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Notiziario Marketpress di
Giovedì 14 Dicembre 2006 |
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RADIO 1 “IL COMUNICATTIVO” DI IGOR RIGHETTI RICORDA GIANNI VERSACE
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Gianni Versace sabato 2 dicembre avrebbe compiuto 60 anni e Igor Righetti, autore e conduttore del Comunicattivo di Radio 1 Rai, programma sui linguaggi della comunicazione, ha voluto dedicare la puntata di venerdì 1° dicembre alla memoria del grande stilista scomparso per mano assassina a Miami, in Florida, il 15 luglio del 1997. A ricordare Gianni Versace sono stati il fratello Santo, presidente del consiglio di amministrazione della Maison Versace, il semiologo Omar Calabrese, il fotografo Oliviero Toscani e la giornalista di moda Giusi Ferré. “Troppo giovane per morire - dice Igor Righetti - troppo presto per uccidere progetti e sogni legati all’innalzamento spirituale e culturale di un uomo, un artista che cercava l’ispirazione dal contatto con gli altri in un confronto continuo d’idee e di aspirazioni. I giovani, soprattutto, di cui Versace era un cantore. Un ricordo doveroso in quanto personaggi creativi, amanti della vita, del lavoro, della libertà conquistata attraverso la genialità delle intuizioni sono una ricchezza di cui tutti beneficiamo”. Di Gianni Versace Franco Zeffirelli ha detto: “Con la morte di Versace l’Italia e il mondo perdono lo stilista che ha liberato la moda dal conformismo, regalandole la fantasia e la creatività”. Diceva Gianni Versace: “La Calabria è il regno dov’è cominciata la favola della mia vita: la sartoria di mia madre, la boutique di alta moda. Il luogo dove, da piccolo, cominciai ad apprezzare l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, dove ho cominciato a respirare l’arte della Magna Grecia, così vicina a casa e che oggi considero la mia matrice culturale e professionale. Ho beneficiato di quella tradizione artigianale che in Calabria ha radici profonde e si integra alla vita della famiglia. È questa l’immagine che ho della Calabria”. Igor Righetti ripercorre gli inizi di Gianni Versace: “Tutto ha inizio quando a sua madre Francesca, che amava farsi chiamare Franca, venne impedito da giovane di proseguire gli studi per diventare medico, un mondo considerato troppo maschile. Fu così che si iscrisse a un corso di sartoria aprendo successivamente l’atelier più importante della Calabria. Da una negazione di liberà subita dalla madre Francesca esplose il genio creativo di Gianni Versace che fin da bambino la spiava mentre creava abiti da sera per le signore della Calabria bene. Rimarrà nella sua mente l’abito da sera nero di velluto che vide creare dalla madre sulla signora Ippolito, una sua cliente. Quel bambino che osservava la madre al lavoro e spendeva tutti i suoi soldi per andare a teatro darà vita a una delle maison di moda italiane più famose al mondo. Il suo stile emerse da subito già al suo primo incarico alla ‘Florentine Flowers’, azienda produttrice di maglieria dove l’esigenza di creare qualcosa di nuovo e di andare contro le regole stabilite segnarono il suo primo grande successo lontano dalla sua terra e le linee guida che lo accompagneranno in futuro per la creazione della Gianni Versace. Ma è Milano la città del destino che lo porterà attraverso amicizie e collaborazioni a creare le sue prime linee e successivamente a lanciare la sua griffe. In via della Spiga aprirà la prima sede e la prima boutique, dalla quale la Versace si espanderà in tutto il mondo. In pochi anni la Gianni Versace arriva ad avere un giro d’affari che Gianni non riesce più a tenere sotto controllo e fu così che chiese l’aiuto di suo fratello Santo, laureato in Scienze economiche e con uno studio da commercialista ben avviato a Reggio Calabria, per aiutarlo nella gestione dell’impresa che diventerà