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GENERALI DISCUTE LA FUSIONE CON INA IL 28 LUGLIO
Milano, 28 luglio 2001 La conferma arriva dal presidente e Ad delle Generali, Gianfranco Gutty, entrando all'assemblea annuale dell'Ania. L'assemblea straordinaria per la fusione per incorporazione dell'Ina nelle Generali si terra' in terza convocazione sabato 28 luglio.

ASSICURAZIONI: LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANIA ALFONSO DESIATA
Roma, 27 giugno 2001 - Di seguito riportiamo la relazione del Presidente dell'Ania Alfonso Desiata letta nel corso dell'assemblea Ania svoltasi ieri. Parlare di assicurazione in Italia con riguardo all'anno 2000 comporta inevitabilmente di dover parlare innanzi tutto di assicurazione r.c. auto, che è stata come non mai al centro dell'attenzione del Governo, del Parlamento, dell'opinione pubblica. L'assicurazione auto Non è certamente il caso di ricordare qui i fatti e i misfatti che sono stati compiuti l'anno passato, nel falso intento di risolvere i problemi della r.c. auto, ma col reale risultato di lasciarli insoluti ed anzi aggravati. I provvedimenti, che si sono succeduti numerosi, sono infatti troppo noti a tutti, non solo agli operatori del settore, perché ci sia bisogno di farne specifica menzione. E soprattutto il profondo mutamento del quadro politico ed istituzionale rende inutile riproporre oggi le pur giustificate doglianze degli assicuratori per essere stati demagogicamente indicati come i responsabili di mali italiani che hanno ben altre antiche cause e per essere stati fatti vittime di interventi normativi gravemente penalizzanti, inammissibili per uno Stato dell'Unione Europea. Chiediamo un autentico dialogo che consenta non solo di parlare "dell'altro" o di parlare "all'altro", ma di dialogare "con l'altra parte". Dovrà trattarsi di un'autentica svolta rispetto al noto teorema "di qualsiasi colore, purché sia nero". Mi sia permesso tuttavia un piccolo sguardo al passato, per ricordare che siamo stati noi assicuratori, già in occasione dell'Assemblea associativa del 1999, a richiamare l'attenzione sull'aggravarsi della situazione dei bilanci r.c. auto, sempre più in rosso, malgrado gli interventi, tecnicamente imprescindibili, sul livello dei premi, comunque insufficienti a riportare i conti sulla via del necessario equilibrio. Ora ci troviamo, con almeno due anni di ritardo, a dover riformulare diagnosi e a riproporre cure e farmaci, che non sono affatto utopistici, ma sono senz'altro alla portata del nostro Paese. Anche se può sembrare banale, dobbiamo cominciare col prendere coscienza tutti, e specialmente coloro che sono investiti di compiti istituzionali, che l'assicurazione r.c. auto non è una specie di tassa imposta ai cittadini a favore degli assicuratori, ma è strumento di risarcimento garantito per le vittime della strada e di liberazione dalla responsabilità economica per chi si trova a provocare incidenti. E che i premi servono per pagare i sinistri, cosicché solo contenendo o diminuendo i danni nel loro numero e nel loro ammontare si può contenere o diminuire il livello dei premi. Altrimenti, per quello che noi per primi abbiamo chiamato il "grande paradosso", utenti e assicuratori rimangono entrambi perdenti: gli uni, perché soggetti ad ulteriori aumenti dei premi; gli altri, perché destinati a reiterate perdite del bilancio r.c. auto, perdite che nel 2000 sono state - lo dichiara l'Isvap - di ben 2.515 miliardi. E, anche se sembra altrettanto ovvio, dobbiamo ribadire che è necessario smettere di ragionare in termini di inflazione: non ha alcun senso pensare di "imbrigliare" i prezzi del servizio assicurativo entro la dinamica inflativa generale, perché i premi sono determinati dal numero e dall'ammontare dei danni, che sono variabili e assolutamente indipendenti dall'andamento dell'inflazione. Dal 1994, anno della liberalizzazione tariffaria, al 2000, l'inflazione è cresciuta del 18,2%, mentre il costo medio dei danni pagati dagli assicuratori è aumentato del 78,8%. Un altro mito da abbandonare è quello del "Grande Cartello" degli assicuratori r.c. auto. L'Antitrust, con un provvedimento che ha riguardato un certo numero di imprese, ha ritenuto ingiustificato, e quindi sanzionabile, uno scambio di informazioni intercorso fra le imprese stesse su alcuni elementi tecnici ed economici dei rischi. Lo scambio di informazioni è essenziale all'esercizio dell'attività assicurativa; e la sanzione applicata a quelle imprese pecca palesemente di eccessivo formalismo, poiché è risultato che la conoscenza dei dati - comunque di facilissima acquisizione, per essere gli stessi disponibili sul mercato anche per obbligo normativo - non ha prodotto alcun effetto collusivo sui premi praticati, premi che sono talmente diversificati da compagnia a compagnia che, con tranquilla incoerenza, gli stessi che apoditticamente accusano gli assicuratori di aver fatto cartello, li accusano nel contempo di aver creato una "giungla" di prezzi differenti, dimenticando oltretutto la competizione