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Notiziario Marketpress di Mercoledì 10 Ottobre 2007
 
   
  LEZIONI DI STORIA D’IMPRESA IN INAZ CON MARCO VITALE TRA HI-TECH E SLOW FOOD MOMENTI DI RIFLESSIONE ATTORNO ALLA RADICI DEL PENSIERO ECONOMICO

 
   
   Milano, 10 ottobre 2007 – Ai piani alti, nella ‘server farm’, computer e unità disco ultraveloci masticano i dati che mandano avanti le imprese collegate con le linee ottiche e le reti a larga banda dei servizi di elaborazione remoti. Al piano terra, nella sala del centro convegni della nuova sede di Inaz, si discute delle idee e del pensiero che nelle città italiane del Medioevo avrebbero dato vita ed energia al concetto stesso di impresa. Per il secondo anno consecutivo, Inaz, la maggiore azienda italiana dedicata al software e alle soluzioni per la gestione del personale, ha riunito un vasto uditorio attorno al professor Marco Vitale, uno dei più accreditati cultori del pensiero economico, per discutere di come ‘si fa impresa’. Una discussione basata non sulle teorie dell’ultima ora, ma su secoli di storia di una cultura che proprio in Italia ha trovato le sue origini. “Max Weber indicava nella Riforma protestante e nei paesi anglosassoni la culla dell’impresa moderna, ma a ben vedere, le questioni fondamentali sono state poste ben prima, fin dall’Italia dei Comuni”, spiega il professor Vitale – una lunga esperienza di docente alle spalle nelle più prestigiose università economiche - che questa volta non ha voluto offrire la ‘sua’ lezione, ma riflettere, come lui stesso dice “su quelle che ho ricevuto”. Ed ecco allora che pensiero e riferimenti storici vanno indietro, come in una straordinaria macchina del tempo, in queste “Lezioni d’impresa, da tempi e luoghi diversi”, come recita il titolo della serata, promossa da Inaz con la collaborazione di Aidda e Aidaf, rispettivamente l’Associazione delle Imprenditrici e delle Donne Dirigenti d’Impresa e quella delle Aziende Familiari. “Lezioni d’impresa” che Inaz ha voluto offrire al proprio pubblico, nella convinzione che per “fare impresa” e costruire qualcosa di duraturo occorrano una visione, dei valori condivisi, un’etica nel business, come ha sottolineato la presidente Linda Gilli, nel 2007 Cavaliere del Lavoro nel 2007, premiata imprenditrice dell’Anno per il Comune di Milano e Regione Lombardia. L’incontro è il secondo in un anno con Marco Vitale presso la nuova sede milanese di Inaz – una moderna ‘corte’ lungo l’asse di Viale Monza, dove s’incontrano strutture moderne, arredamenti curati e passione per la grafica, insieme con spazi verdi - accompagnato da un momento conviviale all’insegna dello ‘Slow Food’ in un contesto informale. “Un modo per parlare d’impresa in modo disincantato e per comunicare in modo innovativo stimolando nuove idee”, sottolinea Linda Gilli. E i momenti di riflessione non mancano davvero in questo caso. Il pensiero torna al Duecento, agli anni in cui Federico Ii nipote del Barbarossa cingeva d’assedio i comuni lombardi e a Brescia si scontra con Albertano, difensore della città e uomo di chiesa che, durante la prigionia in cui si trova costretto, per la prima volta elabora un pensiero nel quale l’economia trova un suo spazio. Si supera l’ascetismo medioevale del “contemptu mundi”, nel quale l’ideale della società era che ognuno stesse al suo posto, senza cambiamenti, e che ciascuno avesse solo lo stretto necessario per vivere”. Albertano è tra i pensuasori che aprono la strada allo sviluppo dei commerci e dell’impresa, a condizione che questo processo avvenga in modo virtuoso, portando cioè benefici non solo al singolo ma alla società. Via di questo passo, la lezione corre al Quattrocento, quando già i mercanti italiani sono diffusi per l’Europa e Benedetto Cotruglio nel suo Libro dell’Arte di Mercatura” (1458) afferma la legittimazione dell’impresa nella sua legittimità sociale e in armonia con la religione e richiede una vasta conoscenza che, sottolinea