|
|
|
 |
  |
 |
|
Notiziario Marketpress di
Mercoledì 05 Giugno 2013 |
|
|
  |
|
|
L´ITALIA E IL FEDERALISMO MANCATO
|
|
|
 |
|
|
Trento, 5 giugno 2013 - "Chi comanda in Italia?". Questa la
domanda che "lavoce.Info" ha posto nel suo Forum all´ex-ministro per i rapporti
con il Parlamento Piero Giarda, al presidente della Provincia autonoma di
Trento Alberto Pacher, al sindaco di Verona Flavio Tosi e all´economista e più
volte ministro della Repubblica Vincenzo Visco. Il tema, quello del "federalismo
all´italiana", e dei suoi evidenti limiti, che hanno spinto l´ex-premier
Monti ad evocare la necessità di una revisione della riforma del Titolo V della
Costituzione, che risale al 2001. Persistente centralismo dello Stato da un
lato, dunque, e autoreferenzialità degli
enti locali dall´altro, mentre sullo sfondo rimane inevasa la richiesta,
avanzata da più parti, di un Senato federale. Per Pacher "il tema della
riorganizzazione dei poteri e dei flussi di decisioni è fondamentale per la
politica nel momento in cui la politica ha perso credito e autorevolezza. I
Paesi dove è più forte il federalismo sono anche quelli dove è più forte
l’identità nazionale, come gli Stati Uniti o la Germania. Ciò vale anche per il
Trentino e il suo ruolo in seno all´Italia. Noi non ci siamo mai sottratti alle
nostre responsabilità, anzi, abbiamo anche rilanciato".
Il quadro tracciato da
Giarda in apertura dell´incontro è stato innanzitutto un quadro storico.
"Nel 1861, quando Roma presentava il primo progetto di regionalizzazione
della costituendo Regno d’Italia, risultava che il finanziamento statale ai
comuni copriva l’1% della spesa. Ma il ricorso all’indebitamento dai comuni
doveva essere autorizzato dal governo centrale, ovvero dal prefetto. Nel 1980
troviamo una proporzione rovesciata: le fonti di entrata proprie dei Comuni
coprivano il 7-8% della spesa totale. Con la riforma del 2000 sono stati quindi
introdotti 2 principi contraddittori: lo Stato ha il dovere di intervenire per
il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni, ma anche per
correggere le differenze nella capacità contributiva dei territori. Ad oggi non
si è riusciti a conciliare questi due principi."
Un fenomeno a cui si è
assistito è stato quello della crescita della spesa sanitaria sulla spesa
pubblica complessiva, di 5 punti percentuali in 20 anni. Un costo sopportato
essenzialmente dalla scuola, rimasta una competenza del governo centrale (con
eccezione ad esempio del Trentino Alto Adige). Il federalismo fiscale, infine,
ha provocato risultati diseguali: la spesa locale è risultata più efficiente al
Nord piuttosto che a Sud. Chi spende peggio, però, non è chi spende di più, ma
generalmente chi spende di meno. Le regioni a Statuto speciale del Nord
spendono generalmente il 30% in più della media, ma amministrano anche meglio.
Per Visco "va operata
una distinzione fra decentramento dei poteri dello Stato e decentramento
finanziario e fiscale. Da noi abbiamo immaginato che il federalismo portasse
più soldi agli enti decentrati. Invece sul piano delle risorse ciò era avvenuto
semmai nella seconda metà degli anni 90, periodo in cui era triplicata
l’autonomia fiscale locale. La riforma del Titolo V ha riguardato invece i
poteri. E non mi pare che sia stata fatta bene. Ci sono oggi materie, beni e funzioni
pubbliche su cui è molto forte la sovrapposizione di competenze.Il modello
alternativo che andava applicato era quello del principio di
sussidiarietà".
Tosi ha chiosato
innanzitutto sulla sanità: "Nonostante in alcune – poche - Regioni la
spesa pro capite sia andata fuori controllo, l’Italia è uno dei paesi che
spende meno in questo settore (7%). Il problema in generale è che nel nostro
paese anziché attuare il federalismo si è attuato un regionalismo
irrensponsabile. Sono stati creati nuovi centri di spesa senza
responsabilizzarli sul come dovevano procacciarsi le risorse. A Verona un terzo
del bilancio era a carico dello Stato. Oggi questa percentuale è del 7% appena.
Se lo Stato ha tagliato trasferimenti gli enti locali hanno aggiunto tasse. Lo
Stato dal canto suo con i soldi risparmiati delle Regioni ha aumentato la spesa
a livello centrale. Ed infine, ci sono oggi Regioni che spendono di più, come
le Speciali (con modalità di spesa diversa, in genere hanno speso bene a parte
la Sicilia). In definitiva, si devono fissare parametri standard e si deve
imporre ad ogni Regione di rientrare in questi parametri".
Il presidente Pacher infine
ha ricordato che "il federalismo non mette a repentaglio la coesione
nazionale. Sembra una contraddizione ma non lo è. Il federalismo serve proprio
a rafforzare l’architettura del sistema nel suo complesso. L’autonomia speciale
pone il Trentino in una condizione particolare. Il percorso del confronto fra
noi e lo Stato è stato segnato in epoca recente dall’Accordo di Milano. Lì si è
prodotto un aggiornamento dello Statuto di Autonomia, un atto di ´manutenzione
straordinaria´, che noi giudichiamo indispensabile. La proposta concordata
prevedeva una accresciuta responsabilizzazione della Provincia sulla gestione
anche finanziaria dell’Autonomia, legando in maniera ancora più stretta la
finanza pubblica al gettito fiscale prodotto localmente. Dal 2009 ad oggi nel
frattempo è cambiato il mondo. Sono subentrate le manovre da parte dello Stato
per il risanamento dei conti pubblici, con la compartecipazione anche delle
Regioni e Province autonome. Il Trentino non si è mai chiamato fuori, anzi, ha
rilanciato ulteriormente: a fronte del riconoscimento dei 9/10 del gettito
erariale, siamo pronti ad assumerci tutte le spese che lo Stato ancora sostiene
sul nostro territorio, circa 480 milioni all’anno. O si segue questa strada, o
sarà difficile portare il Paese ad un più alto livello di consapevolezza
riguardo alle responsabilità di ognuno".
|
|
|
|
|
|
<<BACK |
|
|
|
|
|
|
|