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Notiziario Marketpress di Mercoledì 01 Aprile 2009
 
   
  CONFERENZA PRESIDENTI REGIONI SUD: RELAZIONE INTRODUTTIVA E DOCUMENTO FINALE

 
   
  Bari, 1 aprile 2009 – Di seguito testi del documento finale sottoscritto nella Conferenza dei Presidenti delle Regioni del Sud, riunitasi il 30 marzo a Bari, insieme alla relazione introduttiva oggetto di discussione e approvazione da parte delle 8 Regioni del Mezzogiorno. Relazione Introduttiva - Una Proposta Dei Presidenti Delle Regioni Al Sistema Paese - La gravità della crisi e la sua ancora incerta evoluzione viene spesso utilizzata come un alibi per rinviare scelte o rimettere in discussione quanto, con fatica concertativa e negli anni, conseguito nei rapporti tra Stato e Regioni con la definizione del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013. In esso, accanto a regole che consentono di articolare efficacemente i rapporti tra i diversi livelli di governo e con i partner economici e sociali in risposta alle esigenze di sussidiarietà orizzontale e verticale, sono stati condivise priorità settoriali e territoriali che hanno definito la base per un patto tra territori ed istituzioni a cui tutti dobbiamo e vogliamo attenerci. Negli ultimi mesi abbiamo invece assistito a continui interventi che hanno modificato il quadro a suo tempo definito. Sono stati alterati insieme e i caratteri distintivi della politica regionale e le precondizioni per la sua stessa efficacia:l’intenzionalità dell’obiettivo territoriale e l’aggiuntività. Sono i tratti che differenziano la politica regionale dalla politica ordinaria. Si è di fatto riscritto, unilateralmente e di continuo, il patto tra livelli di governo e tra territori. Questa instabilità, così come il forte indebolimento del ruolo dello Stato centrale, ha provocato e continua a provocare ritardi nella assunzione di impegni, nella immissione di importanti risorse economiche nel sistema sociale e produttivo, mai, come in questo momento, bisognoso di nuove iniziative e nuovi flussi finanziari. In questa situazione aumentano considerevolmente i rischi di mancato assorbimento finanziario. La crisi economica ha posto in evidenza come il taglio di risorse rivolte al sostegno dell’erogazione di servizi essenziali alla popolazione ha impatti diretti sullo sviluppo e sulla coesione sociale. Rispondere a questa situazione con la semplice riproposizione dell’assetto programmatico e strategico precedente apparirebbe un comportamento incapace di leggere la nuova realtà in cui tutti, il nostro Paese, l’Europa e l’intero pianeta si trovano. Rispondere con la semplice trasposizione nel tempo delle scelte e degli impegni appare altrettanto miope. Se migliora apparentemente la situazione di cassa, d’ altra parte mette a rischio l’assorbimento delle risorse finanziarie europee con le note conseguenze negative sui saldi di finanza pubblica e compromette i tempi di contenimento della crisi e di costruzione di nuove e innovative posizioni di maggiore competitività del nostro sistema Paese. Le Regioni ritengono importante proporre al Governo una assunzione di responsabilità condivisa basata sui seguenti punti: approvazione di tutti i programmi regionali per il Fas e loro immediata operatività; ripristino delle azioni nazionali già concordate e relative ai: 1. Pii (Progetti di innovazione industriale) nelle componenti già considerate prioritarie dal Comitato suo costituito; 2. Sostegno dei grandi programmi di investimento industriale; 3. Rafforzamento delle politiche scolastiche; 4. Recupero economico-produttivo dei siti industriali inquinati; 5. Rafforzamento delle Amministrazioni. Immediata accelerazione di tutti gli interventi , a diverso titolo finanziati, e ripristino degli obiettivi finanziari ad essi connessi per il più rapido trasferimento delle risorse al sistema 1 2 economico e sociale anche al fine di assicurare la piena ottemperanza delle scadenze di rendicontazione relative ai programmi comunitari 2000-2006 e 2007-2013; stabilità del Quadro Strategico Nazionale e di tutte le sue diverse componenti programmatiche e finanziarie sino alla fine del corrente anno e deciso rafforzamento, condiviso e partecipato tra tutti i livelli di governo, del monitoraggio, della valutazione e della comunicazione sugli andamenti rilevati; immediata costituzione del Sottogruppo per le Regioni Convergenza del Comitato nazionale per il coordinamento e la sorveglianza