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Notiziario Marketpress di Lunedì 08 Gennaio 2007
 
   
  AL TEATRO GRASSI UMBERTO ORSINI È IL PADRE IL DEGRADO BORGHESE NELLE PAROLE DI STRINDBERG

 
   
  Milano, 8 gennaio 2007 – Debutta il 9 gennaio 2007, sul palcoscenico del Teatro Grassi, nella stagione che celebra il suo sessantesimo anno di vita, Il padre di Strindberg, per la regia di Massimo Castri e l’interpretazione di Umberto Orsini. Nel cast, oltre ad Orsini, Manuela Mandracchia (Premio Reiter 1999) nel ruolo della moglie del capitano, la giovanissima Corinne Castelli, Roberto Valerio, Alarico Salaroli, Gianna Giachetti e Francesco Salemi. Grande conoscitore dell’opera di Ibsen, di cui ha messo in scena numerosi testi, Castri si confronta ora per la prima volta in carriera con l’altro grande autore scandinavo. Amato da Nietzsche che, in un carteggio con l’autore, scrisse di aver letto due volte il testo “con profonda commozione e con eccezionale sorpresa”, Il padre è un testo pieno di implicazioni, capace di tenere costantemente tesa l’attenzione, un dramma - secondo le parole dello stesso Strindberg - “scritto con l’ascia, non con la penna”. Il Capitano, uno e due Ci sono due linee interpretative, l’una canonica, l’altra eterodossa, per “leggere” Il padre, il dramma scritto da Strindberg nel gennaio – febbraio ’87 in Baviera. Come due e diverse furono le reazioni dei due più autorevoli primi “lettori” dell’opera, Emile Zola e Friedrich Nietzsche. Al padre del naturalismo francese Strindberg l’aveva presentata come un campione della “formule expérimentale”: il romanziere, pur accettando il tributo, aveva espresso qualche perplessità nel definirla “naturalistica”, parendogli “alquanto astratta”. Il filosofo tedesco, approfittando dell’occasione per ironizzare sul francese (“Non è che un italiano moderno - rende omaggio al verismo), l’aveva invece lodata come “un capolavoro di dura psicologia”. Non diversamente distanti riescono i due approcci critici, di cui ho detto. Il primo, più fedele alla lettera del testo, privilegia nell’incontro-scontro tra i due protagonisti, il Capitano e sua moglie Laura, la seconda come l’ideatrice e la motrice della “macchina infernale”, che guida la fabula. Due coniugi, premurosi della felicità altrui, dopo essere stati felici tra loro, si trovano in aperto contrasto quando si tratta di decidere di quella della loro unica figlia Berta. Non riuscendo a scegliere insieme, i due diventano avversari, poi nemici mortali. Ed è la donna a tramutarsi in persecutrice del consorte, dapprima insinuandogli il dubbio sulla paternità della figliuola, poi tramando per interdirlo sulla base di un autografo referto sulla sua fragilità nervosa: sino a che un improvviso atto di violenza di lui sulla moglie rende credibile agli occhi altrui la sua follia. Di qui alla regressione infantile nelle braccia protettive di una vecchia balia e alla successiva apoplessia il passo è senza ritorno. Il secondo approccio preferisce al testo il metatesto, cioè i segni che gli sono sottesi. L’itinerario del Capitano verso l’annientamento è già tutto preordinato nella mente di lui e la meta è proprio la sua edenica infanzia. Nato senza una precisa volontà dei genitori, egli è da sempre un “bambino bisognoso d’aiuto” e Laura è per lui da sempre non la moglie, ma la madre nel cui grembo abbandonarsi al “piacere” tutto infantile “delle lacrime”. Roberto Alonge ha scritto nel 1983 che “la riduzione all’esistenza inebetita del demente” è per il Capitano “la perfetta reintegrazione nel chiuso spazio uterino, la felicità piena e totale”. Tutt’altro che a caso, il destino de Il padre sulle scene fu sin dal suo primo apparire proprio quello di suscitare opposti giudizi. La sera del 14 novembre 1887, data della prima assoluta del dramma al Teatro Casino di Copenaghen, ci fu chi lo definì “l’opera di un pazzo” e chi una splendida occasione “per rendere giustizia ad un uomo boicottato per le proprie convinzioni”. Al Nya Teatern di Stoccolma, dopo la prima svedese del 12 gennaio 1888, un critico non esitò a scrivere:”Orrendo! Orrendo! Orrendissimo!”. Solo vent’anni dopo, nell’autunno 1908, all’Intima Teatern di Stoccolma, la sala teatrale creata da Strindberg, un altro recensore si prese la briga di correggere il tiro: “Siamo dinnanzi alla nostra più grande tragedia moderna”. Www. Piccoloteatro. Org .  
   
 

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