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Notiziario Marketpress di Martedì 06 Settembre 2011
 
   
  ITALIAN ZERO & AVANTGARDE ‘60S MULTIMEDIA ART MUSEUM MOSCOW, RUSSIA 13 SETTEMBRE / 30 OTTOBRE 2011

 
   
   Mosca, 6 settembre 2011 - Questa mostra e il catalogo intendono testimoniare fisicamente – cioè attraverso l’esposizione materiale di opere e di documenti – un’atmosfera artistica comune a molti paesi europei tra la metà degli anni 50 e gli anni 60. La decisione di non premettere alcun testo critico alla mostra fa parte di una scelta ben precisa: riteniamo che lo spettatore, così come il lettore, possano costruire relazioni critiche tra gli autori e le loro opere partendo da un punto di vista assolutamente autonomo, fornendo così una lettura nuova, rispetto a quelle ormai codificate dalla storia dell’arte occidentale. Analizzando le opere, i fatti e i documenti, sarà quindi possibile una sorta di “ritorno alle origini” per alcuni, e di scoperta di un terreno vergine, per altri. In questo senso, la mostra che qui si propone è la prima a essere concepita in questo modo, e pensiamo possa costituire un coraggioso precedente sia per il pubblico russo che per quello genericamente europeo. Le opere in mostra hanno il solo supporto dei documenti che furono elaborati dagli artisti, e solo da loro, circa cinquant’anni fa. Uno dei vanti particolari di questo progetto è proprio quello di aver tradotto, per la prima volta in lingua russa, molti dei documenti fondamentali di quegli anni. Dal Manifesto tecnico dello spazialismo del 1951 di Lucio Fontana, a Continuità e Nuovo di Enrico Castellani e Libera Dimensione di Piero Manzoni, entrambi pubblicati su "Azimuth 2" nel 1960, fino ad arrivare al manifesto Miriorama 1, scritto dal Gruppo T nello stesso anno e a molti altri ancora. Allo stesso modo, i quattordici artisti qui presentati non appartengono a un gruppo, ma ai molti gruppi nati in quegli anni, e d’altronde non sono esposti come semplici esponenti di gruppi, ma come singoli e autonomi autori che, come artisti individuali hanno creato il loro percorso, e ora sono tra i più acclamati protagonisti della scena europea. Italian Zero & Avantgarde ´60s è dunque una mostra che intende riproporre un’atmosfera comune ai più avanzati ambienti artistici delle neovanguardie europee, in cui l’apporto italiano è stato decisivo. Il richiamo all’esperienza di Zero – neoavanguardia tedesca, nata nel 1957 e scioltasi nel 1966, i cui componenti sono Otto Piene, Heinz Mack e Günther Uecker – è appunto il rimando a una vera e propria comunità internazionale di artisti e di idee, che si veniva formando su basi comuni in alcuni dei paesi più sensibili ai nuovi linguaggi, come Germania, Francia, Olanda, Belgio, Svizzera e, appunto, Italia. Il terreno comune su cui si stava edificando il linguaggio dell’arte che avrebbe portato in pochissimo tempo alla rivoluzione linguistica degli anni sessanta, contemplava l’abbandono di certi eccessi individualistici e psicologistici tipici dell’arte appena precedente: all’individualismo dell’informale, delle neoavanguardie, del neoespressionismo, dell’astrattismo e persino del Bauhaus, tutti sorti significativamente tra il 1957 e il 1961. Spesso gli artisti opponevano l’immagine del gruppo a quella del singolo, come nel caso specifico dei gruppi cinetici T e N, un collettivo che potesse discutere di problemi comuni della visione, e diventava prioritaria una ricerca volta a stabilire nell’autore e nello spettatore reazioni visive, emotive, sentimentali e razionali simili. La ricerca di un linguaggio condivisibile da tutti, basato più sulla percezione umana che sulle sovrastrutture culturali e storiche, portava necessariamente alla condivisione delle esperienze che, sostanzialmente, avevano come campo di ricerca “l’umano”, inteso come sistema di reazioni fisiologiche originarie, e quindi slegato da ogni aspetto storico, individuale, geograficoculturale. Gli artisti impegnati in queste ricerche non avevano nazionalità, non volevano averla, e anche per questo era facile e interessante per loro relazionarsi allo scopo di confrontarsi nelle mostre. Si trattava, di concetti sovranazionali e addirittura sovraculturali, e la prova è nella nascita pressoché contemporanea di gruppi, dediti agli stessi tipi di ricerca estetica, in paesi storicamente e culturalmente diversi: non dovrà dunque stupire l’immediata accettazione dell’idea di “gruppo” sovranazionale di artisti e la presenza di questi operatori in mostre realizzate in più paesi, o itineranti attraverso di essi. In Italia, la presenza di Lucio Fontana, con la sua ricerca sullo spazialismo cominciata nel 1947, e di Bruno Munari per la ricerca cinetica e programmata, aveva ispirato e catalizzato l’interesse delle generazioni più giovani, nate tra il 1930 e il 1940. La nascita di Azimut – con Piero Manzoni, Enrico Castellani e altri amici come Agostino Bonalumi, Nanda Vigo e il romano Francesco Lo Savio –, del Gruppo T – di cui in mostra sono presenti le opere di Gianni Colombo, Davide Boriani e Gabriele Devecchi – e del Gruppo N – le cui presenze in mostra sono quelle di Alberto Biasi e di Manfredo Massironi – aveva fatto dell’Italia un referente imprescindibile nel panorama artistico europeo, per questo molti artisti come Dadamaino, il giovane Paolo Scheggi e molti altri, si erano avvicinati alle poetiche di questi gruppi e di Azimut, sino a formare una “massa” consapevole, che aveva definitivamente messo in crisi tutte le esperienze maturate sino ad allora. L’apertura del nuovo decennio aveva infatti visto l’irresistibile ascesa di questa “nuova concezione artistica” (come l’aveva definita Piero Manzoni in un famoso scritto del 1959), che aveva immediatamente mostrato la sua vocazione internazionale, conquistando tra l’altro presenze massicce in grandi manifestazioni come la Biennale di Venezia o le rassegne di Nuove Tendenze a Zagabria. Fu un periodo di intensi scambi europei, che al di fuori dei media, allora praticamente inesistenti, si svilupparono quasi in contemporanea sotto sigle diverse; è interessante notare lo scambio di artisti da una manifestazione all’altra, vale a dire che fin dagli inizi di questa fenomenologia, molti esposero con il Gruppo Zero, con l’arte programmata o con i gestaltici fino alla famosa, perché determinante, mostra di Zagabria del 1963 dove si produsse la definitiva scissione tra i gruppi. Da quel momento, Zero fu Zero e i cinetici, i programmati e i visuali si ordinarono definitivamente.  
   
 

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