Vitale “richiede anche uno schema di valori e non pura conoscenza tecnica”, in cui il buon mercante è un uomo d’azione, ma anche di studio (deve sapere “tutto quello che può sapere uno homo”) e deve essere addestrato a “ricordarsi delle cose passate, considerare le presenti, prevedere le future” e deve essere un ‘buon cittadino’. Già, perché il ’buon mercatore’ per essere tale dev’essere ‘buon cittadino’, ma non vi è garanzia che basti l’attività commerciale per essere non cittadino e, comunque, avverte Cotruglio, chi si dedica all’impresa non pretenda anche di reggere la cosa pubblica. Il pensiero corre nel tempo e si moltiplicano anche i parallelismi con le vicende più moderne, nel rapporto tra etica e impresa, tra interesse personale e vantaggio collettivo, tra capitale e lavoro. Emerge così nella ‘lezione sulle lezioni’ come, cent’anni fa, Henry Ford, il giovane tecnico di origine irlandese affascinato dall’idea dell’automobile e del motore a scoppio, abbia fatto la fortuna della sua impresa abbassando i prezzi e aumentando i volumi di produzione, adottando un taylorismo spinto ma anche riducendo l’orario e accrescendo i salari dei lavoratori. Ma qualche decennio dopo il successo del “Modello T”, quello che all’insegna della riduzione dei prezzi prevedeva un solo colore, il nero, solo un ‘colpo di stato aziendale’ salva la stessa impresa, ormai troppo rinchiusa su se stessa e incapace di seguire le nuove tendenze, da un fallimento certo. Temi che portano il dibattito sul ruolo dell’innovazione continua, sul rapporto tra management e proprietà, su rischi e fortune delle imprese familiari. Già perché coraggio e innovazione continua, come ricorda la lezione di Joseph Schumpeter, sono alla base dell’impresa. L’imprenditore che lascia il segno è quello che riesce a interpretare i nuovi avvenimenti – nuove tecnologie o cambiamenti del mercato – e proporre nuove strade. Talvolta contro tutti e contro tutto, a partire dai luoghi comuni o dal contesto ambientale. Come capitò ad un altro dei ‘maestri’ indicati da Vitale, quell’Angelo Ravano, che inascoltato in Italia fece fortuna all’estero nella logistica dei trasporti, e tornò a casa per impiantare il terminal container di Gioia Tauro in Calabria, quando capì che le nuove condizioni dei trasporti richiedevano degli ‘hub’ di portata internazionale: un’operazione condotta con coraggio, nei più difficili contesti ambientali, ma fruttifera per il territorio e per molteplici addetti. Pensieri che vanno lontano, na che possono incominciare anche nel giardino di casa, davanti al contadino della campagna bresciana che a 75 anni suonati pianta gli ulivi che mai vedrà divenire adulti e di cui quindi mai potrà cogliere il frutto, solo perché il suo senso del dovere di essere contadino gli dice che quegli alberi vanno piantati: il principio di un’etica del fare senza la quale il mondo si fermerebbe. Già, pensieri dal piccolo al grande e ritorno. Perché da questo si apprende che c’è un principio che spinge il buon imprenditore, ed è quello di ‘fare le cose che vanno fatte’, indipendentemente dal vantaggio personale. Il “Think impersonally” di Peter Drucker, secondo cui “le imprese non sono fine a sé stesse, ma esistono per svolgere una funzione sociale”. Concetti che, ricorda ancora Vitale, sono stati ripresi anche da un autorevole studioso della storia economica come Luciano Gallino, secondo il quale “mai come nei nostri anni si è scritto e parlato tanto di etica d’impresa, di responsabilità sociale dell’impresa e mai abbiamo visto un susseguirsi impressionante di casi gravi di imprese dai comportamenti gravemente irresponsabili”. Impresa Irresponsabile, allora, come suggerisce lo stesso libro di Gallino, recentemente scomparso? “Il quadro è spesso scoraggiante” conclude Marco Vitale. “Il vaso di Pandora è stato aperto, e tutti i mali ne sono usciti, ma, sul fondo, resta la speranza”. .  
   
 

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