della politica regionale unitaria” previsto dal Qsn che utilizzi tutte le competenze ovunque collocate ed immediata attivazione, presso la Presidenza del Consiglio, di una Cabina di regia politica tra Stato e Regioni che supervisioni e concordi entro la fine dell’anno: 1. Le modalità di scelta e di riparto territoriale dei Fondi nazionali costituiti con le risorse Fas per ottenere il rispetto complessivo del riparto 85-15 previsto dalla legge 2/2009 e le modalità di utilizzazione delle risorse liberate anche in risposta all’evolversi della crisi e in coerenza con gli assetti programmatici e strategici in atto; 2. La connessione tra obiettivi di sviluppo, risorse ordinarie in conto capitale e risorse in conto gestione; • eventuale predisposizione e approvazione a livello nazionale, entro dicembre 2009, di un aggiornamento complessivo del Qsn che prenda atto della realtà della crisi, per come si sarà a quel punto effettivamente presentata, e che permetta la migliore finalizzazione delle risorse già definite; • eventuale presentazione alla Commissione europea, ai primi di gennaio 2010, del Qsn, così come aggiornata, e delle relative conseguenze sui Programmi operativi in essere, per la loro più rapida approvazione senza incidere sulle scadenze previste per la fine del 2010. Le Regioni si impegnano sin da ora a affrontare questa nuova situazione con lo stesso spirito di responsabilità e di cooperazione istituzionale che hanno negli ultimi mesi ben evidenziato nella positiva esperienza del negoziato sfociato nell’accordo del 12 febbraio scorso. Documento Finale -------- Una traccia di discussione delle e per le Regioni meridionali. Per il Sud. Un nuovo patto per la crescita e l’ unità del Paese. Agenda per una nuova azione pubblica. Bari, 30 marzo 2009 Premessa - Governo e Regioni sono chiamati, nella prima parte del 2009, ad affrontare due nodi fondamentali: 1. Le risorse addizionali per lo sviluppo; 2. La definizione e della attuazione del disegno di legge delega sul federalismo. L’acuirsi della crisi ha accentuato il clima politico e culturale “antimeridionale”. Le classi dirigenti meridionali non possono assistere passivamente alla sistematica costruzione mediatica di rappresentazioni stereotipate del Mezzogiorno, basate spesso da opinioni del tutto infondate e prive di evidenze empiriche. La risposta per uscire dalla crisi economica non può essere aumentare le differenze tra i territori incrinando l’unità del Paese. I Presidenti delle Regioni meridionali, anche per rispondere agli autorevoli richiami del Presidente della Repubblica, e per il senso di responsabilità democratica nei confronti delle comunità rappresentate, per contrastare la miope deriva antimeridionalista, avvertono la necessità di : • proporre una agenda per affrontare con spirito unitario e a vantaggio dell’intero Paese i problemi sul tappeto; • assumere impegni concreti e verificabili per il miglioramento della qualità della vita dei loro amministrati e dell’intera area meridionale; • definire modalità trasparenti di informazione sugli interventi in corso, i loro tempi di realizzazione e le innovazioni procedurali ed organizzative al fine di ottenere i risultati di servizio necessari alle imprese, ai cittadini e ai territori; • promuovere modelli di amministrazione pubblica più efficienti e trasparenti, valorizzando le buone pratiche e contrastando più intensamente inefficienze, opacità e corruzione. Il nuovo contesto della crisi L’italia, che non cresceva da diversi anni, è entrata in recessione. La crisi morde in tutto il Paese, ma morde di più nelle aree più deboli per il sovraccarico dei fattori strutturali di lungo periodo. Le difficoltà economiche strutturali e congiunturali si ripercuotono sulla vita degli italiani e sulle prospettive di lavoro. L’italia che già appariva impaurita dalle dinamiche della globalizzazione, oggi si ritrova ancora più spaventata e sfiduciata per effetto della crisi, sino a provare insofferenza per ogni presenza “diversa”, regolare od irregolare che sia, che possa ulteriormente aumentare la complessità della vita e delle relazioni sociali. In questo quadro di preoccupazione, in molti, nelle classi dirigenti come tra i cittadini comuni, sembrano aver definitivamente deciso che il Mezzogiorno è, per il Paese, una insopportabile palla al piede. L’immagine prevalente del Mezzogiorno è diventata ormai l’incapacità di rispondere positivamente anche ai bisogni elementari delle popolazioni, dei