completamente di famiglia con l’ingresso della sorella Donatella come assistente nel settore creativo. Sarà proprio questo forte senso della famiglia che farà sì che i Versace riusciranno a superare anche le grandi crisi e le perdite dolorose tra cui quella della madre Franca. L’ultima grande crisi della Versace risale a circa 10 anni fa, la tragica perdita di Gianni, che oramai è storia. Perdita superata con dolore e con il tempo dai due fratelli, Santo e Donatella, che sono riusciti a ricreare l’azienda sulla memoria di Gianni”. Queste le risposte emerse dal dibattito moderato da Igor Righetti: Che ricordo hai di Gianni Versace? Oliviero Toscani. “Gianni Versace, mi mette allegria quando dico il suo nome perché era un uomo di una generosità incredibile, un vero uomo del Sud, solare, sempre allegro, disponibile e soprattutto con un talento e una capacità direi anche quasi manuale incredibile. Con una creatività unica nel suo mestiere. Non so se posso fare dei paragoni, era veramente unico come il suo modo di creare e soprattutto con una precisione svizzera e un cuore di uomo del Sud. Quindi una combinazione umana molto particolare, unica. Penso che questa sua generosità sia stata il motore del suo successo, questa sua disponibilità e devo dire che forse anche la generosità è quello che gli ha creato i problemi, non so questo non posso dirlo ma posso pensare che un uomo così generoso possa diventare molto vulnerabile. Lui era così veramente, si entusiasmava delle cose, dei progetti e della gente. È un bel nome. Gianni Versace per me è un colpo di sole, è veramente un’immagine solare”. Qualche aneddoto sui servizi fotografici? Oliviero Toscani. “Erano gli inizi degli anni ’70, l’unico marchio che si conosceva internazionalmente era Elio Fiorucci però cominciavano a esserci Walter Albini, Armani, Krizia e Gianni Versace era uno di questi grandissimi nomi. Mi ricordo che mi è capitato più volte di fotografarlo per i grandi giornali. Una volta per Vogue Italia feci un ritratto di Gianni Versace in piazza del Duomo e lui portò quattro-cinque delle signore che lui vestiva, le portò vestite Versace e fu fatta questa fotografia in mezzo ai piccioni che si alzavano con dietro il Duomo di Milano, una fotografia molto divertente con loro che correvano in mezzo a questi piccioni. Un’altra volta feci una fotografia per Vogue America dove volevano un’immagine di tutti questi nuovi creativi italiani che cominciavano a essere conosciuti in tutto il mondo e ricordo che arrivarono tutti allo studio di Vogue a Milano. Ognuno aveva una modella vestita con i propri abiti e ricordo che erano messi in ordine alfabetico da sinistra a destra. Il primo era Walter Albini, poi c’era Armani e l’ultimo a destra era Gianni Versace con la sua modella”. La principessa Diana lo definì «Un esteta alla ricerca dell’essenza della bellezza, che egli cattura con grazia e disinvoltura». Qual era la sua concezione di bellezza e di arte? Omar Calabrese. “Lui aveva una concezione soprattutto lavorativa, pratica. E questo va sottolineato più che possiamo perché non aveva l’idea di un bello ideale. La bellezza è quella che si fa sperimentando, lavorando. Io stesso ho dei ricordi del lavoro fatto con lui, video, mostre, invenzione di nomi e tante altre cose in cui il bello non era un’idea che veniva prima e poi c’erano i prodotti che lo seguivano, ma era il contrario, fino a quando non si aveva la sensazione che il prodotto avesse certe caratteristiche non si riusciva e non si poteva definire che cosa fosse il bello”. Il percorso creativo di Gianni è lungo e ricco di stravolgenti novità. Dall’uso personale dei colori, alla fusione di stili artistici fino all’applicazione della maglia d’acciaio. Qual è stata la linea conduttrice che ha spinto la Maison Versace dall’abito nero di velluto alle ultime collezioni viste in passerella? Giusi Ferré. “Penso che