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Notiziario Marketpress di Lunedì 21 Marzo 2011
 
   
  DISCORSO DEL VICE PRESIDENTE TAJANI IN OCCASIONE DEI 150 ANNI DELL´UNITÀ D´ITALIA

 
   
  Bruxelles, 21 marzo 2011 – Di seguito il discorso del Vice Presidente Tajani fatto il 17 marzo in occasione dei 150 anni dell´Unità d´Italia: Signor Ambasciatore, Signore, Signori, Vorrei prima di tutto, in questa giornata di festa, inviare un deferente ossequio al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, garante dell´unità nazionale. Egli ha fortemente voluto le celebrazioni del 150° anniversario dell´Unità d´Italia. Vorrei esprimere l’orgoglio con cui, oggi, mi trovo qui a celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. E sono convinto che è con orgoglio che gli Italiani, che si trovano oggi nel nostro Paese e in tutto il mondo, dovrebbero ricordare i 150 anni insieme. Stasera vorrei ripercorrere con voi una storia che unisce non solamente un Paese, ma due idee: l´idea d´Italia e l´idea d´Europa. I protagonisti sono le donne e gli uomini che hanno contribuito a costruire questo legame per cui la storia d´Italia e la storia d´Europa si intrecciano in modo indissolubile. E se oggi esiste un´Europa economica e politica molto lo si deve al contributo dell´Italia. Il 17 Marzo 1861 è il giorno in cui l’Italia s’è desta. Il re Vittorio Emanuele Ii assume il titolo di Re d’Italia. Durante il discorso della Corona a Palazzo Carignano a Torino il Re, che aveva rappresentato il punto di riferimento per le molteplici anime del Risorgimento, mette nelle mani del parlamento “l’unità politica, sospiro di tanti secoli”. Nel primo Parlamento dell’Italia unita, le parole di quei giorni, in cui si vota il decreto reale che proclama la nascita dell’Italia, richiamano un’eco lontana. L’italianità, infatti, non fa solamente 150 anni, ma è molto, molto più antica. Mi riferisco almeno al periodo fra il 1000 e il 1200 quando riscopriamo quell’identità comune incarnata, da valori comuni come quello della famiglia, della proprietà privata e da forme di organizzazione politica come il municipalismo. In realtà nei Comuni si esprime la democrazia diretta, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. E questo è un altro dei contributi degli italiani e dell´Italia alla costruzione della civiltà europea. Ed è proprio il sentirsi parte di una civiltà che caratterizza la nostra identità. Il richiamo a Roma è, in questo senso, emblematico. Non è solo la capitale dello Stato unitario, ma è più significativamente il centro della nostra civiltà. Senza contare, poi, l´enorme influsso della tradizione giuridica del diritto romano che permea il nostro ordinamento e tutti gli ordinamenti continentali. Ma in Italia, per le nostre particolari vicende storiche, non ci sono solo Roma e la Grecia antica, ma anche la componente germanica, quella slava, quella mediterranea, nelle sue declinazioni francese, spagnola e araba. E quella giudaica dove affondano le nostre radici, tragicamente rinnegate non solo nel secolo passato. La presenza di tutte queste componenti ci proietta inevitabilmente verso l´Europa unita e forte delle sue diversità. C´è un´altra tradizione che lega a doppio filo l´Italia e l´Europa: la tradizione cristiana. E vorrei parlarne non tanto in termini religiosi quanto squisitamente culturali e sociali. Nell´amalgama di particolarismi presenti in Europa, il cristianesimo rappresentava ancora secoli prima dell’anno Mille l´universalità che Roma aveva rappresentato nell´età antica. Non a caso festeggiamo San Benedetto da Norcia come patrono d´Europa. Il monachesimo benedettino ha diffuso in Europa una cultura comune, una cultura sí cristiana, ma che ha avuto il grande merito, grazie ai monaci copisti, di recupere i grandi classici greci e latini che sono l´altra grande base comune europea. Ma non solo, i monasteri benedettini diffondevano in tutta Europa nuove tecnologie agricole, nuove strutture architettoniche, nuove espressioni artistiche. Nei secoli successivi la cultura italiana diventerà la vera ispiratrice della cultura europea. Uomini come Dante, Leonardo e Caravaggio sono tra gli esempi più noti di una cultura italiana cui gli Europei si ispiravano. L’italia culturale faceva parte della coscienza europea. Non a caso Goethe nel suo viaggio in Italia scrive a proposito del nostro