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Notiziario Marketpress di
Venerdì 26 Settembre 2014 |
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LA GOLA DEI DINOSAURI IN UMBRIA IL TURISMO È ANCHE STORIA.
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E fra le tante, ce n’è una più grande. Grande perché racconta la Terra per milioni di anni. E perché, come tutte le più grandi storie, è fatta di avvenimenti sorprendenti in cui la realtà supera la fantasia. Si snoda nel cuore delle montagne di Gubbio, lungo la Sr298, che percorre tortuosa la Gola del Bottaccione. Qui c’è la prova della più affascinante fra le teorie sull’estinzione di massa: l’evento catastrofico che avrebbe segnato la fine dei dinosauri sulla Terra. La scoperta – A metà degli anni ’70, il giovane geologo americano Walter Alvarez venne in Umbria per studiare le maestose sequenze di roccia sedimentaria che, uniche al mondo, rappresentano l’archivio di milioni di anni di storia del nostro pianeta. I suoi obiettivi non erano certo così ambiziosi da pensare di riuscire a leggerci dentro il motivo della scomparsa dei dinosauri e di molte altre forme di vita. Ma la casualità a volte gioca un ruolo importante nelle grandi scoperte. E Alvarez notò che uno degli strati di roccia non conteneva i microscopici gusci fossili tanto abbondanti nei calcari impilati sotto e sopra a quel piccolo livello rossastro. La cosa, anche se esulava dall’ambito della sua ricerca, lo incuriosì. I fossili sono la testimonianza della presenza di vita nel periodo di tempo in cui si forma una roccia. Perché in quel particolare strato non ce n’erano? Raccolse molti campioni ed iniziò ad analizzarli. I dati che ottenne erano inconsueti. Indicavano altissimi contenuti in Iridio, un metallo molto raro sulla crosta terrestre, ma comune nei frammenti di asteroidi che cadono sulla Terra. Dunque la roccia registrava forti concentrazioni di un elemento di probabile provenienza extraterrestre, e non conteneva forme di vita. Nella mente del ricercatore cominciò a germogliare il seme di un’idea. Tanto anticonvenzionale – per quel tempo – quanto lo era la roccia che l’aveva ispirata. La teoria del meteorite – Nel 1980 Alvarez propose la sua teoria. Un grosso meteorite poteva essere caduto sulla Terra. Il fortissimo impatto avrebbe provocato la polverizzazione di grandi pezzi del corpo celeste, i cui elementi – come l’Iridio – sarebbero poi ricaduti anche a grandissima distanza, entrando a far parte della composizione delle rocce che si stavano formando in quel momento. Gli sconvolgimenti climatici innescati dalla collisione avrebbero causato danni enormi alle forme di vita che popolavano la Terra, fino a portarne gran parte all’estinzione. La roccia del Bottaccione presentava infatti un’altra particolarità. Aveva 65 milioni di anni. Data significativa per i paleontologi, che avevano già da tempo appurato come quell’epoca rappresentasse un limite molto netto per l’evoluzione della vita sulla Terra. La maggior parte dei fossili recuperati dalle rocce più antiche di 65 milioni di anni – come i dinosauri – nelle formazioni più recenti non compaiono più. Al loro posto si trovano le vestigia di forme viventi completamente diverse. Come se 65 milioni di anni fa fosse accaduto qualcosa di così improvviso e letale da azzerare quasi totalmente la vita prosperata fino ad allora. L’ipotesi del meteorite calzava a pennello. Ma – per lunghi anni – solo nella mente di Alvarez. Scetticismi e rivincite – I detrattori della nuova, anticonformista teoria, basavano le loro critiche su due punti fondamentali. Il primo era di natura filosofica, e riguardava il concetto dell’Attualismo: principio secondo cui i processi che hanno operato nel passato sono gli stessi che osserviamo nel presente. La vita evolve gradualmente, le specie mutano o si estinguono nell’arco di lunghissimi periodi di tempo, non all’improvviso. Da questo punto di vista l’ipotesi di Alvarez era improponibile. Il secondo scoglio aveva un carattere più prosaico. Dov’era il cratere di questo meteorite? Un bolide di dimensioni tali da provocare l’apocalisse delineata da Alvarez, avrebbe dovuto lasciare una cicatrice indelebile sulla faccia della Terra. Ma nessuno dei crateri conosciuti fino ad allora era grande abbastanza, né corrispondeva all’età cruciale. Per avvalorare la sua teoria, Alvarez aveva bisogno di un cratere largo almeno 150 Km e vecchio 65 milioni di anni. Le sue ricerche continuarono per molto tempo. Nel 1990, un gruppo di studiosi che credeva in lui, trovò il candidato ideale: era ben nascosto fra la costa della penisola dello Yucatan ed il fondale marino antistante. Largo 180 Km e generato da una meteora grossa almeno quanto l’Everest, il cratere di Chicxulub era vecchio esattamente 65 milioni di anni. Di fronte ad evidenze così schiaccianti, anche gli scetticismi di natura filosofica si spensero. La teoria che Alvarez aveva faticosamente portato avanti per 10 lunghi anni era finalmente riscattata. Un belvedere eccezionale – Per chi ha voglia di osservare il panorama da un altro punto di vista, i monti di Gubbio rappresentano un belvedere eccezionale. E’ per questa nuova e più ampia panoramica che, nel 2008, Walter Alvarez ha ricevuto la maggiore onorificenza nel campo della geologia: il premio Vetlesen, equivalente al Nobel nell’ambito delle scienze naturali. La comunità scientifica, conferendogli il prestigioso riconoscimento, ha voluto sottolineare l’essenza fondamentale dei suoi studi. Oggi esistono altre teorie, parallele a quella di Alvarez, che introducono la possibilità che anche altri eventi di natura terrestre possano aver avuto ruoli comprimari nel fenomeno dell’estinzione di massa. Ma il suo lavoro ha dimostrato come eventi catastrofici possano rimodellare improvvisamente il corso dell’evoluzione sul nostro pianeta. Ci ha dato una visione alternativa della storia della vita sulla Terra, dimostrandoci quanto il nostro pianeta possa essere intimamente collegato al resto dell’Universo. Ha allargato i nostri orizzonti, offrendoci un panorama in cui tutto può dipendere anche da come il nostro mondo interagisce con gli altri corpi cosmici. Alvarez non ha solo trasportato lo studio degli impatti extraterrestri dal campo della fantascienza a quello della scienza, ma ha cambiato per sempre il modo in cui osserviamo il nostro pianeta e la sua evoluzione. Con il moderno catastrofismo, ora ben radicato non solo nella bibliografia scientifica, ma anche in quella divulgativa, nella cinematografia e negli allestimenti museali, Alvarez ha avuto successo anche nel creare un solido ponte fra il mondo scientifico e quello della cultura popolare. |
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