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Notiziario Marketpress di
Martedì 27 Giugno 2006 |
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IL BITTO DOP, UN VALTELLINESE DI ANTICA MEMORIA.
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Il bitto: dove nasce? Raccontano che il Bitto sembra nato tra le popolazioni celtiche le quali, scacciate dalla Pianura Padana ad opera dei Romani, popolarono la Valtellina, territorio montuoso e quindi più “difficile” da sfruttare da un punto di vista alimentare, ma anche rifugio sicuro, fertile e abbondante di pascoli. “Bitto” deriva infatti dal celtico “bitu”, ovverosia “perenne”. Forse perché la lavorazione del latte permetteva alle popolazioni dell’epoca di andare oltre la pura sussistenza quotidiana, grazie alla possibilità di conservare il formaggio per lungo tempo, e di utilizzarlo come “scorta” alimentare. E, in verità, il nome di battesimo “perenne” si è rivelato nei secoli più che un augurio, se pensiamo che il Bitto è arrivato fino a noi, grazie all’esperienza dei maestri casari che, di padre in figlio, ci hanno tramandato gli antichi metodi di produzione. Alle 5 del mattino e verso le 17, durante i mesi estivi, è possibile fermarsi presso uno dei tanti alpeggi montani della Valtellina, per assistere alla nascita…del Bitto! Quando infatti il sole non è troppo caldo, il casaro, responsabile della lavorazione del formaggio, aiutato dai cascii (pastorelli), in genere figli o parenti del casaro, inizia la mungitura delle vacche e delle capre, perché il Bitto è fatto con latte di mucca ed un’aggiunta massima del 10% di latte di capra. Il latte appena munto viene subito lavorato col caglio nelle caldaie di rame a campana rovesciata (le “culdère”) alla temperatura di 35-37°C, mentre il casaro (casèr) rimescola l’ammasso. La cagliata, così ottenuta, progressivamente indurisce, finchè il casaro, secondo la propria esperienza ed abilità, non decida di sottoporla alla “rottura”: dopo aver ripulito il composto dallo strato superficiale di caseina e grasso (la “pannetta”), con movimenti lenti e delicati la cagliata viene divisa in grosse fette, dalle quali comincia a separarsi il siero. Infine, la massa viene ulteriormente tagliata con la “lira” o “chitarra” e quindi frantumata con lo “spino”, fino a ridurla in grumi, che andranno cotti alla temperatura di 48-52°C continuando a rimestarli perché non si aggreghino. Al termine di questa seconda cottura, i granuli si adageranno sul fondo della caldaia addensandosi e legandosi: la cagliata rimasta viene depositata sullo spersore, all’interno delle fascere dalle quali il Bitto prenderà forma grazie alla pressatura di 24 ore. La fase della salagione, che può avvenire “a secco” o per immersione in salamoia, oltre a conferire gusto al formaggio, consente la creazione della crosta, che isolerà la forma dall’ambiente esterno per favorire un certo grado di asetticità. Il ciclo di lavorazione termina all’interno delle casere, tipici locali da stagionatura, alla temperatura di circa 12-16°C e umidità relativa intorno all’80-90%. In questa fase delicata, in cui il Bitto acquista consistenza e gusto, il casaro, oltre a garantire le migliori condizioni di temperatura ed umidità, ogni giorno rivolta le forme, le pulisce e ne controlla l’integrità per favorire la maturazione del formaggio. Il bitto: diverse stagionature. Se siete fortunati, il casaro vi farà assaggiare un po’ di Bitto stagionato –il disciplinare di produzione prevede un minimo di 70 giorni di stagionatura affinchè il Consorzio di Tutela possa marchiare le forme. Se siete, invece, fortunatissimi, il casaro tirerà fuori per voi il suo pezzo migliore: il Bitto può arrivare ad oltre 10 anni di stagionatura! Il gusto, col procedere della maturazione, si fa via via più intenso, e i tipici sapori d’erba e di latte appena munto del formaggio giovane vanno trasformandosi in un aroma sempre più piccante e deciso. La mostra del bitto. Il Bitto, che può fregiarsi della Dop, viene festeggiato da quasi 100 anni durante la tradizionale “Mostra del Bitto” che si svolge a Morbegno, in provincia di Sondrio a metà ottobre. La Fiera nasce come occasione per giudicare e vendere in Valle le migliori forme di Bitto prodotte durante l´estate sugli alpeggi ma oggi, a distanza di quasi 100 anni dalla nascita, la manifestazione si propone come un momento per rievocare antiche lavorazioni valtellinesi, prodotti Dop e la memoria di ricette tradizionali. Il bitto: dove trovarlo. Oggi è possibile trovare un ottimo Bitto anche nei caseifici di fondo valle, dove il formaggio, prodotto in alpeggio, stagiona fino ad acquisire la giusta maturazione. Uno dei migliori e più antichi è la Latteria Sociale Valtellina di Delebio (Ss Stelvio, 139 – Delebio – So – tel. 0342685368), nel cui spaccio è possibile trovare tutta la produzione casearia della Valtellina. La Latteria Sociale nasce dalle antiche latterie turnarie di fondovalle. |
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