disastri amministrativi di tanti comuni ed amministrazioni, con tutti gli annessi significati: lo spreco di risorse pubbliche, l’incapacità o la corruzione delle classi dirigenti, l’attitudine della popolazione solo alla protesta. La stessa capacità di spesa dimostrata sui Fondi comunitari non viene mai segnalata, ma si paventano rischi di disimpegno che non trovano corrispondenza nei dati ufficiali. Il Mezzogiorno è sempre più percepito da molti italiani come altro rispetto a sé. Altro rispetto all’Italia. Il ragionamento, che peraltro rimbalza da pagina a pagina della grande stampa nazionale, e da opinione a opinione dei suoi commentatori, è lineare nel suo svolgimento: Il divario economico fra Nord e Sud diventa incolmabile e crescente; il Mezzogiorno va sempre peggio del Nord, nonostante le ingenti risorse che vengono trasferite alle Regioni del Sud. Il Sud è diventato un’idrovora di risorse pubbliche e i cittadini meridionali ricevono enormi risorse prelevate dalle tasse pagate dal Nord per finanziare progetti fasulli se non la criminalità organizzata. In questi giorni, in cui inizia ad avvertirsi forte la crisi, queste tesi diventano più pressanti. E il meccanismo per dare seguito alle posizioni antimeridionali si rileva semplice: ogni volta che un pezzetto del Fondo per le Aree Sottoutilizzate prende la strada di altre destinazioni (rimborso ai comuni, per il mancato gettito Ici, sostegno ai bilanci dissestati, sussidi per i disoccupati ecc. ) si toglie al Sud cui è destinato per l’85% e , nella gran parte dei casi , prende la strada del Nord. Tutto questo è avvenuto senza dare alcun seguito alle procedure di Intesa previste dalla legge 131/2003, dando comunicazioni di massima tanto che anche per la delibera Cipe del 6 marzo 2009 le Regioni non hanno ancora il testo integrale pur se tale delibera incide direttamente sulla loro programmazione. Va in questa direzione anche il progetto di federalismo fiscale che non separa le forme di perequazione legate ai servizi da rendere ai cittadini con le risorse per il riequilibrio infrastrutturale collegate all’art. 119, V comma, della Costituzione. Valga ad esempio l’art. 21 del disegno di legge delega il quale apre a ogni tipo di riequilibrio attraverso le sole risorse addizionali, senza un corrispondente impegno sulle ordinarie, e determina di fatto la via con la quale utilizzare il Fas indistintamente a Nord e a Sud, pur a fronte degli evidenti differenziali territoriali, come anche le più recenti ricerche di Banca d’Italia testimoniano. Appare stupefacente che quanto definito nella legge 2/2009 sul riparto 85-15 a favore dei territori del Mezzogiorno e relativo alle risorse addizionali nazionali venga disinvoltamente rimesso in discussione. A questa campagna le Regioni meridionali, le loro istituzioni e i loro abitanti non stanno riuscendo a reagire mostrando come esistano anche persone, territori, istituzioni positive, situazioni differenti da quelle sempre presenti sui media. La stessa responsabilità dimostrata dalle Regioni meridionali nell’affrontare le nuove situazioni di crisi, senza alzare barricate in una fase in cui si riscriveva nei fatti il patto tra territori definito dal Qsn riallocando a favore del Nord le risorse addizionali programmate per lo sviluppo delle regioni meridionali del periodo di programmazione 2007-2013, viene scambiata per colpevole ammissione di colpa. Il grave rischio che sta correndo il Paese Italia. Con il Dpef 2000-2003 lo Stato italiano era uscito dalla logica dell’intervento straordinario e per la prima volta aveva posto i principi generali dell’indirizzo della spesa pubblica fra le diverse aree del Paese. Si decise in particolare che la spesa in conto capitale addizionale (Fondi Strutturali Europei e Fas) per le politiche di sviluppo delle aree più deboli, fosse ripartita l’85% al Sud e il 15% al Nord e che la spesa “ordinaria” (ponderando le due grandi aree in termini di Pil e popolazione) andasse il 30% al Sud e il 70% al Nord. Il numero di sintesi della spesa totale in conto capitale prevede il 45% al Sud e il 55% al Nord. Questo obiettivo politico fu confermato in modo bipartisan da tutti i Governi. Non un numero, ma una percentuale indipendente dalla buona o dalla cattiva o pessima (come oggi) congiuntura, dallo stato dei conti pubblici, dai volumi della spesa. Il 45% del totale! Tuttavia, non solo tale percentuale non è stata mai raggiunta, ma ha subito un progressivo affievolimento negli