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Notiziario Marketpress di Mercoledì 04 Maggio 2011
 
   
  UE, STRUAN STEVENSON: "QUESTIONE SICUREZZA IN IRAQ ANCORA APERTA"

 
   
   Bruxelles, 4 maggio 2011 - Una piccola delegazione di deputati europei si è recata in l´Iraq settimana scorsa per incontrare il presidente della Repubblica Jalal Talabani, il consiglio di rappresentanza e altre autorità politiche. Al ritorno, il conservatore scozzese Struan Stevenson (Ecr), presidente della delegazione europea per le relazioni con l´Iraq, ci ha parlato delle sfide sulla sicurezza, del massacro di Ashraf e della necessità di una migliore rappresentanza delle diverse forze politiche nel governo. Onorevole Stevenson, siete appena tornati dall´Iraq. Qual era lo scopo di questa visita? Sono due anni che chiediamo di visitare il paese, ma la possibilità ci è sempre stata negata per questioni di sicurezza. Abbiamo insistito, perché la prima domanda che ogni iracheno ci rivolge è: "siete mai stati in Iraq?". Il non poter dare una risposta affermativa ci toglieva credibilità. Come è la questione sicurezza nel paese? È ancora estremamente delicata. Siamo stati prelevati all´ aeroporto da un convoglio di veicoli corazzati, con guardie di sicurezza in macchina, armate di mitra e pistole, e abbiamo dovuto indossare giubbotti antiproiettili. Ogni pochi kilometri c´era un posto di blocco, con cani che annusavano i bagagli e forze di sicurezza che perquisivano le macchina in cerca di esplosivi. Recentemente Al-qaeda ha cambiato strategia e ha messo le mani su un grosso carico di pistole con silenziatore. Adesso i terroristi fanno la coda ai posti di blocco insieme agli altri veicoli e quando i poliziotti si avvicinano per chiedere i documenti, sparano alla testa, unico punto non protetto dai giubbotti antiproiettili. In questo modo hanno ucciso 81 poliziotti solo nelle ultime due settimane e le forze armate sono estremamente nervose. Mentre ci stavamo dirigendo verso l´ambasciata polacca per incontrare gli ambasciatori dei paesi Ue, abbiamo visto un razzo sparato da Al-qaeda. Succede quotidianamente. Il più delle volte cercano di colpire l´ambasciata americana, stavolta il razzo è finito nel fiume Tigri. Avete visitato anche la regione autonoma del Kurdistan... Nel Kurdistan la situazione è completamente diversa. Si tratta di un´area molto sicura anche perché sono stati schierati oltre 100.000 000 Peshmerga - le forze armate della regione - a sorvegliare i confini, per impedire l´ingresso ai terroristi di Al-quaeda. L´economia è in crescita del 10% annuo. È un luogo dinamico, ci sono petrolio e gas in abbondanza ma, certo, i problemi non mancano. La minoranza cristiana, ad esempio, attaccata e oppressa dai terroristi in tutto l´Iraq, ha trovato rifugio nell´area. Così al momento ci sono dodici mila rifugiati senza alloggio, scuola, servizi igienici, assistenza sanitaria... Dobbiamo assolutamente aiutare il governo curdo che finora si è dimostrato molto generoso nel dare ospitalità a cristiani, oltre 20.000 arabi, turchi e varie altre minoranze, ora che le rivolte in Siria rischiano di causare migliaia di rifugiati curdi. Qual è il messaggio politico che porta al ritorno dal suo viaggio in Iraq? Sul fronte politico posso dire che l´accordo che ha istituito il governo di unità nazionale, non è stato rispettato. Gli impegni presi comprendevano il conferimento di ministeri chiave (difesa, sicurezza, interni) alle altre fazioni politiche. Finora queste cariche non sono state ricoperte e il primo ministro Nouri al-Maliki ha concentrato tutto il potere nelle sue mani. Questo naturalmente mina l´intero concetto di unità nazionale che il governo era chiamato a rappresentare. L´altra questione che ha dominato le nostre discussioni settimana scorsa è la strage di civili iraniani nel campo di Ashraf, dove si trovano dal 1986 i "Mujaheddin del popolo iraniano", gruppo di opposizione politica. Il Parlamento europeo ha approvato due risoluzioni su Ashraf, in cui si chiede al governo iracheno di trattare con umanità e in maniera non violenta i 3.400 dissidenti iraniani, stanziati lì da 20 anni. Eppure l´8 aprile, cinque divisioni dell´esercito iracheno hanno attaccato e ucciso 35 innocenti. Vogliamo che sia aperta un´indagine indipendente sulle circostanze del massacro e che i responsabili siano portati davanti alla giustizia internazionale, perché di crimine internazionale si tratta. Nel lungo termine bisognerà trovare una soluzione negoziale che potrà prevedere anche il rimpatrio verso i 27 paesi membri, visto che molte di queste persone erano rifugiati in Europa, ma prima di tutto l´esercito iracheno deve ritirarsi da Ashraf. Mi è stato chiesto dal rappresentante Onu a Baghdad di aprire le trattative con i leader dei "Mujaheddin del popolo iraniano" a Parigi. Andrò in Francia mercoledì prossimo e sto cercando di far discutere una risoluzione urgente nella prossima plenaria. Ha parlato del ruolo di Al-quaeda in Iraq… La morte di Osama Bin Laden potrebbe portare a un cambiamento nel paese? La sua morte è una buona notizia per il mondo. Odio la violenza, ma quando si ha a che fare con un mostro non c´è altra soluzione. Non sarebbe stato possibile catturarlo vivo. La sua morte è una grande vittoria per la libertà, la democrazia e la gente di libero pensiero. Purtroppo però questo non cambierà la situazione. Al-quaeda è molto attiva a Baghdad e nelle altre città irachene. È come tagliare la testa all´Idra: per ogni taglio ne spuntano altre quattro. Della delegazione partita in Iraq ha fatto parte anche il capo della delegazione dei deputati Pdl Mario Mauro, che è relatore per il Parlamento europeo del primo Accordo tra Ue ed Iraq.  
   
 

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