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Notiziario Marketpress di
Lunedì 14 Giugno 2010 |
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CYBERDISSIDENTI E CYBERCENSORI: IL PARLAMENTO EUROPEO DALLA PARTE DEI DIRITTI UMANI
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Bruxelles, 14 giugno 2010 - Web 2.0, controllo 2.0? A una libertà di espressione sempre più vasta grazie alla rete, corrisponde in alcuni paesi del mondo la messa a punto di strumenti sempre più sofisticati per la censura digitale. Cyberdissidenti e cybercensori sono stati il soggetto di un´audizione della commissione per i Diritti umani del Parlamento. Uno studio commissionato dai deputati mostra che non solo l´Ue, ma anche le grandi imprese della rete possono giocare un ruolo, come dimostra il caso di Google in Cina. Internet e censura: una cyberguerra in corso - "Sempre più opportunità per attivisti dei diritti umani e dissidenti" per fare sentire la loro voce, ottenere protezione e accedere all´informazione, ma allo stesso tempo" strumenti di controllo e di censura sofisticati, spesso nascosti", messi in atto dai "nemici dei diritti umani". Questa "cyberguerra" è stato l´oggetto di un´audizione della sotto-commissione per i Diritti umani, guidata dalla finlandese Heidi Hautala (Verdi), il due giugno al Parlamento. La rappresentante dell´Ong "Reporter senza frontiere" Lucie Morillon ha parlato di 60 paesi che praticano la censura online: in primis la Cina, che è anche il mercato digitale più grande del mondo, ma anche il più grande censore. Pechino ha infatti bloccato l´accesso a oltre 18.000 siti internet, e imprigionato 72 cyberattivisti (nel mondo, sono 120). Nella lista nera dei cybercensori figurano anche l´Arabia Saudita, l´Egitto, la Birmania, l´Iran, la Corea del Nord, Cuba, la Siria, la Tunisia e il Vietnam. Il ruolo di Google e gli altri - Le imprese di telecomunicazioni e media digitali sono " alleati potenziali importanti per i diritti umani", secondo Andrew Puddephat, che ha presentato uno studio commissionato dai parlamentari su "Tecnologie della comunicazione e diritti umani". Ma anche per le imprese, la situazione non è facile: "i governi chiedono strumenti di controllo e censura - ha detto la Morillon - e ci sono compagnie che obbediscono, come Yahoo e Microsoft, e altre più coraggiose, come Google", che deciso di uscire dal mercato cinese finché le ricerche saranno censurate. Il rappresentante di Nokia Siemens Barry French ha riconosciuto che la società ha compiuto un errore nel fornire all´Iran "una tecnologia che permette di intercettare, monitorare e controllare"come richiesto dal governo. Ha assicurato che a partire dal 2009 la compagnia ha cambiato linea, perché "le tecnologie devono servire a sostenere, e non infrangere, i diritti umani nel mondo". Nokia era stata criticata da una risoluzione del Parlamento per l´accordo con Tehran, che permetteva di intercettare praticamente qualunque utente di un cellulare Nokia. Google invece, ha deciso di smettere di censurare le ricerche in Cina da marzo 2010. Così gli utenti vengono ridiretti dal sito google.Cn a google.Hk (Hong Kong), dove possono trovare tutto quello che cercano. A nome del gigante americano, Simon Hampton ha chiesto a tutte le imprese di Tic europee di unirsi alla "Global network Initiative", che raccoglie le società impegnate a rafforzare i diritti dell´utente, la privacy e la libertà di espressione su internet: "In rete non si può fermare la libertà di parola e contrastare l´innovazione", ha concluso. La grande muraglia digitale - "La Cina è il migliore esempio di cyberpolizia, filtraggio e ostruzione", ha denunciato l´attivista del Consorzio "Global Internet Freedom" Shiyu Zhou. "Il Muro di Berlino del Xxi secolo è usato per indottrinare, intimidire e perseguitare", ma "per ogni dollaro speso su tecnologie anti-censura, i governi devono spenderne migliaia per bloccarci", ha continuato Zhou. Un altro cinese, Hosuk Lee Makiyame, direttore dell´European Centre for International Political Economy, ha spiegato che la vera ragione della censura cinese è di natura commerciale e protezionista. Il governo blocca arbitrariamente solo i siti stranieri, mentre a quelli cinesi non succede niente. Sull´iran, invece, Makiyame ha un dilemma: "gli stessi mezzi teconologici possono essere usati dai dissidenti per twittare e dal regime per reprimere". Cosa può fare l´Ue? Secondo Puddephat, l´Ue può e deve intervenire, "stabilendo una normativa che faccia da esempio nel mondo, ma anche mettendo pressione sui paesi della censura nei forum internazionali, e lavorando con le imprese per far avanzare i diritti umani nell´ecosistema digitale. Si possono formare esperti di diritti umani online, e sostenere i progetti e le Ong che creano strumenti per la libertà di espressione su internet". La rappresentante di Reporter senza frontiere chiede ai politici europei di "incoraggiare le imprese delle Tic a creare un codice di condotta volontario, ma anche insistere per il rilascio dei cyberdissidenti". Heidi Hautala ha concluso l´incontro promettendo che la sotto-commissione per i Diritti umani lavorerà per identificare le possibili aree di azione. |
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