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Notiziario Marketpress di Mercoledì 02 Novembre 2011
 
   
  I GIOVANI IN AZIENDA? CHIEDONO FLESSIBILITA’ E COINVOLGIMENTO

 
   
  Trento, 2 novembre 2011 - Cresciuti a base di notebook, social network e smartphone, sono la generazione più diffusamente istruita che ci sia mai stata. Pensano e agiscono secondo le logiche del multitasking e dello zapping: abituati a fare molte cose assieme, solo in questo modo si sentono produttivi. Multiculturali e multilingue, socialmente responsabili, credono nel lavoro purché non si allarghi troppo, a scapito del tempo libero. Generazione Y, Net Generation, chiamateli come volete: sono i venticinquenni, i giovani nati dopo il 1980, che entrando ora nel mercato del lavoro stanno provocando un vero e proprio terremoto in azienda. Portano altri valori, aspettative e richieste diverse rispetto alle generazioni precedenti. Percepiti come alieni, sono i manager del futuro. Una sfida per le imprese che devono riuscire a rinnovarsi per attrarre nuovi talenti, riuscendo ad integrare al meglio generazioni diverse. Se n’è parlato ieri sera con Serenella Panaro, esperta di career coaching, al seminario organizzato da Trentino Sviluppo presso il Polo Tecnologico di Rovereto, nell’ambito dei percorsi di cultura d’impresa. «Sono giovani che fanno fatica ad immettersi nel mercato del lavoro – osserva Serenella Panaro, formatrice ed esperta di Career Coaching - ma che stanno portando molti cambiamenti nei valori e nelle modalità di intendere il lavoro stesso. Spesso poco capiti e mal sopportati, come fossero alieni, sono i manager di domani. Le aziende non possono farne a meno: non resta che sforzarsi di comprenderli, con la disponibilità a rimettere in discussione anche alcuni paradigmi del modo tradizionale di intendere il lavoro, camminarci accanto trovando le giuste leve per valorizzarli». Giovani che entrano in azienda, senior che la lasciano sempre più tardi, anche per via dell’innalzamento dell’età pensionabile. Non è facile combinare un puzzle di generazioni, tutte, contemporaneamente, assieme al lavoro. Quelli della generazione Y, con un’età compresa tra i 18 e i 25 anni, sono molto diversi da chi li ha preceduti: realisti e collaborativi, molto istruiti e quindi poco propensi ad eseguire senza capire, abituati a lavorare in team ma anche poco indipendenti, hanno molte passioni e non rinunciano facilmente alla loro vita per il lavoro. Orientati al successo, sono poco fedeli, con un tempo massimo di permanenza in azienda ridotto ad appena 2 anni. Si aspettano di cambiare da 2 fino a 5 datori di lavoro durante la carriera e sono portatori di una diversa etica lavorativa: imparando dalle brutte esperienze delle generazioni precedenti, vogliono risultati nel breve periodo e richiedono il senso del loro apporto. Vogliono sentire di fare la differenza nel luogo di lavoro o in società, si aspettano di crescere per merito e quindi rapidamente, non sono disposti ad attendere lente progressioni di carriera, che non tengano in conto le loro competenze. In una parola rispettano la competenza, non la seniority. Nel delicato equilibrio tra “dare” e “avere”, se la retribuzione non è giudicata “adeguata” dal collaboratore egli abbasserà il suo livello di contribuzione. E la retribuzione non è più percepita solo come denaro in busta paga: i giovani si aspettano anche vantaggi diversi: formazione, responsabilità, riconoscimento, reputazione, tempo libero, sicurezza e servizi. Le principali fonti di conflitto in azienda? «La flessibilità su orari e modalità di lavoro – spiega Serenella Panaro – perché per loro il lavoro non è luogo dove andare ma ciò che si fa: quindi lo posso fare da casa e su progetti specifici, piuttosto che timbrando il cartellino. Fattori di rischio sono anche lo scarso feedback, perché chi è abituato “postare” messaggi su Facebook non comprende come non si possa ricevere risposta in tempi rapidi, lo scarso “focus” su di loro e sul loro apporto, il senso del lavoro». Ecco, allora, l’importanza in azienda del “manager-coach”. Come un allenatore deve riuscire a motivare le risorse e focalizzarle verso obiettivi aziendali ma anche personali. Le competenze chiave? Ascolto attivo, linguaggio chiaro, incisivo ed efficace, supporto per focus e direzione, chiarire gli obiettivi, senso della sfida, motivazione, responsabilizzare e favorire uno sviluppo costante. «La generazione Y - conclude Panaro - la conquisti solo instaurando una partnership. Le chiavi che aprono questa relazione sono l’essere ritenuti competenti, il riuscire a spiegare il senso di quello che si fa e che si chiede, parlare di loro e coinvolgerli rispetto al loro ruolo, ai loro benefici, al senso del loro lavoro per l’azienda. E poi serve una buona iniezione di flessibilità: su questo le nostre aziende possono ancora crescere molto».  
   
 

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