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Notiziario Marketpress di Lunedì 16 Gennaio 2012
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: SOLTANTO I SOGGIORNI CONFORMI ALLE CONDIZIONI PREVISTE DAL DIRITTO DELL’UNIONE CONSENTONO L´ACQUISIZIONE DEL DIRITTO DI SOGGIORNO PERMANENTE

 
   
  I periodi di soggiorno che il cittadino di uno Stato terzo ha compiuto anteriormente all’adesione di tale Stato all’Unione devono essere presi in considerazione ai fini del calcolo del periodo minimo di cinque anni, purché siano stati effettuati in conformità alle condizioni previste dal diritto dell’Unione. Il sig. Ziolkowski e la sig.Ra Szeja, cittadini polacchi, sono giunti in Germania anteriormente all’adesione della Polonia all’Unione – rispettivamente nel 1988 e nel 1989 – e hanno ottenuto, in conformità al diritto tedesco, il diritto di soggiorno per ragioni umanitarie, che è stato prorogato regolarmente. Nel 2005, successivamente all’adesione della Polonia all’Unione, essi hanno chiesto di ottenere il diritto di soggiorno permanente in Germania, in conformità alla direttiva relativa alla libera circolazione delle persone, diritto che è stato loro negato per il fatto che non avevano un lavoro e che non potevano dimostrare di disporre di risorse proprie sufficienti. Essi hanno contestato tale diniego delle autorità tedesche dinanzi ai tribunali nazionali competenti. Il Bundesverwaltungsgericht (Corte federale amministrativa, Germania), adito del ricorso, chiede sostanzialmente alla Corte di giustizia se periodi di soggiorno compiuti sul territorio dello Stato membro ospitante in conformità al solo diritto nazionale possano essere considerati come periodi di soggiorno legale ai sensi del diritto dell’Unione. Inoltre, la Corte viene interrogata in merito alla questione se i periodi di soggiorno compiuti da cittadini di uno Stato terzo anteriormente all’adesione di quest’ultimo all’Unione debbano essere presi in considerazione nel calcolo della durata quinquennale del soggiorno ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente. La Corte interpreta, in primo luogo, la nozione di “soggiorno legale” contenuta nella direttiva. Essa constata che quest’ultima non precisa il modo in cui debbano essere intesi i termini “che abbia soggiornato legalmente” nello Stato membro ospitante. Del pari, la direttiva non opera alcun rinvio ai diritti nazionali. Ne risulta che detti termini devono essere considerati nel senso che designano una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che dev’essere interpretata in modo uniforme sul territorio della totalità degli Stati membri. Al riguardo, la Corte osserva che il significato e la portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione devono essere stabiliti, in particolare, tenendo conto del contesto in cui essi sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte. La Corte ricorda che la direttiva mira segnatamente ad agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini europei, fatte salve le limitazioni previste dal diritto dell’Unione. In proposito, la direttiva determina le condizioni alle quali i cittadini dell’Unione e i loro familiari possono circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, nonché quelle che essi devono soddisfare per poter acquisire il diritto di soggiorno permanente. Peraltro, essa ha lo scopo di superare un approccio settoriale e frammentario a tale diritto di soggiorno. Per quanto riguarda il suo contesto complessivo, la direttiva istituisce un sistema a tre livelli, nel quale ciascun livello è funzione della durata del soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante e l’ultimo corrisponde al diritto di soggiorno permanente, introdotto per la prima volta dalla direttiva. Tale sistema riprende in sostanza le fasi e le condizioni previste negli strumenti del diritto dell’Unione e nella giurisprudenza anteriori alla direttiva. Così, anzitutto, essa prevede che il cittadino dell’Unione abbia il diritto di soggiornare sul territorio dello Stato membro ospitante per un periodo che va fino a tre mesi, senza altre condizioni particolari che non il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità. Successivamente, l’acquisizione di un diritto di soggiorno di più di tre mesi è subordinata al rispetto di talune condizioni. Per beneficiarne, il cittadino dell’Unione deve segnatamente essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante oppure disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse sufficienti per non divenire un onere per il sistema di assistenza sociale di detto Stato, nonché di un’assicurazione malattia in tale Stato che