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Notiziario Marketpress di Mercoledì 28 Novembre 2007
 
   
  CONTO ALLA ROVESCIA PER IL DESTINO DEL KOSOVO LA SOLUZIONE SARÀ DECISIVA PER IL FUTURO DEI BALCANI OCCIDENTALI

 
   
  Bruxelles, 28 novembre 2007 - La scadenza per trovare la soluzione per il futuro status del Kosovo si sta avvicinando. Il 10 dicembre prossimo dovrebbe essere pronto il rapporto del "Gruppo dei tre", composto da Ue, Usa e Russia, che dovrebbe far luce sulla questione suggerendo delle proposte concrete. L’orologio che ne scandisce i tempi ha però subito una brusca accelerazione dopo che le elezioni legislative svoltesi nella provincia serba sabato scorso hanno confermato l’intenzione della sua popolazione di ottenere l’indipendenza. La maggioranza relativa (34% dei voti) ottenuta dal Partito democratico del Kosovo guidato da Hashim Thaci, già a capo dei guerriglieri dell´Uck, l´Esercito per la liberazione del Kosovo, è stato un segno evidente della determinazione di una parte consistente della classe politica kosovara di non accettare più slittamenti nel tempo della decisione. Il Partito democratico del Kosovo – rimasto finora all’opposizione - ha fatto dell´indipendenza di questa terra, martoriata per decenni, la propria bandiera e slogan elettorale. Lo stesso Thaci ha ribadito a più riprese (anche commentando i risultati delle elezioni) che - con o senza l´approvazione della comunità internazionale - avrebbe ufficializzato la secessione non appena fosse stato reso pubblico il rapporto della “troika”. La situazione politica post elettorale è inevitabilmente condizionata anche dal debole risultato delle formazioni moderate, in primis la Lega democratica del Kosovo - il partito fondato dal defunto leader carismatico ed ex presidente della provincia Ibrahim Rugova - che ha raccolto il consenso di meno di un quarto dei votanti. In pratica ciò significa un ulteriore indurimento della linea dei kosovari nonché una minore propensione al dialogo e alle concessioni. Ma quello che dovrebbe destare più preoccupazione è che la società locale appare più che mai stanca e forse un po’ disillusa. Al quadro disegnato sopra si aggiunge infatti la progressiva disaffezione da parte dell´elettorato, dovuta principalmente ad una situazione economica precaria, dalla quale il Kosovo stenta ad uscire e che appare, oggi più che mai, esasperata dall´incertezza politica sia sul piano interno che su quello internazionale. In più, i pochi serbi (circa 200 mila) rimasti a vivere ancora nella parte settentrionale della provincia hanno disertato in massa le urne, incoraggiati anche dai numerosi appelli arrivati negli ultimi giorni dai loro leader così come dalla madrepatria. Intanto, le autorità di Belgrado ufficialmente non vogliono sbilanciarsi e attendono l´evolversi della situazione e le reazioni dei "grandi" e in primo luogo dell´Ue. Esattamente una settimana fa, con la firma dell´Accordo di stabilizzazione e associazione con la Serbia, da Bruxelles era arrivato un importante segnale interpretato come possibile spiraglio negoziale. Tuttavia, i 27 preferiscono non azzardare giudizi affrettati, ma è altresì evidente che il responso delle urne in Kosovo non è quello sperato. Il tema è stato naturalmente al centro delle discussioni del Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne che si è svolto all’inizio della settimana. I ministri degli esteri dell´Ue si sono detti delusi della bassa affluenza e del boicottaggio da parte dei serbi. Nelle conclusioni del vertice, i capi delle diplomazie europee hanno a tal proposito "esortato" serbi e kosovari "a mostrare maggiore flessibilità e invocato una intensificazione degli sforzi da parte di tutti per arrivare ad una soluzione concordata". Tutto ciò alla luce della necessità di risolvere il problema in tempi rapidi. I rischi da evitare sono due - da un lato il congelamento del conflitto attraverso una soluzione “temporanea” e, dall’altro, il verificarsi di uno scenario di forte divisione e allontanamento delle parti. V’è bisogno - come d´altronde ha ribadito l´inviato speciale dell´Onu Martti Ahtisaari - di una "posizione comune" dell’Ue che si articoli in una proposta concreta, un´”invenzione” della diplomazia europea che possa mettere a tacere i fin troppi dissidi, scongiurando al contempo qualsiasi atto unilaterale che porterà soltanto a rischi per la stabilità della regione, ma anche dell’intero continente. La visione che serve è globale, perché comprende anche il futuro degli altri paesi vicini come Bosnia Erzegovina, Montenegro, l’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e la stessa Serbia. Una soluzione parziale, infatti, rischierebbe di far saltare tutto; di accontentare una parte a scapito di tutte le altre. Le speranze europee sono quindi concentrate sull’ultimo sforzo negoziale che dovrà compiersi nei prossimi giorni. L’attività diplomatica è piuttosto frenetica. Il Gruppo di contatto per il Kosovo ha già fissato quello che potrebbe (e dovrebbe) essere il round negoziale decisivo. I rappresentanti serbi e kosovari si incontreranno nell’arco di tre giorni a partire dal prossimo 26 novembre. La località scelta per l´incontro è la piccola cittadina di Baden, nei pressi di Vienna, idealmente nel cuore del continente europeo. E’ lì che l´ambasciatore tedesco nonché rappresentante speciale dell´Ue nella "troika", Wolfgang Ischinger, dovrà prendere le redini della situazione con il supporto comune dei governi europei. Essi però devono tener ben presente che un’eventuale protrarsi dell’instabilità attraverso