Xviii secolo si formarono le prime collezioni di avori di epoche passate, e proprio qui si pubblicarono i primi studi dedicati agli avori medievali. Con Ferdinando I de’ Medici (1549-1609) a Firenze, ebbe inizio una delle più spettacolari collezioni di avori in Europa, che continuò ad arricchirsi fino al tramonto della dinastia, raggiungendo numerose centinaia di esemplari. Per quantità, per qualità ed importanza dal punto di vista storico artistico, la raccolta medicea raggiunse livelli pari solo a quelli della corte imperiale di Vienna e di quella principescahe di Dresda e di Monaco. Coppe e rilievi, composizioni mitologiche e scene di genere, santi e ritratti di principesse, scarabattole e torri tornite: ogni aspetto dell’arte figurativa e astratta è riflesso nell’arte eburnea raccolta a Firenze. La maggior parte degli avori dei Medici si trovano ora nel Museo degli Argenti a Palazzo Pitti, e costituiscono una delle grandi attrazioni nelle sale del pianterreno, dove il visitatore entra in un mondo magico di forme diafane, dalla grazia fiabesca. Gli avori barocchi, nella loro importanza artistica internazionale, non sono mai stati oggetto né in Italia né all’estero di una grande esposizione, e questa rappresenta la prima occasione per rimediare a questa lacuna. Occasione che non è un caso venga colta a Firenze, al Museo degli Argenti, dove si trova la più estesa e formidabile raccolta storica di avori, composta da opere dei maggiori scultori in questa tecnica. Nella mostra “al nucleo fiorentino si aggiungono temporaneamente figure, vasi e oggetti oggi conservati nelle principali raccolte europee e americane, evocativi dell’abilità suprema che fu raggiunta specialmente in area germanica e mitteleuropea nell’età barocca, mettendo all´opera non solo gli artisti di corte – come il ‘nostro’ abilissimo Sengher – ma addirittura sovrani sperimentali e di talento, come lo Zar Pietro il Grande” (Cristina Acidini). Una mostra di quasi centocinquanta pezzi, che unisce i tesori fiorentini a pregevoli esemplari provenienti dai più importanti musei stranieri e ad altri avori mai visti prima, custoditi in collezioni private, dà vita a un nuovo e spettacolare capitolo della storia dell’arte: un capitolo mai studiato prima, soprattutto nel suo aspetto “internazionale”, così peculiare del collezionismo mediceo. La mostra si articola in varie sezioni che percorrono l’arte dell’avorio dal Quattrocento, quando catturò l’attenzione di Lorenzo il Magnifico, al maturo Rinascimento, fino all’esplosione del Barocco con opere degli scultori fiamminghi e tedeschi più famosi del periodo, da Leonhard Kern a François du Quesnoy, da Georg Petel a Balthasar Permoser. La prima sezione è dedicata al momento della riscoperta dell’avorio come materia prima, e al collezionismo di avori in Italia – da due ‘olifanti’ congolesi (presenti nelle collezioni medicee dal Ciqnuecento) alle opere medievali, tra cui il Dittico appartenuto alla collezione di Lorenzo il Magnifico, che di recente è stato identificato all’Ermitage di San Pietroburgo e ritorna per la prima volta a Firenze, dopo più di cinquecento anni. In questa sezione vengono presentati anche alcuni capolavori dei primi centri di produzione della scultura in avorio del Cinquecento: Venezia con opere di Francesco Terrilli e Roma dove i fiamminghi Niccolò Pippi e Jacob Cornelisz Cobaert furono attivi allo fine del secolo. La sezione Geometria virtuosa. Gli avori torniti raccoglie particolari e spettacolari esempi della competizione tra i più importanti tornitori tedeschi nel creare in avorio le figure più complicate, piccoli miracoli di virtuosismo tecnico che univano simbologia a numerologia, geometria e filosofia. “Poliedri e sfere, scatole cinesi, variazioni sui cinque solidi della geometria greca sormontati da una guglia sottilissima e spiraliforme” (Marco Riccomini). L’inventore di questo tipo di oggetto da gabinetto delle curiosità – e allo stesso tempo all’altezza della ricerca matematica e ingegneristica dell’epoca – fu, alla fine del Cinquecento, proprio l’ italiano Giovanni Ambrogio Maggiore al servizio delle corti tedesche. Ben 18 i pezzi di questo genere esposti, appartenenti al Museo degli Argenti e pervenuti grazie al principe Mattias de’ Medici