copra tutti i rischi . Infine, la direttiva instaura un diritto di soggiorno permanente a favore dei cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante. Per quanto riguarda il contesto particolare della direttiva, diverse sue disposizioni subordinano il soggiorno che costituisce presupposto per l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a talune condizioni conformi ai requisiti della direttiva. Alla luce di tali obiettivi nonché del suo contesto complessivo e particolare, la Corte considera che la nozione di “soggiorno legale” che consente di acquisire il diritto di soggiorno permanente debba essere interpretata come soggiorno conforme alle condizioni enunciate da tale direttiva (vale a dire, essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante o disporre, per se stessi e per i propri familiari, di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia). Di conseguenza, il soggiorno conforme al diritto di uno Stato membro, ma che non soddisfi dette condizioni, non può essere considerato soggiorno “legale” ai sensi della direttiva relativa al soggiorno permanente. La Corte conclude quindi che quest’ultima nozione deve essere interpretata nel senso che non si può ritenere che il cittadino dell’Unione che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale di tale Stato abbia acquisito il diritto al soggiorno permanente, se durante tale soggiorno egli non soddisfaceva le condizioni previste dalla direttiva. In secondo luogo, la Corte esamina la questione se i periodi di soggiorno che il cittadino di uno Stato terzo ha compiuto sul territorio di uno Stato membro anteriormente all’adesione di tale Stato terzo all’Unione debbano essere presi in considerazione nel calcolo del periodo minimo necessario ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente. La Corte sottolinea che l’atto di adesione di un nuovo Stato membro è essenzialmente fondato sul principio generale dell’applicazione immediata e integrale delle disposizioni del diritto dell’Unione a detto Stato, salvo deroghe espressamente previste da disposizioni transitorie. Più precisamente, per quanto riguarda le disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione, la Corte ha già giudicato che esse sono applicabili a partire dalla loro entrata in vigore e che devono essere applicate agli effetti attuali di situazioni sorte anteriormente. Nella fattispecie, la Corte constata che non esiste, nell’atto di adesione, alcuna disposizione transitoria che riguardi l’applicazione alla Polonia delle norme sulla libera circolazione delle persone, fatta eccezione per talune regole riguardanti la libera circolazione dei lavoratori e la libera circolazione dei servizi. Conseguentemente, le disposizioni relative al soggiorno permanente possono essere invocate dai cittadini dell’Unione ed essere applicate agli effetti attuali e futuri di situazioni sorte anteriormente all’adesione della Polonia all’Unione. La Corte conclude che i periodi di soggiorno che il cittadino di uno Stato terzo abbia compiuto sul territorio di uno Stato membro anteriormente all’adesione di detto Stato terzo all’Unione devono, in mancanza di disposizioni specifiche contenute nell’atto di adesione, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, purché siano stati effettuati in conformità alle prescrizioni della direttiva. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 21 dicembre 2011, Sentenza nelle cause riunite C-424/10, Tomasz Ziolkowski / Land Berlin e C-425/10 Berbara Szeja e a./Land Berlin) Giustizia europea: le norme dell’Unione destinate alla lotta contro la proliferazione nucleare in Iran Sono vietate la fornitura e l´installazione in Iran di un forno di sinterizzazione idoneo al funzionamento, ma non ancora pronto all´impiego, a favore di un terzo che intenda utilizzarlo per fabbricare componenti di missili nucleari per un´entità assoggettata a misure restrittive. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel dicembre 2008 ha adottato una risoluzione che ha introdotto un certo numero di misure restrittive nei confronti dell´Iran per costringerlo a porre termine alle sue attività nucleari implicanti un rischio di proliferazione e allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari (missili). Al fine di dare attuazione a tale risoluzione, il Consiglio dell´Unione europea ha adottato un regolamento nel 2007, che vieta in particolare di porre, direttamente o indirettamente, fondi o risorse economiche a disposizione delle persone, entità o organismi figuranti in un elenco allegato al regolamento. In detto elenco rientra tra l´altro il Gruppo industriale Shahid Hemmat (Shig). Inoltre, il