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Notiziario Marketpress di Lunedì 10 Settembre 2007
 
   
  “TIZIANO. L’ULTIMO ATTO”, CURATA DA LIONELLO PUPPI E ALLESTITA DAL GRANDE ARCHITETTO TICINESE MARIO BOTTA: UNA DELLE ESPOSIZIONI PIÙ ATTESE DELL’ANNO, OSPITATA A PALAZZO CREPADONA A BELLUNO E NELLA SEDE DELLA MAGNIFICA COMUNITÀ DI CADORE A PIEVE DI CADORE, PAESE NATALE DELL’ARTISTA. 15 SETTEMBRE 2007 – 6 GENNAIO

 
   
  Milano, 10 settembre 2007 - Una mostra unica racconta gli ultimi anni della vita e dell’arte del grande Maestro. Un gigante di fronte alla morte, ricondotto dopo secoli, nella sua terra d’origine. Il grande Tiziano, il “divin pittore” colto negli ultimi, fondamentali anni della sua vita e della sua folgorante carriera – gli anni della resa dei conti con la vita, gli affetti e il fare artistico – verrà presentato in una mostra senza precedenti, ambiziosa per le ricerche condotte e gli studi che l’accompagnano, che ricondurrà finalmente il maestro nella sua terra d’origine. Gli ultimi venti anni, costituiscono una fase cruciale del percorso esistenziale ed artistico di Tiziano. Nel 1556 muore Pietro Aretino, il fraterno amico, l’agente spregiudicato, il promotore della sua arte; nel ’58 scompare Carlo V, cui lo aveva legato un antico rapporto e probabilmente un sincero sentimento di gratitudine, e l’anno seguente anche l’amato fratello Francesco lo lascia. Tiziano comincia a sentirsi più solo e più vecchio; il suo senso della famiglia si rafforza e cresce in lui la necessità di riallacciare il legame con il paese natale e il suo Cadore, ove periodicamente torna. Così verso la metà degli anni Sessanta, quasi ottantenne, come il vecchio Ezechia si preoccupa di “mettere ordine alle cose della sua casa”: ed è un intreccio di faccende pratiche da sistemare e di “alti pensieri”, che si concentrano in meditazioni sul senso del tempo, la fragilità della bellezza, l’ineluttabilità della morte, il peccato, la redenzione, la salvezza nell’Eternità. Se nell’ottobre del 1565 era salito nella sua Pieve – assistito dall’equipe ormai ben collaudata, composta dal figlio Orazio, il nipote Marco, Valerio Zuccato e un enigmatico discepolo tedesco, Emanuele Amberger – tante partite il “gran vecchio” sapeva aperte e s’affannava a chiudere. Erano i conti di “dare e avere” con la Magnifica Comunità di Cadore ed il commercio del legname; il controllo delle prebende fatte confluire sul figlio indocile, Pomponio, che gli si rivoltava contro; il recupero dei crediti nei confronti di Filippo Ii; dispute e indebitamenti col Fisco veneziano; una figlia illegittima da mettere cautamente al sicuro, e altri affanni ancora. Nel 1566 Giorgio Vasari, dopo averlo visitato nella casa veneziana al Biri Grande, ne aveva consacrato la fama di “pittore divino” – costruita negli anni precedenti dall’Aretino e dal Dolce – dedicandogli una circostanziata ed encomiastica biografia nell’edizione giuntina, nel 1568, delle Vite. Nel decennio, suppergiù, che lo separa dall’ora della morte – che scoccherà, nell’infuriar della grande peste il 27 agosto 1576 – Tiziano continua a operare a dispetto della vista che gli si appanna e delle mani che tremano. La pittura del Maestro – ora concentrata soprattutto sui soggetti sacri e mitologici – riflette gli eventi e il senso d’inquietudine e di minaccia di questi anni, acuito dalle incertezze della situazione europea e dall’avvio della Controriforma. Tiziano frena l’impeto torrenziale dei precedenti decenni: alle fatice pittoriche s’applica, non solo con inattesa parsimonia, ma con una sorta di disincanto, preoccupato ormai d’appagare anzitutto l’urgenza della propria vena espressiva. E, mentre nelle opere commissionate accetta di essere assistito dalla bottega, stabilmente costituita dal manipolo che lo aveva accompagnato a Pieve di Cadore nel ‘65 – e a questa lascia l’esecuzione di repliche di opere fortunate o di immagini devote per chiese della Marca e del Cadore – si concentra su poche altre, con o senza gli assistenti – quasi un lungo testamento – sprigionandovi la libertà incondizionata di un fare pittorico prodigioso e privo di comparazione possibile. Le accumulerà nelle stanze della casa veneziana e diventeranno, all’indomani della sua morte, oggetto della contesa furibonda tra il figlio Pomponio e il genero Cornelio Sarcinelli, sino alla dispersione per i rivoli del mercato artistico. La mostra che aprirà il 15 settembre presenterà – con numerose novità interpretative e gli esisti di importanti studi – quest’ultima tormentata e favolosa stagione di Tiziano, esponendo a Palazzo Crepadona, in un evento stimolante per il pubblico e la critica, numerose opere che la