esistente sui contenuti delle garanzie e sulla qualità del servizio. La concorrenza fra le imprese, dunque, esiste ed è vivace, ma tutte debbono fare i conti con il dato incontrovertibile che ho già ricordato: che dal 1994 al 2000 il costo medio dei danni r.c. auto è aumentato del 78,8% e che, come i più accreditati analisti economici indipendenti hanno più volte rimarcato, la pregressa dinamica dei premi è insufficiente a garantire l'ammontare delle somme necessarie per il pagamento dei sinistri. Agli assicuratori si può chiedere di contenere le loro spese (che entro certi limiti sono da loro governabili), ed essi lo hanno fatto, diminuendone dal 1994 al 2000 l'incidenza media sui premi dal 20,6% al 17,4%. Ma evidentemente il controllo delle spese non basta: occorre fare in modo che diminuisca sensibilmente il numero dei sinistri, che in Italia hanno una frequenza doppia della media europea; e occorre che finalmente si agisca per porre rimedio a quello che può essere definito un vero e proprio "caso Italia". L'abbiamo già denunciato più volte, ma sentiamo il dovere di denunciarlo ancora ed a gran voce: in Italia, su ogni 100 sinistri, per 18 vengono reclamati danni alla persona (contro gli 11 della Germania, i 10 della Spagna, gli 8 della Francia e del Regno Unito); e si tratta di un dato in continua crescita: dieci anni fa era la metà. Il "caso Italia" nasce soprattutto dal fatto che nel nostro paese viene richiesto il risarcimento per microlesioni al rachide cervicale (il famoso "colpo di frusta") nel 66% dei casi, mentre la media europea è del 30%, e quasi ogni volta che viene lamentato un colpo di frusta, il medico legale e il magistrato riconoscono qualche punto di invalidità permanente, mentre altrove si tiene ben conto del fatto, scientificamente constatato, che gran parte di questi casi di lesioni di lieve entità determina solo un male temporaneo che guarisce in pochi giorni. Già altre volte queste nostre denunce hanno determinato una levata di scudi da parte di associazioni di consumatori, di avvocati, di medici legali, di magistrati, e siamo convinti che anche in questa occasione succederà altrettanto; ma siamo anche fiduciosi che queste scontate reazioni non potranno ancora una volta offuscare la verità, che è incontrovertibilmente questa: fino a quando si regaleranno punti di invalidità permanente pure in assenza di obiettivi riscontri clinici (condizionando così anche le trattative stragiudiziali, a causa della certezza dei danneggiati di poter spuntare in giudizio risarcimenti più che favorevoli), il "caso Italia" continuerà ad incidere pesantemente sui bilanci delle compagnie e su quelli delle famiglie. Queste considerazioni inducono a ricordare un altro fenomeno, che se non è tutto italiano, sicuramente ci vede ai primi posti nel mondo: parlo naturalmente delle frodi, da quelle che in certe zone ormai costituiscono un "ramo" specialistico della malavita organizzata, a quelle attuate da "bande" improvvisate, e soprattutto a quelle messe a segno da singoli danneggiati che nella generale impunità non sanno resistere all'"occasione che fa l'uomo ladro". Purtroppo il fenomeno si è diffuso in tutto il paese, raggiungendo livelli mai toccati in passato, e per di più non riguarda solo i sinistri, ma si è esteso anche alla fase della stipulazione delle polizze, per ottenere di pagare premi inferiori a quelli dovuti, attraverso la presentazione di documenti (carte di circolazione e attestati di rischio) falsi o alterati. Ma se anche tutto questo non esistesse resterebbe pur sempre la tragica situazione del numero sterminato dei veri sinistri, con morti e feriti veri: è soprattutto qui che si deve agire, rapidamente e concretamente. Non basta dare delega al Governo di riformare il Codice della strada, com'è stato fatto con la legge del 22 marzo scorso, dopo che per un anno intero gli assicuratori avevano chiesto a gran voce al tavolo ministeriale norme più severe e soprattutto più severi controlli. Occorre che la riforma, che è ispirata a principi (anche se in parte edulcorati) corrispondenti alle proposte formulate dalla nostra Associazione, venga attuata in tempi brevi, così come occorre che venga realizzato il Piano nazionale della sicurezza stradale, demandato da oltre due anni al Ministero dei lavori pubblici e non ancora partito. Alcune misure sono state da noi sollecitate come prioritarie per la loro sicura efficacia ai fini della riduzione dell'incidentalità stradale: ci riferiamo alla patente a punti (che peraltro, per avere reali effetti deterrenti dovrebbe essere disciplinata con maggiore rigore rispetto a quanto previsto nella legge delega); al certificato di idoneità alla conduzione dei ciclomotori per i minorenni; a dispositivi che inducano all'uso della cintura di sicurezza; alla riduzione del tasso alcolemico consentito, in linea con gli altri Paesi europei; alla maggiore dotazione (a tutte le Forze incaricate della vigilanza delle strade) di strumenti di controllo, quali autovelox ed etilometri; all'istituzione di un osservatorio di