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Notiziario Marketpress di
Martedì 05 Giugno 2012 |
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L’ETA’ DELLA CREAZIONE DEI POSTI DI LAVORO
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Trento, 5 giugno 2012 - Per creare posti di lavoro “è meglio essere giovani che piccoli”. E’ questa la tesi sostenuta e argomentata dal professor John C. Haltiwanger, che ha illustrato al pubblico del Festival come, negli Stati Uniti, la creazione di nuovi posti di lavoro da parte delle imprese dipende più dall’età dell’azienda che dalle sue dimensioni. La relazione di Haltiwanger, economista e professore di Economia all’Università del Maryland, si è tenuta il 2 giugno al Consorzio dei Comuni di Trentini, ed è stata introdotta dal giornalista del Sole 24 Ore Dino Pesole. “Per reagire alla recessione, ha esordito il professore, è di fondamentale importanza capire quali siano i soggetti che creano più posti di lavoro”, verificando la convinzione che l’incentivo maggiore venga principalmente dalle piccole aziende. Una tesi sostenuta finora da tutti i presidenti americani da Reagan in poi, ma che Haltiwanger non esita a definire fuorviante. “Ragionando per estremi, può sembrare così - ha proseguito - ma un’analisi più attenta delle statistiche mostra come sia l’età dell’azienda e non la sua dimensione a incidere più profondamente sul numero di nuovi posti di lavoro”. Dunque chi crea realmente i nuovi posti di lavoro: le piccole imprese, le grandi imprese o le giovani startup? Haltiwanger ha quindi analizzato l’attuale situazione americana, evidenziando come le grandi aziende - nonostante occupino solo una minima percentuale del totale delle imprese - offrano lavoro a quasi la metà del totale dei lavoratori, con risultati tendenzialmente stabili. Nel caso delle piccole e medie imprese invece il dato cambia drammaticamente nel tempo, dal momento che molte aziende in forte ascesa nel primo periodo e successivamente classificate come “piccole imprese”, vengano poi ridimensionate o chiuse nel corso degli anni. Va quindi fatta una netta distinzione fra queste piccole imprese con le giovani startup, accomunate dal numero di dipendenti ma non dall’età. Nei primi anni infatti, le difficoltà che si pongono davanti a un’azienda di nuova creazione (dai costi della burocrazia al comportamento del mercato) possono portarla tanto al successo quanto al fallimento, confermando o compensando in negativo il numero di posti di lavoro che aveva precedentemente creato. In tutto ciò, non va perso di vista il dato di produttività: da un lato infatti è positivo che le startup falliscano, dal momento che una simile dinamica innesca un meccanismo di selezione che eleva gli standard del mercato. Haltiwanger ha quindi ripercorso il cammino di una startup dall’idea iniziale all’affermazione, evidenziando le variabili che ne decretano il successo o il fallimento. La mancanza di finanziamenti successivi a quello iniziale e il complesso delle variabili esterne (andamento del mercato, avanzamento tecnologico, dinamiche di globalizzazione e costi fissi) costringono infatti queste aziende a un rapido adattamento che le porta a reinventarsi. Se gestita da un management lungimirante l’azienda cresce. Se l’adattamento è lento o nullo l’azienda è destinata al fallimento e ai licenziamenti. La stabilità del dato di occupazione quindi, dipende in buona misura dalla capacità di innovazione e adattamento dell’azienza, sia che questa sia già affermata sia che si appresti a crescere. Dal 2006 il numero di nuove startup in America è drasticamente crollato, e a differenza di quanto avvenuto in passato il dato non accenna ancora a risalire. La ricerca dei motivi che causano questa situazione è quindi cruciale per pianificare l’uscita dalla crisi. “Il contributo degli imprenditori e delle giovani imprese in crescita è parte integrante del processo di reinvenzione dell’economia, ha concluso il professore”. La rimozione degli ostacoli che ne possono limitare l’ascesa è quindi una priorità improrogabile, per favorire il percorso che porta le startup a diventare aziende stabili e pienamente produttive. |
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