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Notiziario Marketpress di
Martedì 08 Giugno 2010 |
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THE EXIT STRATEGY IL RISCHIO MACROECONOMICO PRIMA E DOPO LA CRISI
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Trento, 8 giugno 2010 - Prima della crisi, gli internazionalisti parlavano di squilibri globali e crisi del dollaro. I macroeconomisti della “great moderation”, dibattendo il ruolo della fortuna rispetto alla buona politica economica. Ma per Giancarlo Corsetti, docente all´Università Roma Iii, ricercatore associato al Cepr e condirettore dell´International Macroeconomic Program “la crisi ha chiaramente minato la fiducia nel modello di gestione del rischio macroeconomico nella globalizzazione, non ha prodotto la crisi del dollaro, non ha eliminato gli squilibri globali. Piuttosto ha posto un problema di debito oltre a quello del debito estero”. E la fase attuale è ancora più delicata: “Una strategia d’uscita a vista sta aumentando i fattori contro la coesione internazionale”. Tutto questo nell’incontro del 6 giugno “Un mondo a tasso zero”, dibattito moderato dal giornalista del Sole 24 Ore, Dino Pesole. Rischio macroeconomico prima e dopo la crisi che ha investito l’economia globale. E’ questo il focus dell’intervento di Giancarlo Corsetti, esperto di contabilità del rischio. Nella sua riflessione, prima della crisi i tassi d’interesse e i premi per il rischio erano a livelli storicamente bassi. “Con la crisi – ha spiegato -, il premio per il rischio è diventato alto e volatile; i tassi d’interesse di medio e lungo termine non sono cresciuti e le banche centrali hanno portato i tassi d’intervento vicini allo zero, equiparando moneta a titoli a breve”. Ed ora? “In questo momento, la ripresa è minacciata dal rischio d’insolvenza pubblica di alcuni stati” ha spiegato. In sostanza, dopo mesi d’impasse dei mercati finanziari, banche centrali e governi hanno risposto riportando i tassi d’interesse a zero, lasciando crescere i deficit pubblici. Ma il rischio, per Corsetti, è che il mondo a tasso zero soffochi la ripresa dei mercati. In questo senso, va elaborata una vera e propria “exit strategy”, una strategia d’uscita per rilanciare i mercati. “I G20 hanno annunciato la fine dello stimolo fiscale e l’inizio dell’era del consolidamento – ha spiegato -. Questo non perché la recessione sia finita, ma perché dubbi sulla solvibilità pubblica possono innescare di nuovo il meccanismo che ha generato la crisi”. Dunque, “la nuova fase della crisi definisce il problema della exit strategy dal rischio del macroeconomico”. Solo adesso gli economisti hanno definito le fasi scatenanti della crisi e Corsetti le ha volute snocciolare; un modo per trovare la giusta terapia della ripresa, allontanando lo spauracchio di una bolla bis. “Sono tre le fasi che caratterizzano la crisi – ha spiegato -. La prima risale al 2007: con la correzione della bolla nel settore edilizio, l’opacità degli Abs li rende liquidi, creando dubbi sui bilanci degli intermediari finanziari e panico nell’interbancario”. In altre parole, per rispondere di primo acchito alla crisi nata nel settore immobiliare, vengono messi in campo interventi limitati che confermano il modello di politica economica tradizionale. Dalla crisi di liquidità del 2007 si arriva allo shock del 2008, data della seconda fase. “Questo momento è caratterizzato dal panico; una crisi di solvibilità che inizia il trasferimento del rischio dal settore finanziario a quello pubblico”. In questa fase i governi s’indebitano a tasso zero; garanzie pubbliche alle banche riducono le risorse per trasferimenti a famiglie e imprese non-finanziarie. Ma c’è un conflitto più profondo. Si arriva al presente: la terza fase del “consolidamento fiscale e ri-equilibrio del rischio”. In sostanza, il consolidamento deve evitare che il bilancio diventi fonte di rischio macro. Ma per riassettare gli equilibri globali la sfida è ancora aperta: le misure d’urgenza rischiano di soffocare la ripresa. “Questo – ha concluso Corsetti – è un vero dilemma per le banche centrali che oscillano tra il sostenere il debito pubblico e rispondere a potenziali tensioni sui prezzi”. Nessuna ricetta per l’Italia; Corsetti non si espone sulle misure del nostro Paese e smorza i toni con un vecchio proverbio: “Il caso italiano? Meglio non mangiare a digiuno”. |
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