Paese: “Eccomi qui adesso tranquillo e, a quanto pare, placato per tutta la vita. Giacchè si può dir davvero che abbia inizio una nuova vita quando si vedono coi propri occhi tante cose che in parte già si conoscevano minutamente in ispirito. Tutti i sogni della mia gioventù li vedo ora vivere, tutto è come me l’ero figurato, e al tempo stesso tutto nuovo”. Per motivi profondamente storici e culturali, nel nostro paese, a differenza che altrove, l´appartenenza ad un organismo sovranazionale, seppur speciale come l´Unione Europea, non rappresenta una perdita di sovranità, ma un arricchimento. Si tratta di un arricchimento che è non solo ideale, ma soprattutto concreto. Cosí concreto che si riflette a livello di scelte politiche. Il binomio libertà-giustizia sociale su cui è fondato il processo di integrazione europea e su cui l´Unione europea intende costruire il suo futuro è, se ci pensate, il più importante obiettivo per il nostro paese. Rappresenta infatti la possibilità di portare a termine l´unificazione reale, di includere il Mezzogiorno nel futuro dell´Europa. 150 anni fa riproponevamo sul nostro territorio la varietà e la ricchezza dei paesi europei che ci avevano dominato per secoli. L´unificazione è stata il frutto della lungimiranza di alcuni grandi italiani. D´altronde, come si diceva già allora all´indomani del Risorgimento, e come si puó tranquillamente dire oggi guardando all´Unione Europea, l´unità era anche una conquista degli italiani su se stessi e non solo su dominatori stranieri. Allora come oggi, bisognava vincere resistenze esterne ed interne. Certo, i risultati non corrispondono mai alle aspettative e aver unificato un paese era solo il primo passo. Quindi, bisognava, rimboccarsi le maniche, lavorare, unificare sistemi produttivi molto diversi, unificare le organizzazioni amministrative, le finanze regionali, unificare una classe politica, unificare le monete, per non parlare delle lingue parlate dal popolo. Le analogie con la costruzione dell´Europa unita sono talmente evidenti e le difficoltà iniziali quasi identiche. E anche i protagonisti erano molto simili. In quel momento Camillo Benso conte di Cavour, di formazione londinese, parigina e ginevrina, dava respiro europeo alla politica estera del Regno di Sardegna e contemporaneamente dava respiro europeo ad una rivoluzione liberale, sapendo cogliere il favore dell´opinione pubblica inglese e alleandosi con un altro grande sognatore europeista, Napoleone Iii. L´idea d´Europa ha, poi, fra i suoi più illustri precursori, un protagonista del Risorgimento italiano, Giuseppe Mazzini. Mazzini concepí già allora con la creazione della Giovine Europa il sostrato libertario sul quale doveva fondarsi una federazione di nazioni amiche. Mentre tramonta la generazione dei miti del Risorgimento, nasce l’Italia industriale. Nasce una nuova borghesia, una nuova classe imprenditoriale con figure di spicco come Pirelli, Agnelli, Olivetti e Marzotto. E cambiano i rapporti economico-sociali. Comincia a formarsi una coscienza operaia che porta avanti un dibattito proficuo sul socialismo, in linea con quanto avviene in tutta Europa. Nello Stato monoclasse, in quell’Italia liberale consegnataci dalla classe politica storica dell‘800, cominciano a nascere i partiti politici di massa. L’italia si avvicina in quegli anni alle grandi democrazie europee. Ma in questo periodo vi sono luci ed ombre: il giovane Stato non riesce ad incanalare in una forma democratica le spinte che provengono dalla società ed è proprio per una mancata gestione dei nuovi rapporti sociali che perdiamo la libertà. Sono gli anni della dittatura, della Ii guerra mondiale, delle leggi razziali. In quegli anni, tuttavia, non tutti gli italiani rinunciano ai loro ideali di libertà e democrazia. Quegli italiani rappresentarono allora quel seme sotto la neve che una volta finita l´ubriacatura ultranazionalista potè rifiorire. La chiusura definitiva con quel passato di negazione della libertà si ha con le elezioni libere del 1946. Queste rappresentano non solo la rinascita della vita democratica, ma soprattutto un’altra tappa dell’unificazione del nostro paese. L’altra metà dell’Italia può finalmente andare al voto. Mi riferisco alle italiane che daranno anche in Assemblea Costituente il loro contributo fondamentale. Voglio qui ricordare i nomi di due italiane che