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Notiziario Marketpress di
Giovedì 06 Giugno 2013 |
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IL PROFITTO DELLE BANCHE: UNA GARANZIA PER IL RISPARMIATORE
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Trento, 6 giugno 2013 - «Avere
paura delle banche estere? È un falso problema, dobbiamo piuttosto temere il
vivaio della mediocrità nella classe dirigente delle banche. In Italia la
proprietà pubblica o semi-pubblica ha fatto male alle banche perché le ha
gestite seguendo logiche politiche, poco trasparenti, a volte in conflitto con
il loro obiettivo principale: fare profitto» spiega l’economista Paola
Sapienza. La competizione e la ricerca del profitto hanno invece un effetto
positivo sulla gestione delle banche e stimolano la creazione di una classe
manageriale efficiente. Competizione sì, ma non a tutti i costi: la logica del
profitto, se moderata da tutele al consumatore, produce effetti di efficienza
che hanno ripercussioni positive sull’economia reale. Al Festival dell´Economia
una riflessione sugli effetti della governance delle banche sull´economia
reale. “Dobbiamo a tutti i costi mantenere italiane le banche. Le nostre banche
garantiscono il finanziamento ai nostri progetti nazionali, mentre quelle
estere portano i capitali all’estero al servizio di altre comunità”: sono
affermazioni che si sono sentite di recente in ambito politico ed economico nel
nostro Paese. Ma è davvero così? Il Festival dell’Economia di Trento si
interroga sulla presenza degli stranieri nelle nostre banche e lo fa con
l’aiuto dell’economista Paola Sapienza, docente della Northwestern University e
della Kellogg School of Management ed esperta di governance bancaria. «Si
tratta di una domanda rilevante, soprattutto nell’Italia di oggi – ha
sottolineato Paola Sapienza nell’incontro che si è svolto nella sala conferenze
del Dipartimento di Economia dell’Università di Trento – perché la paura dello
straniero e il protezionismo hanno nascosto nel corso di questi ultimi
cinquant’anni una tutela del sistema bancario che lo ha fatto deteriorare. In
Italia la proprietà pubblica o semi-pubblica ha fatto male alle banche, perché
ha permesso di assecondare troppo la politica. La proprietà pubblica sposta gli
obiettivi da una massimizzazione dei profitti a obiettivi generici che
forniscono all’organizzazione bancaria una scusa per non essere efficiente. La
protezione dalle acquisizioni ostili, in più, genera una cultura
accondiscendente all’interno delle imprese in generale e induce meno sforzo da
parte della classe dirigente e una crescita inferiore». «Le banche – spiega
Sapienza – dovrebbero invece svolgere il ruolo di intermediari nell’economia
tra i risparmiatori che investono e la parte produttiva dell’economia, gli
imprenditori e i lavoratori che necessitano di capitale finanziario per
sviluppare i loro progetti. Quando le banche sono efficienti, questo passaggio
di capitale viene indirizzato in modo mirato. Ma cosa spinge il meccanismo
bancario ad essere efficiente? Essenzialmente un solo aspetto: il profitto.
L’imprenditore bancario mette a disposizione i capitali (e il suo capitale
umano) per sostenere la parte produttiva del Paese che ha le idee e che va
cercata. In Italia, invece, le banche non si dimostrano in grado di riconoscere
il merito di credito che si trova nelle società, perché non fanno più le
banche. Fanno altro e sono troppo succubi di meccanismi politici che proteggono
realtà importanti ma poco produttive. Da qui derivano le difficoltà a concedere
prestiti». Dunque la competizione va vista come aspetto positivo? «Se
regolamentata sì - spiega Sapienza -. Per molti anni la competizione è stata
temuta come elemento destabilizzante del sistema: l’atteggiamento politico l’ha
limitata, per evitare che le banche si esponessero a rischi molto alti. Negli
Stati Uniti degli anni Novanta l’apertura alla competizione ha portato effetti
positivi: crescita di nuove imprese, accesso al credito degli imprenditori e un
miglioramento dell’economia reale. Ma la gestione deve essere competente e il
ruolo chiave è quello della proprietà, degli azionisti. Ciò che maggiormente
genera inefficienza nell’erogazione del credito è quando la banca non è
unicamente interessata al profitto ma segue altre logiche, come nel caso delle
banche pubbliche che finanziano i soliti noti o persone che non hanno naturale
accesso al credito, oppure quando ci sono azionisti in conflitto di interesse o
che rischiano capitali non propri. La competizione bancaria fa bene
all’economia reale perché le banche diventano più efficienti e prestano meglio
a tutto vantaggio delle imprese. La ricerca del profitto può essere vista come
uno strumento che garantisce l’efficienza e, di conseguenza, il risparmiatore.
Va però mitigato con un sistema di meccanismo che possano mitigarne gli
eccessi».
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