fosse soprattutto un grandissimo senso di curiosità e uno studio costante, molto curato dei periodi storici e artistici. Questo rende Gianni Versace una persona assolutamente unica perché sapeva fare ricerca, scegliere fulmineamente che cosa gli interessasse e poi trasformarlo in una cosa propria. Quando fece questi meravigliosi stampati tessuti fantasia portando di moda il disegno, la seta stampata che non si usava più da tantissimo tempo, aveva in mente secondo me il periodo barocco, ma il suo era un barocco rock, cioè lo aveva trasformato in qualcosa di assolutamente contemporaneo. Gli piaceva cercare il bello nelle radici storiche, culturali, artistiche profonde che riconosceva come proprie e poi a sua volta ritrasformava. Parlando di tuo fratello affermi che Gianni Versace non copiava mai, rigenerava ogni cosa e la proiettava nel futuro. Nasce qui il suo grande amore per ogni forma d’arte? Santo Versace. “Sì, Gianni amava l’arte in una maniera straordinaria, guardava tutto. Un figlio della Magna Grecia e un italiano se pensiamo a che cosa rappresenta l’Italia nella storia dell’arte e nella cultura e a come ha impregnato tutto il mondo. Passando dalla Magna Grecia e quindi attraversando l’impero romano e poi continuando. Gianni adorava l’arte ma guardava sempre al futuro, amando il passato e studiandolo profondamente. Questo lo portava a fare sempre cose straordinarie, ad attingere da qualunque parte ma a fare ogni cosa unica e sua, moderna e proiettata in avanti”. Gianni scrisse di essere affascinato dalle uniformi perché essere parte di un certo gruppo ci cataloga e ci esprime. Solitamente l’uniforme viene associata alla totale assenza di personalità e di libertà. Quale creatività vedeva Gianni nella divisa? Omar Calabrese. “Bella domanda, molto interessante perché apparentemente l’uniforme noi la intendiamo come monotona perché appunto uniforme è un sostantivo ma è anche un aggettivo, l’uniformità. Invece no, nel suo caso lui credeva che ci fosse un’identità generica, l’avrebbe detto Aristotele «ciascuno è uomo, animale, porcospino, lepre», ma all’interno di questo si possono portare delle varianti che individualizzano l’identità specifica e in questo senso faceva un lavoro che anche da un punto di vista di pensiero è veramente geniale perché pochi riescono a mettere perfino un piccolo tasto filosofico, per chiamarlo così, all’interno di un mestiere che appare pratico come quello dello stilista”. Gianni Versace ha vestito con successo alcuni dei più famosi divi del mondo della musica tra i quali Elton John, Jon Bon Jovi, Tina Turner e Madonna. Che cosa legava Gianni al mondo della musica? Giusi Ferré. “Penso che fosse affascinato dall’espressione musicale in sé e anche dalle mille libertà che questi personaggi potevano prendersi. Libertà di cambiarsi ogni volta per confermarsi presso il pubblico, cioè cambiare se stessi per essere sempre nuovi, e libertà anche di osare cose inosabili. Ricordo che una volta mi disse che la cosa che lo divertiva moltissimo per esempio di Elton John era che spesso quando vedeva camicette o cose che gli piacevano della linea femminile diceva «fammela da uomo, fammela per me». Quindi anche questo modo di passare attraverso i generi senza alcuna limitazione e credo che gli piacesse poi lo spettacolo in sé, perché era anche un uomo di grande gusto spettacolare. Sapeva fare di ogni sua sfilata un evento unico. Pur non avendo nessun intervento particolare, nessun effetto speciale. L’effetto speciale era lui e i suoi vestiti”. Come ti piace ricordare tuo fratello? Santo Versace. “Ricordare Gianni l’ha detto molto bene Oliviero Toscani: solare, radioso, unico, rivoluzionario cioè una persona che non aveva timore di niente e che andava avanti, poi era profondo, una cultura profonda, vera. Una capacità di cambiare ogni cosa, di farla sua, un divertimento unico nel fare costumi