rappresentano, ma anche dipinti di cronologia precedente e però trattenuti in casa dal Maestro per scelta ed effetto, e là rimasti alla sua morte, oppure necessari a far comprendere il formarsi dell’arte – affascinante – dell’ultimo periodo: quella pittura disgregata fatta di solo colore, quell’ ”impressionismo magico” che coinvolge e scuote, quell’apparente non finito che è il segno del turbamento e del dubbio esistenziale di un’epoca. Ancora, un gruppo di disegni coerenti con quegli umori e, infine, le incisioni che, frattanto, Tiziano si preoccupava di far imprimere – controllandone l’esecuzione – a testimonianza della sua impareggiabile avventura artistica. Circa un centinaio di opere giungeranno dunque dai maggiori musei internazionali – Il Prado di Madrid, L’ermitage di San Pietroburgo, il British Museum di Londra, lo Statens Museum fur Kunst di Copenhagen, il Palais de Beaux Arts di Lille, il Brukental Museum di Sibiu, la National Gallery di Washington – per questa mostra organizzata da Villaggio Globale International e promossa dalla Provincia di Belluno insieme a Regione del Veneto, Comune di Belluno, Magnifico Comune di Pieve di Cadore, Magnifica Comunità di Cadore, Comunità Montana Centro Cadore, Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore, Soprintendenza Psae per le Provincia di Venezia, Padova, Belluno e Treviso e con il sostegno della Fondazione Cariverona. L’ultimo atto del racconto emozionante di un uomo che, con la sua arte, ha illuminato un’epoca. Una mostra che ambisce ad essere spettacolare – anche grazie al genio architettonico di Mario Botta che inventa un padiglione di 12 metri di lato, nel cortile di Palazzo Crepadona, per ampliare lo spazio espositivo e creare nuove prospettive – e al tempo è occasione di studio e di ricerca: una mostra problematica e aperta al dibattito, capace di portare tanti nuovi elementi nella conoscenza dell’età tarda di Tiziano e di costituire un punto fermo dal quale partire per nuovi traguardi: l’ultimo atto. Non solo dunque una carellata di opere note e già discusse ma una mostra “laboratorio”, autentico omaggio a un autore sempre nuovo. Accanto a circa venti dipinti ritenuti autografi del maestro – tra i quali il famoso Cristo Portacroce e il Ritratto di Paolo Iii dall’Ermitage di San Pietroburgo, l’Orazione di Cristo nell’Orto dal Museo del Prado di Madrid, l’affascinante Perseo e Andromeda dal Musèe Ingres di Montauban o l’Ecce Homo dal Museo Brukental di Sibiu, “. Indubbiamente il busto più bello di Cristo che si conosca” secondo Mina Gregori – si potranno ammirare e confrontare numerose, importanti opere riconducibili alla mano di Tiziano coadiuvato dagli allievi (basti pensare alla Venere con cagnolino, un amorino e pernice dagli Uffizi) - laddove nel sistema imprenditoriale di Tiziano, recentemente messo a fuoco, la distinzione tra maestro e bottega nell’ultimo periodo diviene spesso labile e sfuocata, oltreché modus operandi abituale - e opere invece della prestigiosa bottega da lui avviata. Eccezionale la sezione dei disegni del “grande vecchio”, con lavori provenienti anche da Parigi, Cambridge, New York, Rennes – straordinari fogli da porre in connessione con dipinti esistenti o opere perdute o ancora concepiti per la produzione incisoria – e ricchissima quella delle stampe sia con esemplari del primo stato e con la firma del maestro, sia realizzate dai contemporanei su opere di Tiziano. A suggerire poi richiami e raffronti importanti, anche lavori di Francesco Maffei, Palma il Giovane, Agostino Carracci, Giovanni Cariani, Andrea Schiavone e Cesare Vecellio, oltre a quelli dei collaboratori stabili dell’ultimo periodo: Orazio, il nipote Marco, Valerio Zuccato, Emanuel Amberger, del quale è esposta, eccezionalmente, l’unica opera finora conosciuta. L’evento dunque – supportato da un comitato internazionale composto da Irina Artemieva, Carlo Bertelli, Maria Agnese Chiari Moretto Wiel, Enrico Maria dal Pozzolo, Andrea Emiliani, Irene Favaretto, Hilliard T. Goldfarb, Charles Hope, Giovanni Morello, Raffaella Morselli, Carlo Pedretti, Grigore Arbore Popescu, Lionello Puppi, Giandomenico Romanelli, Anna Maria Spiazzi e Claudio Strinati – permetterà di far luce su aspetti dell’autore ancora poco indagati, in specie il suo rapporto con la prolifica bottega (identificata per la prima volta compiutamente e per la prima volta analizzata nel suo sistema di lavoro, grazie ad uno specifico studio avviato dalla Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore), con interessanti sorprese nella ri-valutazione del ruolo svolto dal maestro nella realizzazione di alcune opere - sul piano concettuale e creativo, come su quello operativo - finora troppo semplicemente attribuite allo “staff”. In quest’occasione si ricostruisce anche il singolare entourage intellettuale che, dopo la morte dell’Aretino, si viene ricomponendo intorno al vecchio Maestro, sollecitandone la carica d’angoscia esistenziale e l’ansia religiosa: entourage che ha, tra i suoi esponenti – grazie all’assiduità della presenza di Giovanni Mario Verdizzotti, la cui figura viene compiutamente restituita proprio con questa mostra – anche i giovanissimi Torquato Tasso e Vincenzo Scamozzi. Ma non solo. Opere inedite oppure esposte per la prima volta in questa occasione, spesso di altissima qualità, arricchiranno la mostra insieme ad una serie di documenti relativi all’attività e ai movimenti di Tiziano ritenuti fino ad oggi perduti, assicurando al pubblico e agli studiosi - grazie anche ai restauri promossi (tra questi l’intervento che ha restituito a nuova leggibilità l’intenso “Cristo flagellato” della Galleria Borghese o l’ “Autoritratto” degli Uffizi) e grazie ad una campagna di indagini effettuata su oltre venti opere successive agli anni Cinquanta - ulteriori emozionanti “tasselli” nella definizione dell’ultimo Tiziano. Preziosi dunque l’“Autoritratto di profilo” del Maestro, in gesso nero su carta avorio, proveniente da una collezione privata americana, l’esplosiva “Venere e Adone” che giunge da Losanna, riportata recentemente all’attenzione della critica da Roger Rearick e mai presentata al pubblico in questo secolo, una fondamentale “Fanciulla con vassoio di frutta” in collezione viennese o una dolcissima Madonna con Bambino dall’Ungheria, prototipo di tante versioni successive. Eccezionale poi la presenza a Belluno di una “Mater dolorosa” - la cosiddetta Madonna Molloy – recentemente ricomparsa sul mercato e ora in collezione americana; di un’intenso “Ritratto di donna con fanciulla”, probabilmente nella casa studio al Biri Grande dopo la morte dell’artista, e fino ad una decina di anni fa celato dalle ridipinture come “Tobia e l’angelo” e, inoltre, di una importantissima “Ultima cena” che per la prima volta lascia la Spagna, ben poco nota a pubblico e critica poiché conservata nell’esclusiva collezione dei Duchi D’alba, gestita oggi dalla Xviii duchessa d’Alba, María del Rosario Cayetana Fitz-james Stuart. Altri riferimenti contestuali diventano importanti nel disegno espositivo proposto: il ricordo della morte di Tiziano e del concorso per il Monumento funerario del grande Maestro (in mostra il modellino originario del Canova e la ricostruzione da parte del noto scultore veneziano Guerrino Lovato del perduto modellino dei Zandomeneghi, che infine realizzarono l’arco celebrativo nella Chiesa dei Frari di Venezia), l’evocazione dell’atelier tramite prestiti di opere e manufatti cinquecenteschi, con gli oggetti di cui Tiziano amò circondarsi (i libri, gli strumenti musicali, i preziosissimi tessuti, i vetri per impastare i colori utilizzati da questo grande “alchimista”, i riferimenti classici della sua iconografia), e un itinerario nel territorio tra Vittorio Veneto e il Cadore sulle tracce di Tiziano e dei Vecellio – promosso in collaborazione con la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantrolopologico per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, curato da Marta Mazza – che verrà proposto anche attraverso un’apposita pubblicazione edita, come il notevole catalogo della mostra, da Skira. L’evento espositivo, che si svolge proprio nel cuore di quella provincia bellunese che è – non per ragioni banali di incidente anagrafico, ma di genetica storica – l’insostituibile “Titian’s Country”, non poteva quindi non includere anche la vicina città natale del maestro. A Pieve di Cadore, nello storico Palazzo ove ha sede la Magnifica Comunità di Cadore, saranno presentati altri importanti materiali di documentazione – lettere autografe di Tiziano e dei suoi prestigiosi committenti, carte d’archivio, registri dei verbali della Magnifica - nonché una esaustiva rassegna della cartografia e della vedutistica storica del territorio e un’ulteriore sorpresa: un’opera praticamente dimenticata e straordinariamente intrigante per soggetto e storia, il Ritratto di donna davanti a paesaggio con arcobaleno, prestato da una collezione privata di Bellinzona, che raffigurerebbe, secondo Puppi, quella Caterina Sandella, amante dell’Aretino e madre delle sue due figlie, ritratta – come si vedrà in mostra – anche dal Tintoretto e raffigurata in una serie di medaglie anch’esse esposte accanto all’inedito. Intrecci e complesse relazioni che svelano un mondo e un ambiente carico di suggestioni. .  
   
 

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