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Notiziario Marketpress di Giovedì 12 Aprile 2007
 
   
  AGROBIOTECNOLOGIE: OGM E SVILUPPO DELL’AGRICOLTURA NEL TERZO MONDO

 
   
  Benefici economici per 27 miliardi di dollari (pari a circa 20,5 miliardi di Euro): questo il valore aggiunto che i raccolti geneticamente modificati (gm) hanno portato a livello globale nel periodo 1996-2004. E il 90% di coloro che hanno potuto usufruirne sono agricoltori con appezzamenti di dimensioni limitate e con poche risorse a disposizione. Si stima che le nuove colture abbiano contribuito direttamente a migliorare le condizioni di vita di circa 7,7 milioni di agricoltori. Ma i raccolti geneticamente modificati sono importanti anche in termini di benefici per l’ambiente, in quanto riducono l’utilizzo di agrofarmaci. Si calcola infatti che nello stesso periodo ci sia stata una riduzione nell’uso di agrofarmaci in campo di circa 172. 500 milioni di tonnellate. Nell’ambito del convegno Biovision – Life Science World Forum che ha recentemente riunito a Lione i più importanti esperti a livello mondiale del mondo scientifico, rappresentanti di governo, istituzioni, e industria - si è discusso il ruolo delle biotecnologie applicate all’agricoltura per alleviare fame e povertà e raggiungere uno degli obiettivi più ambiziosi tra i cosiddetti “Millennium Goals” stabiliti dalle Nazioni Unite nel 2000: dimezzare entro il 2015 il numero di persone che soffrono la fame. Un numero ad oggi pari a 854 milioni di persone, di cui ben 820 milioni vivono nei paesi in via di sviluppo. Nel suo intervento a Biovision, il Professor Dirian Makinde, della School of Agriculture, Rural Development and Forestry dell’Università di Venda, in Sud Africa, ha sottolineato l’importanza per i Paesi in via di sviluppo di ricorrere a nuove tecnologie per garantire una produzione alimentare sostenibile. Questo vale in modo particolare per l’Africa, poiché la maggior parte dei paesi meno sviluppati economicamente si trovano in questo continente: nella classifica stilata dalle Nazioni Unite scorrendo le ultime 50 posizioni è possibile trovare ben 35 Stati africani. Makinde ha citato uno studio condotto nel 2002 in Sud Africa nel quale il mais e il cotone Bt sono stati messi a confronto con varietà tradizionali. In entrambi i casi le varietà Bt hanno prodotto maggiori rese e consentito maggiori ricavi per gli agricoltori. Un aspetto, quello della resa, particolarmente importante per gli agricoltori di queste zone. Motlatsi Musi, agricoltore sudafricano con un appezzamento di piccole dimensioni, ha portato la propria testimonianza confermando i risultati ottenuti: “Guadagno 3000 Rand in più (pari a circa 430 €) da un raccolto Bt rispetto a un raccolto tradizionale”. Thandiwe Myeni, anche lei sudafricana e coltivatrice di cotone Bt dal 1999 su un appezzamento di piccole dimensioni ha aggiunto: “Ottengo una resa per ettaro più che doppia dal raccolto di cotone Bt rispetto a quello tradizionale; inoltre risparmio sugli agrofarmaci poiché devo trattare il cotone Bt solo due volte nel corso della stagione, mentre il campo tradizionale deve essere trattato una volta a settimana”. Ma gli scienziati stanno già guardando oltre. Particolarmente importanti per i Paesi in via di sviluppo sono le nuove applicazioni delle agro-biotecnologie mirate a rendere le piante resistenti agli stress, ossia in grado di crescere e produrre anche in condizioni climatiche e di terreno sfavorevoli. Makinde ha spiegato che in Sud Africa il mais resistente alla siccità sta passando alla fase di prova in campo; nella stessa direzione si sta lavorando in Egitto, dove nei prossimi due o tre anni potrebbe essere disponibile una varietà di grano resistente agli stress idrici. Sempre in Sudafrica la ricercatrice Jennifer Thomson ha sviluppato una varietà di mais capace di resistere a un virus che devasta i raccolti, con conseguenze pesantissime per gli agricoltori, la cui sussistenza dipende spesso esclusivamente dalla resa di piccoli appezzamenti di terreno. Conclusa con successo la fase sperimentale in serra, Jennifer Thomson è ora in attesa delle autorizzazioni necessarie per passare alla fase sperimentale in campo aperto. La ricerca in Africa è, a dispetto delle evidenti difficoltà, attiva e testimonia l’interesse con cui questi Paesi guardano a queste tecnologie. Nel corso del suo intervento il Professor Makinde si è interrogato sull’atteggiamento prevalente nella Ue nei confronti delle piante geneticamente modificate e sul perché, di fronte ai benefici comprovati, in Europa il clima sia ancora di sospetto. Un atteggiamento che penalizza in modo particolare i paesi delle aree più svantaggiate. Le politiche comunitarie e la percezione degli ogm all’interno della Ue rendono estremamente difficoltoso il processo di ricerca, sviluppo e commercializzazione delle biotecnologie applicate all’agricoltura, in particolar modo nei paesi in via di sviluppo che sono anche partner commerciali della Ue in ambito agricolo. I consumatori europei percepiscono gli alimenti gm come “contaminati”, di conseguenza i paesi in via di sviluppo che dipendono dai mercati europei non li coltivano e perdono così importanti vantaggi economici e sociali. A peggiorare la situazione vi sono inoltre i problemi collegati ai rigidi requisiti di tracciabilità richiesti dalle normative europee, che la maggior parte di paesi in via di sviluppo trova troppo difficili e onerosi da applicare. “Benché la politica europea sia volta a tutelare i consumatori e l’ambiente da eventuali pericoli, a dieci anni dal loro utilizzo non si sono verificati casi in cui i raccolti geneticamente modificati si siano rivelati dannosi per la salute umana o per l’ambiente. ”, ha sottolineato il Prof. Makinde. Esiste dunque, secondo il professore, un notevole squilibrio fra gli ipotetici benefici per i cittadini derivanti dalla non adozione di colture gm rispetto ai vantaggi concreti di cui potrebbero usufruire i paesi in via di sviluppo. “L’unione europea non ha infatti tenuto in considerazione le ripercussioni negative che la propria politica e atteggiamento hanno sui paesi in via di sviluppo”, ha concluso Makinde. .  
   
 

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