teatrali, nel lavorare, una persona gioiosa che amava il futuro e che pensava di essere immortale”. La sua passione nel vestire il teatro può essere vista come fuga dalla commercializzazione dell’arte tipica del nostro secolo? Omar Calabrese. “Probabilmente sì. Certo lui non aveva l’idea che ci fosse questa separazione tra l’arte senza profitto e l’arte che ottiene profitto, non faceva queste differenze idealistiche per cui più che di fuga parlerei di avventura. L’esperienza teatrale così come qualche altra esperienza, i balletti per esempio, sono state soltanto delle sfide intellettuali che non avevano l’immediato senso del lucro, del commercio, ma poi erano esattamente il rovescio della medaglia dell’attività anche di tutti i giorni”. Il rapporto di Gianni Versace con la tradizione appare conflittuale. Come si esprimeva nelle sue creazioni? Giusi Ferré. “Era un rapporto conflittuale è vero, ma anche profondamente assimilato. Gianni nella sua rivoluzione è stato nello stesso tempo un grande classico perché la sua capacità di taglio, di costruzione della linea ne fanno veramente qualcosa di unico e di raro, però alla tradizione lui si rivolgeva in un modo completamente nuovo nel senso che per esempio prendeva dai mosaici greci e romani alcuni simboli che gli piacevano molto, mi ricordo anche quello bellissimo della colomba che prende l’acqua da un grande braciere e lo ha riportato come elemento decorativo su un maglione da uomo. Quindi era capace di prendere questi soggetti, questi disegni, queste antiche bellezze e di renderle completamente nuove e sue. E questo ne fa un personaggio molto speciale perché è molto particolare potersi rivolgere verso il futuro sempre però con la consapevolezza profondissima del proprio passato”. Vostra madre Franca è stata come è noto il primo esempio da seguire. Quali sono stati successivamente i suoi miti? Santo Versace. “Gianni ha avuto un esempio eccezionale in nostra madre e quindi è stato un discorso straordinario di cultura del fare. Nella moda le persone che ha amato veramente sono state un italiano Walter Albini e un tedesco Karl Lagerfeld. Karl Lagerfeld tra l’altro è un suo grande amico e noi abbiamo un sacco di ritratti di Gianni fatti da Karl. Erano due persone che lui ha stimato moltissimo. Walter è scomparso molto giovane, Karl c’è ancora ed è veramente un maestro”. Citazioni durante la puntata: “Non capisco quelli che fanno i colti di mestiere. Mi piace la cultura leggera, che non ha bisogno di essere sbandierata: quella vera è un tutt’uno con la vita, non ha bisogno di travestimenti e ha una leggerezza che resta immutata anche quando essa si manifesta in modo profondo”. (Gianni Versace) “Amo quegli uomini che hanno il coraggio di diventare ‘eroi’”. (Gianni Versace) “Lavorare con Gianni Versace è gioia: la gioia dell’amicizia e della creatività. Versace è in ogni istante è novità, meraviglia, flusso ininterrotto di idee”. (Maurice Béjart, coreografo) “La moda di Versace è rock puro”. (Eric Clapton) “Lo stilista Versace non ha paura di rischiare tutto per concretare una visione del futuro che è appassionata, multicolore, incalzante ed eccitante. Vede possibilità ovunque. Il mio amico Gianni fa lo stesso. (Sting) “Nessuno ha mai fatto quanto lui per portare entusiasmo e amore per la vita nel mondo della moda”. (Sting) “Gianni Versace sa quello che vuole. Non ha paura di cambiare: ‘Cupo’ e ‘sicuro’ non sono parole del suo vocabolario. Gianni sa innovare mentre altri bazzicano nel loro mondo incolore”. (Elton John) “Vestire Versace è come guidare una Ferrari a duecento all’ora con il tettino aperto e la radio a tutto volume: veloce, forte e aderente alle curve”. (Jon Bon Jovi) “Gianni Versace è un’esteta alla ricerca dell’essenza della bellezza, che egli cattura con grazia e disinvoltura”. (Principessa Diana) . |
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