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Notiziario Marketpress di
Mercoledì 30 Settembre 2009 |
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LIBRI/SEI REGOLE PER CURARE LA BUROCRAZIA MALATA IN “FANNULLONI SI DIVENTA” GIOVANNI VALOTTI ANALIZZA LO STATO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE E INDICA LA VIA PER CURARNE LE DEBOLEZZE
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Milano, 30 settembre 2009 - Il vero problema delle amministrazioni pubbliche non sono i fannulloni, come il dipendente che accumula 120 giorni di assenza in un anno. È evitare che lo diventi anche il resto di quei 3 milioni e mezzo di lavoratori della p. A. Italiana. La medicina esiste: si tratta di mettere a punto un grande progetto che dia respiro alle organizzazioni e ne risvegli l’orgoglio e la motivazione. Un progetto che passa per alcuni “principi attivi” individuati da Giovanni Valotti, ordinario di management pubblico e direttore della Scuola universitaria della Bocconi, nel volume Fannulloni si diventa. Una cura per la burocrazia malata (Università Bocconi Editore, 2009, 176 pagg. , 15 euro). Sottolineando come gli elementi innovativi delle riforme della pubblica amministrazione degli anni Novanta siano rimasti sostanzialmente lettera morta, Valotti propone i tre elementi necessari alla modernizzazione: la misurazione dei risultati, la trasparenza e la meritocrazia. “Anni di studi manageriali”, scrive a proposito del primo punto, “hanno concretamente smontato l’alibi della specificità delle amministrazioni pubbliche e della collegata difficile identificazione degli output. Anche nelle imprese il successo si gioca su elementi intangibili e qualitativi e non per questo si rinuncia a misurare”. E senza una base di misurazione, “è impossibile responsabilizzare sui risultati e dimostrare all’esterno i miglioramenti conseguiti”. La trasparenza, in secondo luogo. Di fondamentale importanza è introdurre l’obbligo di rendere conto dei risultati in base a parametri identificati, per esempio, attraverso un “performance report” sul quale amministratori, dirigenti e dipendenti “si giochino la credibilità, anche per confronto con altre amministrazioni”. Terzo, la meritocrazia. È impossibile orientare al risultato i membri di un’organizzazione senza che il destino professionale di questi sia dipendente dagli obiettivi raggiunti o non raggiunti. Ciò va inteso tanto in senso negativo, quanto in positivo: “Deve essere radicalmente rivisto il sistema degli incentivi collegato al conseguimento dei risultati”, continua Giovanni Valotti. “La retribuzione variabile deve diventare effettiva, sganciarsi da ogni automatismo ed essere erogata, anche in misura significativa, solo ai veramente meritevoli”. Niente premi e incentivi a pioggia, dunque. E se misurazione delle performance, trasparenza e meritocrazia sono gli elementi della medicina, la cura (“sempre che il malato voglia farsi curare”, commenta l’autore) prevede alcuni passaggi cruciali. Devono essere promosse, ove possibile, forme di competizione. In secondo luogo, i modelli organizzativi e gli organici devono essere snelli, dinamici e qualificati, oltre che flessibili: “Gli uffici stabili e i livelli organizzativi devono essere ridotti ai minimi termini, giusto quanto serve per dare ordine, continuità e stabilità all’amministrazione. Tutto il resto deve essere aggregazione temporanea di risorse, finanziarie e professionali, per progetti e per processi”. Terzo, la qualità della dirigenza, che deve essere forte, autonoma, professionalizzata e, soprattutto, responsabilizzata. Più manager e meno burocrati. Al fine, è necessario ridisegnarne l’architettura e le competenze, applicando regole innovative per il conferimento, le condizioni di rinnovo e di revoca degli incarichi dirigenziali e introducendo meccanismi retributivi e sistemi incentivanti credibili, in grado di valorizzarne realmente le performance. Quarto, va svecchiato il linguaggio e bisogna potenziare la comunicazione all’interno. Quinto, va incentivata la permeabilità tra settore pubblico e privato: “Percorsi di carriera veramente trasversali”, sottolinea Valotti, “non potrebbero che produrre importanti effetti di ‘cross-fertilization’, oltre che un miglioramento della qualità delle relazioni e del livello di collaborazione tra i due settori”. Vi è una cura, infine, che in! apparenza fa storcere il naso: alla p. A. Serve più politica. In un senso che non ha nulla a che fare “con la visione diffusa della ‘influenza politica’ sugli assetti e le decisioni degli enti”. Una politica che nel suo ruolo alto abbia la capacità “di esprimere una visione innovativa e di lungo periodo, in grado di cogliere i bisogni, disegnare strategie di ampio respiro, definire una direzione di marcia per le amministrazioni e controllarne l’effettiva attuazione”. Insomma, “più politica e meno politicizzazione”. Università Bocconi editore, 2009 176 pagine, 15 euro. . |
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