anni: solo il 35,3% nel consuntivo 2007. L’obiettivo è stato rivisto al ribasso progressivamente, finché l’ultimo Dpef approvato nel 2008 l’ha eliminato completamente. La spesa in conto capitale complessiva (risorse ordinarie e risorse addizionali ) è aumentata al Nord poichè al Sud le risorse ordinarie non sono arrivate. Se si guardano i consuntivi fra il 2002 e il 2006 si scopre infatti che, nel Mezzogiorno: la spesa dei fondi strutturali, prevalentemente gestita dalle Regioni, è aumentata da 3,9 mld a 5,6 mld all’anno; la spesa in conto capitale ordinaria, gestita prevalentemente dallo Stato, è scesa. Avrebbe dovuto essere il 30%, è stata di poco superiore al 20%. Indirizzare la spesa dei programmi comunitari ha consentito alle finanze pubbliche italiane di giovarsi dei relativi rimborsi provenienti dal bilancio dell’Unione (circa 4 mld annui) che sono stati destinanti non a finanziare la spesa in conto capitale del Sud ma ad altri obiettivi di politica economica. Il Fas ha subito riprogrammazioni che hanno spostato periodicamente in avanti il momento dell’effettivo utilizzo, vi sono stati storni per obiettivi non rientranti in quelli del riequilibrio territoriale. Se si considera il settore pubblico allargato, tanto diventa ancora più evidente. Se si fosse mantenuto l’obiettivo del 45% dal 2002 al 2006 si sarebbero dovuti spendere al sud 171 mld a fronte dei 123 spesi: 50 mld di differenza! Dall’inizio del nuovo decennio si è deciso di incrementare la spesa nel Mezzogiorno per favorire il recupero della dotazione infrastrutturale e quindi un più accelerato sviluppo economico. E’ avvenuto il contrario: a partire dal 2001 la spesa pro capite del Mezzogiorno è sistematicamente diminuita. In conclusione, se la spesa in conto capitale dal 2001 al 2007 è rimasta costante, nonostante l’apporto dei fondi europei, questi hanno sostituito la mancata spesa nazionale. I fondi strutturali più che promuovere lo sviluppo del Sud, hanno aiutato il risanamento dei conti pubblici italiani, liberando fondi nazionali. E’la medesima operazione riproposta in questi giorni alle Regioni. La spesa in conto capitale nel Mezzogiorno è cresciuta meno che nel resto del paese ed è ormai divenuta, in termini pro-capite, inferiore a quella del Nord. Il risultati economici del Sud non possono che essere conseguenti. Si arretrerà ulteriormente. Le risorse destinate ad avvicinare, attraverso il perverso meccanismo descritto, finiranno per allargare la forbice, non per ridurla. La crisi amplificherà i divari. In questa situazione si aggrava anche la situazione di erogazione dei servizi ai cittadini e alle imprese. Proprio mentre la crisi attacca le condizioni di vita delle nostre popolazioni, la assenza di risorse ordinarie porta alla continua diminuzione dei servizi effettivamente erogati dalle amministrazioni locali. La giusta responsabilità a cui ci chiama il federalismo fiscale attraverso la definizione di costi standard e di individuazione di livelli definiti di prestazione implica, accanto alla giusta maggiore efficienza delle macchine amministrative e tecniche, implica anche una capacità di investimento che negli anni non è stato reso possibile per la quantità di risorse trasferite agli Enti locali dei nostri territori, con valori pro-capite minori della media nazionale. E’ su questi servizi che i cittadini conquistano la fiducia nello stato e nelle istituzioni spezzando quei legami ambigui con la politica, con la burocrazia e a volte con la criminalità organizzata che, pur presenti in tutti i territori del nostro Paese, nelle nostre aree assumono connotati più aggressivi e frequenti. Su questo le Regioni meridionali, che hanno definito con lo Stato e accettato la sfida degli obiettivi di servizio collegati al Qsn per rispondere ai cittadini sui temi dell’acqua, dei rifiuti, dei servizi alla persona, della qualità della istruzione, delle opportunità di accesso delle donne al mercato del lavoro, rivendicano la massima attenzione da tutto il Paese. Questi servizi sono il vero elemento di cittadinanza condivisa che una Nazione deve offrire a tutti i suoi cittadini. Le proposte In ogni Regione Meridionale è in corso una originale vicenda politica e istituzionale; di diverso segno politico sono le risposte che i Presidenti stanno cercando di dare ai problemi della propria Regione. Tutti e otto però, proprio in nome della autonomia con cui stanno rispondendo ad un problema comune , quello del sottosviluppo dei