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Notiziario Marketpress di
Giovedì 17 Luglio 2008 |
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MEETING DI SAN ROSSORE “CONTRO OGNI RAZZISMO” CARCERI, GHETTI E CAMPI PROFUGHI: DILAGA LA LOGICA DELL’ESCLUSIONE NEI CONFLITTI E NELLA GIUSTIZIA IL CODICE ETNICO SOSTITUISCE QUELLO ETICO
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San Rossore (Pi), 17 luglio 2008 - Gli stranieri in carcere finiscono più facilmente, anche per reati molto lievi, ricevono una difesa minore (spesso da parte di avvocati di ufficio che al massimo suggeriscono il patteggiamento), scontano totalmente la pena e raramente ricorrono ad altri gradi di giudizio: questa la situazione illustrata da Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, nel suo intervento alla tavola rotonda “Immigrazione e sviluppo umano” nel pomeriggio della seconda giornata del Meeting di San Rossore. «Stiamo rischiando di passare – ha detto – dal codice Rocco, un codice su base etica, ad un codice su base etnica, dove chi compie i reati viene trattato in maniera diversa a seconda della propria provenienza». Corleone ha fatto l’esempio del carcere di Sollicciano dove il 60% dei detenuti è straniero, segnalando, però, come l! a maggior parte dei detenuti immigrati si trovino in carcere p! er reati per collegati alla violazione della legge Bossi-fini (quindi violazioni amministrative) o in base alla legge Fini-giovanardi sulle droghe. «Con l’indulto sono usciti molti più detenuti stranieri che italiani – ha ricordato – e questo perché gli italiani vengono condannati spesso per reati più gravi, con pene più severe. Nelle carceri, che sono luoghi difficili, di potere sui detenuti e tra i detenuti, servirebbero molti più mediatori culturali, invece si pensa di sostituire i Cpt con una detenzione di 18 mesi. Voglio almeno sperare che in essi venga adottato un regime carcerario pubblico, con regole, diritti e doveri, e non siano lasciati alla gestione privata». «Uno dei problemi più rilevanti in materia di cooperazione – ha affermato nel suo successivo intervento Luciano Carrino, del comitato scientifico del programma dell’Onu Art Undp – è la difficoltà di sc! egliere modi appropriati di intervento, anche in presenza di una reale volontà politica. In cooperazione, ad esempio, è molto difficile evitare il ricorso alla creazione di ghetti, campi profughi o di contenimento. È perché in molti abbiamo un “ghetto” nella testa prima ancora che nelle azioni pratiche. Un altro esrsrore è quello di mettere in atto progetti assistenziali per categorie speciali, contribuendo così alla separazione e allo stigma. Si tende così a ripetere un modello escludente, che non si conforma ai principi dello sviluppo umano. Al contrario i progetti che danno migliori risultati sono quelli concepiti per uno sviluppo territoriale integrato e partecipato». Una riflessione analoga quella svolta dalla rappresentante di Mani Tese Mariarosa Cutilli: «Quello che manca è un approccio basato sui diritti. E pensare che ormai sotto il profilo giuridico gli strumenti ci sono e impongo! no agli stati di garantire i diritti fondamentali non solo ai ! loro cit tadini ma anche a coloro che provengono da un altro paese». . |
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