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Notiziario Marketpress di Martedì 04 Novembre 2008
 
   
  SCIENZIATI DIMOSTRANO CHE IL RISCALDAMENTO POLARE È SICURAMENTE CAUSATO DAGLI ESSERI UMANI

 
   
  Bruxelles, 4 ottobre 2008 - Un team internazionale di scienziati ha dimostrato per la prima volta che l´aumento di temperatura nell´Artide e nell´Antartide è causato da attività umane. Diversi studi hanno svelato le prove del riscaldamento in entrambi i poli negli ultimi decenni; le temperature nell´Artide si sono aumentate al doppio della velocità mondiale nel corso della seconda metà del secolo scorso, portando ad un rapido deterioramento della copertura di ghiaccio del mare. Nell´emisfero meridionale, gli scienziati hanno osservato il rapido riscaldamento sulla penisola antartica, una tendenza associata al drammatico collasso della piattaforma di ghiaccio Larsen B nel 2002. Comunque, fino ad ora non è stato possibile collegare in modo definitivo il riscaldamento delle regioni polari con le attività umane. Al contrario, l´Ipcc (Pannello intergovernativo sui cambiamenti climatici) nel suo ultimo rapporto ha concluso che "l´influenza antropogenica è stata rilevata in tutti i continenti tranne l´Antartide, in cui la copertura di osservazione non è sufficiente per fare una valutazione". Come nota l´Ipcc, una delle ragioni della mancanza di un legame inoppugnabile è la scarsità dei dati; ci sono solo 100 stazioni meteorologiche nell´Artide e appena 20 nell´Antartide. Inoltre, i dati sull´Antartide risalgono soltanto fino alla metà del 20° secolo, mentre quelli sull´Artide vanno indietro di circa 100 anni. Un altro problema che gli scienziati devono affrontare per isolare le cause del riscaldamento globale è la grande variabilità naturale del clima polare. In questo ultimo studio, pubblicato nella rivista Nature Geoscience, ricercatori provenienti da Regno Unito, Giappone e Stati Uniti hanno messo insieme le registrazioni delle temperature di tutte le regioni polari. Hanno anche fatto funzionare quattro modelli climatici affidabili, a volte usando soltanto fattori naturali, come cambiamenti dell´attività solare e eruzioni vulcaniche, a volte aggiungendo attività umane come le emissioni di gas serra e l´assottigliamento dell´ozono stratosferico. Soltanto i modelli che comprendevano anche le attività umane sono stati in grado di prevedere con precisione le tendenze delle temperature osservate, portando gli scienziati a concludere che l´aumento della temperatura nelle regioni polari non può essere spiegato soltanto con la variabilità naturale, ma è causato direttamente dall´attività dell´uomo. "In generale, nonostante la scarsezza delle osservazioni, abbiamo scoperto che il riscaldamento causato dall´uomo è rilevabile in entrambe queste regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici," hanno concluso i ricercatori. "I nostri risultati dimostrano che l´attività umana ha già causato un significativo riscaldamento in entrambe le regioni polari, con probabili conseguenze sulla biologia polare, le comunità indigene, l´equilibrio della calotta di ghiaccio e il livello del mare mondiale. " "È sicuramente un lavoro importante," ha commentato il dott. Alexey Karpechko dell´Unità di ricerca sul clima presso l´Università dell´East Anglia, nel Regno Unito. "Il riscaldamento artico è stato già portato alla ribalta in diverse pubblicazioni, sebbene non sia stato mai attribuito ad attività umane. Nell´antartide però, tale rilevazione è stata fino a questo momento preclusa dall´insufficienza dei dati disponibili. " Il dott. Karpechko ha aggiunto che i cambiamenti della circolazione atmosferica causati dal buco nell´ozono hanno ridotto il riscaldamento sulla maggior parte dell´Antartide, rendendo ancora più difficile percepire i cambiamenti causati dall´uomo. Visto che si prevede che lo strato di ozono sarà ripristinato in futuro, potremmo aspettarci un maggiore riscaldamento in Antartide negli anni a venire, ha aggiunto il dott, Karpechko. Per ulteriori informazioni, visitare: Nature Geoscience: http://www. Nature. Com/ngeo Università dell´East Anglia (Uea): http://www. Uea. Ac. Uk .  
   
 

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