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Notiziario Marketpress di
Mercoledì 29 Settembre 2010 |
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NEL DIALOGO INTERRELIGIOSO PASSA IL FUTURO DEI POPOLI LE TESTIMONIANZE DI PADRE PIO (BANGLADESH) E DI SUOR JOSEPHINE (PAKISTAN)
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Trento, 29 settembre 2010 - “Solo il dialogo interreligioso, portato avanti in maniera diretta e senza pregiudizi, potrà garantire un futuro di pace e di concordia tra i popoli”. E’ questo il messaggio che arriva dall’incontro sul Dialogo Interreligioso, organizzato nel tardo pomeriggio di ieri presso Palazzo Geremia nell’ambito di “Sulle rotte nel mondo”. In sala sono intervenuti due missionari - suor Josephine Michael (Pakistan) e padre Pio Mattevi (Bangladesh) - oltre a Wasseem Abbas, presidente di Città aperta di Rovereto, associazione multiculturale. “Sulle rotte del mondo” è tornata per un nuovo appuntamento presso la Sala di Rappresentanza di palazzo Geremia, dove Lucia Maestri, assessore alla cultura Comune di Trento, nel suo saluto introduttivo, si è detta orgogliosa del fatto che “la Città di Trento è sulle rotte del mondo”. Nella sua introduzione, Alessandro Martinelli ha sottolineato l’importanza del dialogo come esperienza quotidiana su cui si innesta la dimensione religiosa. Su tavolo dei relatori c’erano padre Pio Mattevi, missionario in Bangladesh; suor Josephine Michael, missionaria pachistana; e Wasseem Abbas, presidente di Città aperta di Rovereto, associazione multiculturale. Nella sua testimonianza Padre Pio Mattevi, missionario in Bangladesh, ha raccontato 20 anni di confronto con indù e musulmani per favorire il dialogo tra le religioni: “In Bangladesh lavoriamo per una società senza divisioni per favorire migliori condizioni di vita alle persone nel campo dell’assistenza, del sociale e delle attività agricole. Il Paese è poverissimo ma il dialogo ha dato a noi l’occasione per mettere in luce i valori del cristianesimo e, viceversa delle religioni musulmana e indù. Siamo riusciti a mantenere la pace e promuovere forme miste di sviluppo quali cooperative per la coltivazione di riso in zone a prevalenza indù e musulmana”. Ad oggi - in Bangladesh - la missione di dialogo è affidato a pochi missionari occidentali: “Grazie ad un vescovo locale è però possibile portare avanti il confronto. Tutti siamo consapevoli che il dialogo aiuta ad essere migliori: in Bangladesh siamo una minoranza ma attraverso il dialogo possiamo farci conoscere”. Diversa la situazione in Pakistan, dove dopo l’11 settembre e l’attacco alle Torri Gemelle e la guerra in Afghanistan, il dialogo è di fatto interrotto. Suor Josephine racconto i momenti della speranza in un paese popolato al 96% da musulmani e i giorni dell’odio e della divisione. “Dopo l’11 settembre - ha ricordato la religiosa di origine pachistana - nulla è stato come prima. La guerra prima e il terrorismo dopo hanno riportato il mio paese in uno stato di tensione. Oggi interi territorio sono controllati dai signori della droga e l’imposizione delle leggi coraniche ha sostituito la legge dello Stato”. In lei è ancora vivo il ricordo della rottura. "Dopo l’11 settembre e l’inizio della guerra abbiamo organizzato come al solito gli incontro con mussulmani e indù, ma sono andati deserti. Ci hanno risposto che era meglio sospendere gli incontri ed oggi di fatto il dialogo non è ripreso. Prima una famiglia cristiana non aveva paura di una famiglia musulmana e viceversa; oggi se un cristiano frequenta l’altra parte rischia di essere scambiato per una nemico e di ritrovarsi oggetto di una rappresaglia da parte dei terroristi o estremisti”. A peggiorare la situazione ci ha pensato l’inondazione, una calamità naturale che ha devastato il Paese: “Se possibile, la situazione è peggiorata. Ci sono genitori che abbandonano i propri figli o li vendono o, peggio ancora, li uccidono e poi si suicidano perché non sanno più come uscire dalla miseria”. Da suor Josephine arriva però l’esortazione ad continuare: “Non possiamo cedere al rischio delle semplificazioni per cui un musulmano è un estremista o un cristiano è un ricco al soldo degli Stati uniti. E’ nel confronto tra religioni che passa il futuro dei popoli”. E proprio da un altro pachistano, Wasseem Abbas, è arrivata una lettura di speranza. Presidente dell’associazione Città Aperta di Rovereto, Abbas ha ricordato il tentativo portato a termine con successo dall’associazione di “costruire piccoli ponti ma importanti per ricostruire l’identità delle persone ed il dialogo”. Fondata nel 2002, l’associazione si batte per il pieno riconoscimento dei diritti di cittadinanza e a favore della convivenza e sensibilizzare l’opinione pubblica italiana verso gli stranieri. “A contribuito a diffondere una conoscenza migliore delle peculiarità di altre culture, e siamo riusciti a favorire in Trentino l’integrazione dei nuovi cittadini. Oggi siamo anche una cooperativa che dà lavoro a decine di persone sempre nell’ambito dei servizi per l’integrazione. Credo che tutte le religioni abbiano una matrice comune ed è da questa che dobbiamo ripartire per garantire a tutti un futuro migliore”. |
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