con il loro l’impegno e la determinazione hanno dato lustro alla cultura e alla scienza italiane nel mondo. Sto parlando di Grazia Deledda e Rita Levi Montalcini, premi Nobel per la letteratura e per la medicina. La fine della seconda guerra mondiale ci ha catapultati in un mondo completamente diverso, in cui lo Stato-nazione ha cominciato a cambiare profondamente. E´ cosí che è rientrata in scena un´idea istituzionale più in sintonia con la nostra civiltà: l´idea dell´Italia protagonista della costruzione europea. L´idea che in poco più di mezzo secolo un gruppo di paesi, via, via allargatosi, in virtù di una progressiva integrazione prima economica poi politica, riportasse l´Europa tra i maggiori protagonisti della scena mondiale, dopo la tragedia della guerra e delle dittature. Abbiamo raggiunto risultati insperati, allargato i confini fino a comprendere nel sistema valoriale europeo fondato sulla libertà economica e dell´individuo i paesi dell’Est Europa. E adesso ci troviamo in uno dei momenti più difficili, un momento in cui dobbiamo affrontare il problema dei confini dellUnione Europea, problema che nasce direttamente dall´enigma irrisolto dell´identità europea. Invece penso che l´Italia unita, proprio proiettandosi all’interno dell’Unione Europea, abbia risolto l´enigma della sua identità, messa a dura prova dai fatti del 43-48, anno in cui è entrata in vigore la nostra Costituzione. L´adesione dell´Italia al progetto dell’ Unione europea fu possibile nei fatti, soprattutto, grazie all´intuizione di un grande italiano, ultimo Presidente del Consiglio del Regno e primo dell’Italia repubblicana, a metà fra due mondi, austro-ungarico e italiano, democratico, cattolico ed europeo. Mi riferisco ad Alcide De Gasperi. De Gasperi, durante l´esperienza al Parlamento di Vienna, seppe cogliere le difficoltà e le opportunità di un sistema politico multiculturale in cui la diversità compete positivamente per il benessere comune. Chi meglio di lui, poteva traghettare l´Italia nell’ Unione europea. Chiamava l´Italia la sua patria e la difese con fierezza nei momenti più difficili, come all´indomani della seconda guerra mondiale. La fece uscire fuori dall´isolamento internazionale e la rese protagonista del suo sogno europeo, convinto che solo in una prospettiva europea il nostro paese avrebbe potuto realizzarsi compiutamente. De Gasperi era l´uomo dell´unità, che voleva superare le divisioni. « La tendenza all´unità - diceva - è una delle costanti della storia. É proprio in una società più vasta che l´individuo puó affermarsi, dar la misura del proprio genio ». Da vero statista scelse l´Europa per l´Italia non soltanto per convinzione, ma anche per opportunità. Solo attraverso l´Europa, l´Italia poteva ritrovare la propria sovranità a livello internazionale, ricostruire il paese, proiettare all’esterno il suo sistema produttivo, capitalizzare i suoi punti di forza. Oggi riteniamo l´adesione dell´Italia all´Unione europea quasi un´acquisizione scontata. Ma in realtà non era affatto scontato che noi ci fossimo. La volontà dell´Italia di costruire l´Unione europea è stato il motivo dominante di quei primi anni in cui abbiamo gettato le basi di questo grande progetto. E il contributo italiano è fondamentale. Gaetano Martino a rilanciare il processo d’integrazione, in seguito alla battuta d’arresto della Ced. Nei negoziati per il progetto sul mercato comune difende i principi fondamentali su cui si fonda l´Unione europea: la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali; e spinge per ampliare i poteri della futura Cee. E nel marzo del 1957 nella sala del Campidoglio nasce la Cee. E sono fiero di essere qui oggi come Vicepresidente della Commissione europea, a promuovere queste stesse libertà. Ma non è tutto, Martino è l´italiano che valorizzerà il ruolo del Parlamento europeo e promuoverà la cooperazione con i parlamenti nazionali. Dopo tanti anni di lavoro, passi indietro e passi in avanti, possiamo dire che il Trattato di Lisbona realizza il suo ambizioso progetto. Ma anche quello di Altiero Spinelli, altro convinto assertore di una politica europeista e protagonista italiano nelle istituzioni comunitarie. Il mercato comune ha dato un´ulteriore spinta al nostro sistema produttivo, da troppo tempo al sole di una politica protezionistica, che se da un lato lo aveva protetto, dall´altro