come parte del bottino catturato durante la Guerra dei Trent’anni: tra le altre, opere di Marcus Heiden e del suo allievo Johan Eisenberg, i migliori tornitori di avorio dell’età barocca. La terza sezione, Artisti ultramontani in Italia. I protagonisti dell’avorio barocco espone tra gli altri capolavori di Leonard Kern e Georg Petel i due grandi scultori attivi nella prima metà del Seicento nel sud della Germania. Le loro opere mostrano sensibili affinità con la cultura figurativa barocca italiana e testimoniano dei viaggi dei due artisti a Roma, Napoli, Genova e in Toscana, rivelando in particolare un debito con il linguaggio figurativo di Peter Paul Rubens. Si riuniscono inoltre per la prima volta opere di Justus Glesker – che nel Seicento era celebrato come uno dei migliori scultori del secolo – provenienti da musei nazionali e dall’Estero (Victoria and Albert Museum, Londra; Galleria Estense, Modena; Ermitage, San Pietroburgo; Bayerisches Nationalmuseum, Monaco di Baviera). Questa sezione esplora inoltre Genova come centro della scultura in avorio: il caposcuola Domenico Bissoni introdusse un’espressività estrema e un naturalismo inaudito nella raffigurazione della sofferenza e della morte, che incontrava particolarmente il gusto del territorio spagnolo, dove venivano spedite gran parte delle opere della scuola genovese. Anche il fiammingo François van Bossuit, forse il primo artista a cui sia stato dedicato un catalogo ragionato illustrato, è presente in mostra con opere di soggetto sacro e profano. La quarta sezione, La fioritura dell’avorio tardobarocco al di là delle Alpi, unisce, tra l’altro, opere di Christoph Daniel Schenck (che formò il suo stile energico su modello di Francesco Mochi), e che tra l’altro offre l’opportunità di paragonare opere in diversi materiali, avorio e legno, di formato piccolo e grande. L’austriaco Balthasar Griessmann, attivo a Salzburg, e Ignaz Elhafen, attivo prima per la corte imperiale di Vienna e poi per il conte palatino Johann Wilhelm e sua moglie Anna Maria Luisa de’ Medici, svilupparono metodi innovativi e personali per utilizzare le incisioni – soprattutto italiane – come modelli per le opere. Testimonianza in mostra ce ne darà il confronto diretto tra la grande incisione di Pietro Aquila del Ratto delle Sabine di Petro da Cortona e le varie versioni eburnee in rilievo oltre che lo spettacolare boccale di Elhafen proveniente dalla collezione del margravio di Baden, che dopo la sua vendita nel Canada ora per la prima volta è tornato in Europa. La quinta e ultima sezione, L’apice del tardobarocco in Italia, ha come nucleo principale l’opera del grande Balthasar Permoser attivo a Roma dal 1675 e a Firenze al più tardi dal 1682. Anche per il Permoser l’esperienza italiana fu di fondamentale importanza: infatti fu colui che condusse lo stile enfatico di gusto tardobarocco, formato sulle opere di Bernini e Foggini, al di là delle Alpi, dove alla corte di Augusto il Forte re della Sassonia e della Polonia, diresse il cantiere più grande e influente che l’Europa settentrionale e centrale avesse mai visto. Claude Beissonat, invece, di stanza a Napoli, inviò la maggior parte delle sue opere a committenti spagnoli. La sezione conclude con il personaggio di Johannes Sporer, scultore tedesco, che durante il suo viaggio di studio si innamorò di una bella romana e pertanto si stabilì nella Città Eterna dove scolpì copie dall’antico e figure di soggetti mitologici e anticheggianti sia in bosso che in avorio, varcando la soglia del primo neoclassicismo. La mostra, ideata e curata da Eike D. Schmidt e diretta da Maria Sframeli, come il catalogo edito da Sillabe, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, il Museo degli Argenti, Firenze Musei e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Enel sostiene “Un anno ad arte 2013”, e quindi questa mostra che ne fa parte, confermando l´attenzione per la valorizzazione culturale e artistica del patrimonio culturale e artistico della città di Firenze. Enel opera sul territorio fiorentino per coniugare l’innovazione tecnologica con la tradizione della cultura fiorentina e italiana, di cui questa iniziativa è espressione di grande spessore |
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