regolamento vieta di partecipare, consapevolmente e deliberatamente, ad attività aventi l’obiettivo o il risultato diretto o indiretto di eludere, in particolare, tale divieto. Oltre a ciò, il regolamento considera i forni per trattamento termico in atmosfera controllata in grado di funzionare a temperature superiori a 400°C come idonei a implicare il rischio di proliferazione e subordina quindi la loro esportazione, diretta o indiretta, verso l´Iran a una previa autorizzazione. Il Generalbundesanwalt beim Bundesgerichtshof (Procuratore generale federale presso la Corte federale di cassazione, Germania) ha promosso un´azione penale dinanzi all´Oberlandesgericht Düsseldorf (Corte d’appello regionale di Düsseldorf) contro i sigg. Afrasiabi, Sahabi e Kessel, in quanto presume che questi ultimi abbiano violato tale regolamento, avendo partecipato alla fornitura e all’installazione, in Iran, di un forno di sinterizzazione in ceramica proveniente dalla Germania. La costruzione di missili a lunga gittata che potrebbero essere utilizzati come sistemi di lancio di armi di distruzione di massa necessiterebbe dell´impiego di forni di sinterizzazione per ricoprire taluni componenti di rivestimenti refrattari. Al fine di acquistare un siffatto forno per conto della sua impresa iraniana Emen Survey - ma, stando alle asserzioni del procuratore federale, a vantaggio di Shig, che agirebbe quale centrale di committenza a favore del programma iraniano di missili -, il sig. Afrasiabi si sarebbe messo in contatto, mediante il sig. Sahabi, con il sig. Kessel, direttore dell´impresa di produzione tedesca Fct-systeme Gmbh. Quest´ultima avrebbe consegnato il forno a Emen Survey nel luglio 2007. Inoltre, il sig. Kessel avrebbe inviato due tecnici a Teheran, che avrebbero installato il forno ma non il software necessario per metterlo in funzione. Il sig. Afrasiabi avrebbe previsto di fabbricare successivamente, per mezzo di detto forno, componenti di missili nucleari per Shig, progetto che sarebbe in definitiva fallito, dato che il forno non è stato reso operativo dal sig. Kessel. L´oberlandesgericht Düsseldorf, chiamato a pronunciarsi sull´apertura del procedimento penale nel merito, nutre dubbi riguardo all’interpretazione del regolamento e interpella la Corte di giustizia a tale proposito. Con la sua sentenza odierna, la Corte precisa che un forno di sinterizzazione costituisce una risorsa economica ai sensi del regolamento. In considerazione del rischio di sviamento a sostegno della proliferazione in Iran, non è necessario che detto forno sia immediatamente pronto per l´impiego. Gli atti consistenti, ove il punto di partenza sia uno Stato membro, nel fornire e installare in Iran, a favore di una persona, un forno di quel genere, così come gli atti relativi, segnatamente, alla preparazione e al monitoraggio della consegna o dell´installazione del forno di cui trattasi o, altresì, all’organizzazione di contatti tra gli interessati, possono rientrare nella nozione di «messa a disposizione». Alla luce del fatto che nell´elenco allegato al regolamento rientra Shig e non il sig. Afrasiabi, la Corte osserva che, ove il sig. Afrasiabi abbia agito a nome, sotto il controllo o su istruzioni di Shig e abbia avuto l’intenzione di utilizzare il forno a vantaggio di quest´ultimo, il che spetta all´Oberlandesgericht Düsseldorf verificare, detto giudice sarebbe autorizzato a ritenere che la fattispecie configuri una messa a disposizione indiretta del forno a favore di Shig. Inoltre, sebbene il divieto previsto dal regolamento includa l´insieme dei soggetti coinvolti negli atti vietati, quest´ultimo si applica solo a coloro che sapevano o, almeno, avrebbero dovuto ragionevolmente presumere che tali atti erano contrari a detto divieto. In conclusione, la Corte risponde che il divieto, ai sensi del regolamento, di mettere a disposizione indirettamente una risorsa economica include gli atti relativi alla fornitura e all´installazione in Iran di un forno di sinterizzazione idoneo al funzionamento, ma non ancora pronto all´impiego, a favore di un terzo che, agendo a nome, sotto il controllo o su istruzioni di una persona, di un´entità o di un organismo menzionato negli allegati di detto regolamento, intenda utilizzare il forno di cui trattasi per produrre, a vantaggio di quella persona o entità o di quell´organismo, beni idonei a contribuire alla proliferazione nucleare nello Stato di cui trattasi. (Corte di giustizia dell’Unione europea Comunicato Stampa n. 143/11 Lussemburgo, 21 dicembre 2011Sentenza nella causa C-72/11 Afrasiabi e a. )  
   
 

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