lato gli aveva impedito di crescere. L´industria italiana trova in quel mercato un terreno ideale su cui espandersi e contribuire in modo decisivo allo sviluppo europeo. In questo nuovo clima economico e politico si dispiegano le forze produttive. Come tutte le trasformazioni anche questa non è stata indolore. L´apertura del mercato della manodopera, da un lato ha dato un’opportunità di lavoro ad un paese che usciva dalla guerra, favorendo l’emigrazione dei nostri cittadini in Europa, dall’altro lato ci ha dato tragedie come quella avvenuta a Marcinelle, che rimane fortemente impressa nella memoria degli italiani. Oggi ho voluto essere lí per ricordare il sacrificio di tanti minatori italiani. Quella tragedia fissa nella nostra memoria come la nostra Europa parta dalla sofferenza della guerra, dal sangue dei lavoratori, anche di quelli italiani, per ricostruire un mondo più giusto e allargare la sfera del benessere. Da allora le regole in materia di lavoro e sicurezza sono molto cambiate e questo lo si deve certamente anche all’ Unione Europea. L´emigrazione italiana in Europa ci ha dato la possibilità di istillare ancor più lo spirito europeo nella società italiana: la presenza di comunità nazionali all´estero è sempre un grande fattore di integrazione con i paesi ospiti, un fattore che ci consente di sviluppare le nostre relazioni internazionali. É per questo che siamo grati a tutti gli italiani che nel corso di questi 150 anni di storia unitaria hanno reso onore alla Patria a prezzo di enormi sacrifici. E, cosí, il nostro pensiero non può non andare a tutti gli italiani impegnati in missioni umanitarie nel mondo. Penso ai volontari civili, ai missionari laici e religiosi, ai militari. Militari che indossano la divisa con la stessa dignità e orgoglio con la quale la indossarono tutti coloro che hanno combattuto e sono caduti per l´unità e la libertà d´Italia e degli italiani: dai Mille di Giuseppe Garibaldi a Salvo D’acquisto, dai fanti delle trincee della prima guerra mondiale ai granatieri di Porta San Paolo. Per tutti questi motivi, oggi possiamo dire dopo tanti anni che in una possibile gerarchia dei nostri interessi nazionali la partecipazione all’Unione Europea occupa il primo posto e le ragioni sono molte. L´unione Europea osa proporci un futuro che guarda ad un nuovo concetto di benessere orientato alla qualità della vita, alla ricerca, all´innovazione, alla sostenibilità, alla pace. L´unione Europea propone un nuovo modello economico, l´economia sociale di mercato. Esso raccoglie le tradizioni dei paesi europei che hanno lavorato giorno dopo giorno per trovare il giusto bilanciamento fra i due ingredienti fondamentali della vita di ogni società: la libertà e la giustizia sociale. Solo rimanendo parte attiva di questo progetto, in un mondo sempre più competitivo l´Italia unita puó rispondere alle sfide economiche e politiche di oggi e dei prossimi anni. Puó continuare ad essere protagonista sulla scena mondiale, portabandiera della politica europea. Soprattutto nell´area del Mediterraneo che attraversa momenti difficili di grande tensione. Mai più di oggi sono attuali le parole scritte a fine Ottocento, dal britannico William Ewart Gladstone: “Noi siamo tutti debitori dell´Italia nell´ordine intellettuale. É un debito questo che noi non possiamo saldare: ma col riconoscerne l´esistenza possiamo anche confessarlo, e conformare la nostra condotta a questa confessione, facendo voti che l´Italia possa continuare a compiere i suoi più alti doveri come membro della famiglia europea”. L´augurio che rivolgo alla nuova generazione di italiani e di europei è quello di saper portare avanti la responsabilità di una storia cosí importante. Che sappiano fare tesoro di questi modelli, per guardare al futuro con fiducia, ma soprattutto per raggiungere quell´integrazione che tanto, da 150 anni e più, abbiamo cercato e che, in fondo, è il faro di tutte le iniziative di integrazione: l´integrazione sociale. Scriveva Niccoló Rodolico nella sua Storia degli italiani: La coscienza dell´essere nostro sia sempre viva ed operante, poichè a non portare con noi il nostro passato si rischia di essere non persone ma bagagli di un treno in corsa. La coscienza del nostro essere italiani ci accompagni nella corsa per più vasti orizzonti.  
   
 

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