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Notiziario Marketpress di Martedì 03 Marzo 2009
 
   
  "FILI AL FILO" SCULTURE DI FABRIZIO POZZOLI TEATRO FILODRAMMATICI

 
   
  Milano 3-24 Marzo 2009 Milano, 3 marzo 2009 - Il Teatro Filodrammatici inaugura la mostra “Fili al Filo”, sculture antropomorfe in filo di ferro realizzate da Fabrizio Pozzoli, un giovane artista milanese, in concomitanza con il debutto di “Un soggetto per un breve racconto”, liberamente tratto da Il Gabbiano di Anton Cechov, con la regia di Fabrizio Visconti, in scena dal 3 all’8 marzo all’interno della Rassegna Gli Arrabbiati del Naviglio, dedicata per un mese a quattro giovani realtà teatrali formatesi artisticamente a Milano, Oggetto della mostra è la figura femminile, scolpita, intessuta, modellata con un materiale sui generis: il filo di ferro intrecciato, talvolta trattato per evitarne l’ossidazione, talvolta lasciato al bruno rugginoso processo del tempo, che rende le sculture leggere, intense ed eteree. “Fettucce di seta intessute fra loro, punto dopo punto. A partire da un piede, salendo su lungo un polpaccio, fino a una coscia e a un torso. L’opera nasce da una germinazione. Cresce come un ordito, per dare volume a creature ogni volta diverse, in cui la fisionomia dei corpi e dei volti rivela accenti di rara introspezione psicologica. ” (Chiara Gatti) L’esposizione, a cura di Fabrizio Visconti, è impreziosita da alcune immagini in bianco e nero, scattate da Gianni Berengo Gardin, il celebre fotografo italiano, vincitore del “World Press Photo”, inserito dalla rivista Modern Photography tra i “32 World’s top Photographers”, presente tra gli 80 fotografi scelti da Henri Cartier-bresson per la mostra “Les choix d’Henri Cartier-bresson”. Gli scatti, che ritraggono il giovane scultore milanese al lavoro nel suo studio, guidano il visitatore alla scoperta del processo creativo, dello spazio e del rapporto che intercorre tra l’artista, la materia e l’opera finale. “La scelta di ospitare una mostra delle sculture di Fabrizio Pozzoli in concomitanza con “Un soggetto per un breve racconto” nasce da una qualità che io trovo straordinaria nell’opera di questo artista: la sua capacità di rendere permeabile la scultura attraverso la scelta dei materiali e della lavorazione adottati. Ed infatti l’intreccio di fili di ferro e aria che Pozzoli disegna passaggio dopo passaggio rende la sua scultura estremamente disponibile al dialogo. Non c’è superficie compatta contro cui impattare, non c’è durezza nel ferro che lui usa. C’è al contrario un’infinita fragilità che si esprime ancor più pienamente per contrasto con il materiale che lui sceglie. Come se non bastasse, l’incidere del tempo sulla sua opera, l’ossidazione che la trasforma, avvicina ancora di più le sue figure alla nostra corruttibilità umana, rendendocele vicine e calde. In particolare le sue figure femminili, docili e vittime, ma improvvisamente passionali e sensuali, disegnano le pieghe contrastanti dell’anima femminile. E per anima femminile non intendo solo quello dell’essere donna, intendo allo stesso tempo il taglio di tutti noi nella nostra sensibilità e vulnerabilità, disponibilità al sentire ed incapacità di sfuggire al dolore. E così ci affianchiamo con la sua opera al personaggio femminile dello spettacolo, una donna incapace di vivere la vita guardandola dall’esterno, ma sempre immersa a piene mani nelle emozioni e negli slanci di sentirla e volerla in grande. Una donna con tutta la sua libertà di essere piena e vera, pronta a vivere conflitti e contrasti con l’ingenua sincerità di chi mostra le sue mani spalancandole. Quella stessa donna che si rifugia per un attimo di schiena, e presso la quale il tempo si ferma ad aspettare, perché il dolore stanca e chi è troppo esposto al vento deve ripararsi a tratti. E in nessun essere il tempo si piega con curve così calme e docili come attorno ad una donna che decide. Ed allora le pieghe lente dei fili di Pozzoli introducono il morbido percorso di chi parlerà di scelte nel luogo dell’incontro teatrale, e la figura della donna, ancora lei, sarà al centro di un incontro che inizia con pudore nell’atrio del teatro per concludersi allo spegnersi finale delle luci della scena. ” .  
   
 

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