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Notiziario Marketpress di Martedì 19 Dicembre 2006
 
   
  UN ANTINFIAMMATORIO CONTRO LA DISTROFIA MUSCOLARE RICERCATORI ITALIANI HANNO DIMOSTRATO CHE UNA MOLECOLA GIÀ NOTA IN SPERIMENTAZIONE PER LA CURA DI MALATTIE NEURODEGENERATIVE QUALI L’ALZHEIMER RALLENTA LA DISTROFIA MUSCOLARE NEI TOPI. LA PRESTIGIOSA RIVISTA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE PNAS PUBBLICA I RISULTATI DELLA RICERCA.

 
   
  Milano, 19 dicembre 2006 – Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele, dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Milano-bicocca, dell’Università di Pavia, dell’Istituto Medea e del Centro Ricerche Nicox, ha dimostrato che una molecola oggi in sperimentazione per la cura dell’Alzheimer, il nitroflurbiprofene, rallenta la degenerazione muscolare di topi affetti da distrofia muscolare, malattia genetica degenerativa ancora incurabile che colpisce i muscoli. Il nitroflurbiprofene, oltre ad avere un’azione antinfiammatoria, si è dimostrato efficace per reintegrare il nitrossido, sostanza fondamentale per il metabolismo e la rigenerazione dei muscoli e presente in misura insufficiente nei pazienti distrofici. Il trattamento ha permesso agli animali di mantenere una buona capacità di muoversi, riducendo i danni causati dalla malattia. Inoltre, i ricercatori hanno verificato che se associata al nitroflurbiprofene un’eventuale terapia cellulare contro la distrofia muscolare, basata su cellule staminali, ha maggiore successo. L’importante scoperta è pubblicata su Pnas, la prestigiosa rivista scientifica dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Usa. La sperimentazione è stata condotta su alcuni gruppi di topi malati di due particolari tipologie di distrofia muscolare, quella di Duchenne e quella dei cingoli. Alla fine della sperimentazione i topi trattati avevano una capacità di muoversi circa quattro volte superiore e una resistenza alla fatica doppia rispetto agli animali curati solamente con i corticosteroidi, che rappresentano la base della terapia tradizionale contro la malattia. Inoltre anche la struttura dei loro muscoli era migliore. Questo risultato è stato ottenuto perché all’interno del muscolo l’infiammazione si è ridotta, le fibre muscolari sono sopravvissute più a lungo e si sono rigenerate più facilmente. Per la prima volta lo studio del San Raffaele ha anche osservato come un trattamento farmacologico interagisca con la terapia cellulare: il nitroflurbiprofene ha migliorato la colonizzazione del muscolo distrofico da parte dei mesoangioblasti, particolari cellule staminali associate ai vasi sanguigni recentemente usate con successo nella cura di animali distrofici. La migliore colonizzazione del muscolo ha portato ad un’accelerata rigenerazione rispetto ad animali distrofici non trattati. Spiega Emilio Clementi, professore dell’Università di Milano, supervisore dell’Unità di Farmacologia cellulare dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele e coordinatore dello studio: “Aver impiegato una molecola già in fase di sperimentazione sull’uomo ci permetterà di abbreviare i tempi per passare dal laboratorio alla sperimentazione sull’uomo. Inoltre, poiché il nitroflurbiprofene è un antinfiammatorio non a base di cortisone, l’utilizzo di questo farmaco potrebbe permettere l’elaborazione di una terapia meno tossica per l’organismo del paziente rispetto a quella tradizionale. Bisogna però essere prudenti” – sottolinea Clementi – “si tratta di uno studio effettuato sugli animali e non ancora di una terapia per i malati. Prima di arrivare a un impiego di questa strategia nella cura della distrofia sarà necessario ancora tempo, almeno tre anni, in modo da completare tutti i passaggi della sperimentazione clinica. ” L’attuale terapia della distrofia muscolare - La distrofia muscolare è una malattia genetica degenerativa a carico dei muscoli. Ad oggi l’unica terapia approvata contro le sue varie forme è la somministrazione di corticosteroidi. Purtroppo questo tipo di terapia ha effetti collaterali importanti e, anche per questa ragione, non può essere somministrata ai bambini prima dei 4 anni, rendendo impossibile quindi intervenire presto sulla patologia. Inoltre, non esiste una strategia su come utilizzarla al meglio che sia condivisa da tutto il mondo scientifico. In risposta a questa situazione i ricercatori hanno individuato due strade alternative: lo studio di terapie geniche e cellulari e la creazione di nuovi farmaci, mirati non a curare il difetto genetico ma piuttosto a ritardare la progressione della patologia o ad aumentare la massa muscolare. Entrambe le strade hanno avuto, però, risultati non completamente soddisfacenti: le terapie geniche e cellulari sarebbero ideali ma sono difficoltose da sviluppare e non si ritiene che siano praticabili a breve, mentre i nuovi farmaci non hanno dato i risultati sperati, presentando anche problemi immunologici e ingenti costi. La ricerca è stata resa possibile grazie a finanziamenti di Telethon, dell’Afm (Association Francaise contre les Myopathies), dell’Airc (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), del Parent Project Italia Onlus, dell’Unione Europea e del Ministero della Salute. .  
   
 

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