territori da loro governati, non intendono assistere impotenti alla instabilità delle risorse destinate al Sud, a fronte del forte miglioramento impresso negli ultimi anni ai sistemi di gestione e controllo dei Fondi Strutturali e del Fas. Nel ribadire la necessità, tante volte dichiarata dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni, di una immediata approvazione ed operatività di tutti i programmi di finanza aggiuntiva delle Regioni e degli interventi, gestiti dallo Stato centrale e condivisi, i Presidenti ritengono indispensabile sottoporre ad attenta riflessione e ridefinizione condivisa tra le Regioni stesse e lo Stato, alcune politiche in essere e che non si sono ancora oggi rivelate all’altezza dei problemi con cui si confrontano. Non è un problema di sola razionalizzazione di competenze o di fastidi per il sovrapporsi delle tante competenze di diversi organi pubblici. Il problema da risolvere è come coniugare rigore amministrativo, concentrazione degli interventi, massimizzazione degli impatti degli investimenti, sin qui non risolto dallo Stato come dalle Regioni. Per questo i Presidenti delle Regioni del Sud non vogliono qui fare l’elenco dei buoni e dei cattivi programmi, dei buoni e dei cattivi attori, anche se qualcuno lo si può scorgere in filigrana, ritengono necessario proporre una agenda, trasparente e verificabile da parte dei loro cittadini su cui costruire, senza acrimonia e con speranza, un nuovo meridionalismo per la crescita e l’unità dell’Italia. Il primo tema da affrontare appare quello del mantenimento del sistema produttivo, agricolo e manifatturiero, e della sua capacità operativa sui nostri territori,. Vista la ampia frammentazione del tessuto imprenditoriale meridionale questa difesa passa anche attraverso il mantenimento, accanto e dentro le aziende, anche quelle non coperte oggi dagli strumenti consolidati di welfare, delle capacità di lavoro che sono così difficili da costruire e così rapidamente vanificabili. Impresa e lavoro insieme perchè sono fondamento di un tessuto sociale necessario alla tenuta delle nostre società e per le possibilità di nuovi posizionamenti competitivi nel momento del superamento della crisi. A questo dobbiamo aggiungere una politica industriale capace di utilizzare ricerca e innovazione come base per un diverso futuro, sia per le nuove specializzazioni produttive (energia, biotecnologie, sostenibilità) sia per un diverso rapporto con le dinamiche del mondo globalizzato (tecnologie della conoscenza, ma anche nuovi mercati e maggiore internazionalizzazione del sistema produttivo) Dobbiamo investire sulla scuola e sulla qualità della istruzione sin dalla prima infanzia. Dobbiamo uscire da una formazione universitaria prevalentemente giuridico-letteraria e aprirci ai saperi tecnico-scientifici e gestionali su cui si basa il futuro dei nostri territori. Dobbiamo rimettere in gioco quelle risorse incredibili, della natura e dell’uomo, che popolano le nostre regioni e a cui non siamo riusciti a dare quel respiro e quella valorizzazione che facciano del Mezzogiorno una risorsa del turismo mondiale. Le reti di mobilità sono uno storico handicap dei nostri territori. Combinare grandi opere e impatto allargato sui territori richiede una forte concertazione interistituzionale che non vediamo e di cui sentiamo un grande bisogno. Per decidere, non per discutere. Per trasformare gli investimenti in valore aggiunto sul territorio e non rendite finanziarie a vantaggio di pochi. Abbiamo bisogno di un nuovo disegno delle politiche sociali e del welfare nazionale, capaci di rispondere positivamente a quelle forme di precarietà e instabilità che sono presenti in tutto il territorio nazionale, ma che trovano nei nostri territori dimensioni, radicamenti e penetrazioni insospettate. Abbiamo bisogno di una nuova amministrazione pubblica, capace di possedere i nuovi saperi, di saper essere tecnica, gestionale orientata ai servizi da erogare e non alla gestione delle norme. Su tutta questa agenda le Regioni meridionali non hanno posizioni precostituite, non hanno ricette miracolistiche, così come non ne vedono in altri soggetti. Le Regioni si impegnano sin da ora a affrontare questa agenda con lo stesso spirito di responsabilità e di cooperazione istituzionale che hanno negli ultimi mesi dimostrato nella positiva esperienza del negoziato sfociato nell’accordo del 12 febbraio scorso. .  
   
 

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