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Notiziario Marketpress di
Martedì 21 Dicembre 2010 |
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GEORGE GERSHWIN… DIARIO DI VIAGGIO DA UN AMERICANO A PARIGI CON RAFFAELE PAGANINI AL TEATRO MANZONI
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L’opera musicale Un americano a Parigi di George Gershwin (1928) e la sua felicissima versione cinematografica curata da Vincente Minnelli nel 1950-51 (punto di riferimento per il rapporto cinema/danza e che, tra l’altro, compie sessant’anni esatti) sono oggi praticamente inscindibili nell’immaginario del pubblico, al punto che risulta quasi impossibile, in un’ulteriore trasposizione, non tenerne conto, sia pure a livello di semplice citazione. L’attuale elaborazione drammaturgica per balletto curata da Riccardo Reim per la coreografia di Luigi Martelletta e l’interpretazione di Raffaele Paganini (senz’altro il ballerino italiano più adatto – per la sua formazione e la sua storia – a ricoprire tale ruolo) segue quindi il doppio binario dell’opera originale e della sua versione per il grande schermo (attingendovi in parte per la costruzione di una “trama”) al quale però si aggiunge – come una sorta di “chiave di lettura” – un terzo elemento, ovvero il dato biografico (usato anche in modo “onirico”, non soltanto meramente cronachistico) riguardante George Gershwin, lui stesso, neppure trentenne, giovane “Americano a Parigi” – dove effettivamente soggiornò - abbagliato dalla cultura europea, amante della tradizione classica, pazzamente invaghito della musica di Maurice Ravel… Un americano a Parigi diviene così anche un’indagine su ciò che costituisce il processo creativo in un musicista fortemente anomalo come Gershwin, capace di una sintesi unica e irripetibile tra le musiche di estrazione popolare e quelle di tradizione più nobile, riuscendo come nessun altro a fonderle in una miscela di immenso fascino. Questo sovrapporre (e la vicenda biografica lo consente in pieno) autore e protagonista permette di utilizzare (come del resto già il film, sia pure “timidamente” fa) altre melodie gershwiniane più o meno famose (da Want’ Em You Can’t Get’em a Rialto Ripples fino alle celeberrime Rhapsody in Blue, The Man I Love, Summertime…) come bagaglio “mentale” (o meglio, interiore) dell’artista, al di là delle pastoie cronologiche… Un altro aspetto importante di questa versione a balletto dell’opera di Gershwin (tra l’altro, la prima in Italia) è l’attenzione all’atmosfera davvero irripetibile della Parigi degli ultimi Anni Venti, quando la capitale francese era di fatto la capitale culturale d’Europa e forse del mondo: una Parigi ancora memore della grande stagione impressionista e già percorsa dai primi fremiti dell’esistenzialismo, che verrà qui resa (anche scenograficamente, con numerose citazioni pittoriche) con lo sguardo “innocente” ed entusiasta del protagonista e del suo “innamoramento” giovanile per la cultura d’oltreoceano, di cui avverte in sé le radici |
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