una soluzione insostenibile è la soluzione peggiore per i Balcani occidentali, che non sono più un´area al di là dei confini, emarginata nella periferia dei grandi eventi, bensì una vera e propria enclave nel bel mezzo dell´Europa. L’orologio che ne scandisce i tempi ha però subito una brusca accelerazione dopo che le elezioni legislative svoltesi nella provincia serba sabato scorso hanno confermato l’intenzione della sua popolazione di ottenere l’indipendenza. La maggioranza relativa (34% dei voti) ottenuta dal Partito democratico del Kosovo guidato da Hashim Thaci, già a capo dei guerriglieri dell´Uck, l´Esercito per la liberazione del Kosovo, è stato un segno evidente della determinazione di una parte consistente della classe politica kosovara di non accettare più slittamenti nel tempo della decisione. Il Partito democratico del Kosovo – rimasto finora all’opposizione - ha fatto dell´indipendenza di questa terra, martoriata per decenni, la propria bandiera e slogan elettorale. Lo stesso Thaci ha ribadito a più riprese (anche commentando i risultati delle elezioni) che - con o senza l´approvazione della comunità internazionale - avrebbe ufficializzato la secessione non appena fosse stato reso pubblico il rapporto della “troika”. La situazione politica post elettorale è inevitabilmente condizionata anche dal debole risultato delle formazioni moderate, in primis la Lega democratica del Kosovo - il partito fondato dal defunto leader carismatico ed ex presidente della provincia Ibrahim Rugova - che ha raccolto il consenso di meno di un quarto dei votanti. In pratica ciò significa un ulteriore indurimento della linea dei kosovari nonché una minore propensione al dialogo e alle concessioni. Ma quello che dovrebbe destare più preoccupazione è che la società locale appare più che mai stanca e forse un po’ disillusa. Al quadro disegnato sopra si aggiunge infatti la progressiva disaffezione da parte dell´elettorato, dovuta principalmente ad una situazione economica precaria, dalla quale il Kosovo stenta ad uscire e che appare, oggi più che mai, esasperata dall´incertezza politica sia sul piano interno che su quello internazionale. In più, i pochi serbi (circa 200 mila) rimasti a vivere ancora nella parte settentrionale della provincia hanno disertato in massa le urne, incoraggiati anche dai numerosi appelli arrivati negli ultimi giorni dai loro leader così come dalla madrepatria. Intanto, le autorità di Belgrado ufficialmente non vogliono sbilanciarsi e attendono l´evolversi della situazione e le reazioni dei "grandi" e in primo luogo dell´Ue. Esattamente una settimana fa, con la firma dell´Accordo di stabilizzazione e associazione con la Serbia, da Bruxelles era arrivato un importante segnale interpretato come possibile spiraglio negoziale. Tuttavia, i 27 preferiscono non azzardare giudizi affrettati, ma è altresì evidente che il responso delle urne in Kosovo non è quello sperato. Il tema è stato naturalmente al centro delle discussioni del Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne che si è svolto all’inizio della settimana. I ministri degli esteri dell´Ue si sono detti delusi della bassa affluenza e del boicottaggio da parte dei serbi. Nelle conclusioni del vertice, i capi delle diplomazie europee hanno a tal proposito "esortato" serbi e kosovari "a mostrare maggiore flessibilità e invocato una intensificazione degli sforzi da parte di tutti per arrivare ad una soluzione concordata". Tutto ciò alla luce della necessità di risolvere il problema in tempi rapidi. I rischi da evitare sono due - da un lato il congelamento del conflitto attraverso una soluzione “temporanea” e, dall’altro, il verificarsi di uno scenario di forte divisione e allontanamento delle parti. V’è bisogno - come d´altronde ha ribadito l´inviato speciale dell´Onu Martti Ahtisaari - di una "posizione comune" dell’Ue che si articoli in una proposta concreta, un´”invenzione” della diplomazia europea che possa mettere a tacere i fin troppi dissidi, scongiurando al contempo qualsiasi atto unilaterale che porterà soltanto a rischi per la stabilità della regione, ma anche dell’intero continente. La visione che serve è globale, perché comprende anche il futuro degli altri paesi vicini come Bosnia Erzegovina, Montenegro, l’Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e la stessa Serbia. Una soluzione parziale, infatti, rischierebbe di far saltare tutto; di accontentare una parte a scapito di tutte le altre. Le speranze europee sono quindi concentrate sull’ultimo sforzo negoziale che dovrà compiersi nei prossimi giorni. L’attività diplomatica è piuttosto frenetica. Il Gruppo di contatto per il Kosovo ha già fissato quello che potrebbe (e dovrebbe) essere il round negoziale decisivo. I rappresentanti serbi e kosovari si incontreranno nell’arco di tre giorni a partire dal prossimo 26 novembre. La località scelta per l´incontro è la piccola cittadina di Baden, nei pressi di Vienna, idealmente nel cuore del continente europeo. E’ lì che l´ambasciatore tedesco nonché rappresentante speciale dell´Ue nella "troika", Wolfgang Ischinger, dovrà prendere le redini della situazione con il supporto comune dei governi europei. Essi però devono tener ben presente che un’eventuale protrarsi dell’instabilità attraverso una soluzione insostenibile è la soluzione peggiore per i Balcani occidentali, che non sono più un´area al di là dei confini, emarginata nella periferia dei grandi eventi, bensì una vera e propria enclave nel bel mezzo dell´Europa. .  
   
 

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