punti critici della circolazione (i cosiddetti "black points") per l'adozione degli opportuni interventi correttivi. Da parte sua il settore assicurativo è pronto a rafforzare il proprio impegno in materia e, a tal fine, sta costituendo in questi giorni una Fondazione - che diventerà operativa nei prossimi mesi - dedicata esclusivamente alla soluzione delle problematiche della sicurezza stradale. Sarà un organismo aperto alla collaborazione di persone ed enti, pubblici o privati, che abbiano come obiettivo la prevenzione dei rischi della circolazione, in primo luogo attraverso la formazione di una cultura diffusa della sicurezza stradale. Ma non solo è necessario che diminuiscano il numero e la gravità degli incidenti: occorre altresì che diminuisca il loro costo mediante una disciplina legislativa organica e certa. Sottolineo che dovrà trattarsi di una disciplina "certa", che non ripeta l'errore della legge sul risarcimento dei danni di lieve entità, che ha lasciato al giudice un margine di discrezionalità senza limiti; per cui, quelli che avrebbero dovuto essere valori oggettivi, sono diventati valori meramente virtuali, da prendere in considerazione solo come minimi inderogabili, aumentabili sempre e, volendo, all'infinito. E già si registrano i primi esempi di orientamento di certi Fori, non sporadico ma concertato, per un innalzamento frontale dei valori risarcitori rispetto ai limiti di legge, con tutte le conseguenze di aumento dei costi assicurativi, in pieno contrasto con quello che avrebbe dovuto essere l'obiettivo da perseguire. La normativa organica su tutti i danni fisici, anche di non lieve entità, dovrà correggere questi errori, così come dovrà farsi carico di evitare il proliferare di nuove categorie di danno rispetto al danno biologico, per superare il quale già si è costruito un c.d. danno esistenziale, che sfugge ad ogni rigoroso accertamento oggettivo e ad ogni limite quantitativo, reinnescando la spirale di aumenti dei risarcimenti, senza alcun rispetto dell'esigenza di compatibilità con le risorse economiche del paese. Anche i danni materiali, peraltro, debbono e possono essere contenuti: gli assicuratori hanno rinnovato gli accordi con oltre 15.000 autoriparatori, ma perché gli accordi funzionino occorre che sia consentito alle compagnie di provvedere alla effettiva riparazione dei veicoli - ovviamente a regola d'arte - in alternativa al risarcimento in danaro. Ciò permetterebbe un diretto contenimento dei costi per le evidenti economie di scala anche per quanto riguarda i pezzi di ricambio, determinerebbe una diminuzione delle frodi (evitando che danni già pagati, ma non riparati, vengano richiesti una seconda volta) ed infine porterebbe ad una maggiore sicurezza stradale, evitando la circolazione dei veicoli rimborsati ma non rimessi in pristino. Per ottenere questo basterebbe una modifica legislativa, che purtroppo trova opposizioni sospette, le quali peraltro non dovrebbero poter trionfare all'infinito. Si è detto prima delle truffe, che c'è da sperare potranno essere in qualche misura contenute dall'entrata in funzione della banca dati sinistri istituita presso l'Isvap con finalità antifrode, che costituisce un utile completamento dell'azione intrapresa volontariamente dal settore con la creazione, avvenuta anni or sono, presso l'Associazione, di una banca dati avente analogo fine. E' però necessario che le notizie, molto complete, contenute nella nuova banca dati, vengano senz'altro messe a disposizione dell'Organismo antifrode associativo e di quelli esistenti presso le imprese (organismi di cui la stampa ha più volte evidenziato il determinante apporto dato alla Magistratura e alle Forze dell'Ordine), affinché si possano poi raccogliere dai fascicoli delle imprese le prove necessarie per intraprendere le conseguenti azioni giudiziarie e di polizia. Sarebbe velleitario pensare che un unico organismo centrale possa riuscire da solo in questa dura battaglia. Il riconoscimento che non si tratta di un reato a danno delle compagnie esto processo è proprio l'omogeneizzazione della fiscalità. Per contenere inoltre mediamente il prezzo dell'assicurazione r.c. auto a vantaggio della massa degli assicurati occorre consentire l'applicazione di formule tariffarie che prevedano un contributo dell'assicurato al risarcimento dell'eventuale danno da lui provocato, responsabilizzandolo in modo più diretto alle conseguenze dei propri comportamenti di guida. Abbiamo proposto una modifica normativa che legittimi una franchigia opponibile al danneggiato (di fronte al quale, per la parte di danno in franchigia, risponderebbe direttamente in proprio chi ha causato il danno): ciò consentirebbe significative riduzioni di premio, certamente non conseguibili con franchigie non opponibili, le quali gravano comunque sulle uscite delle compagnie e delle quali è nota l'aleatoria (per non dire improbabile) ricuperabilità, specialmente in certi contesti. In subordine abbiamo ipotizzato la previsione di meccanismi normativi che introducano la necessaria garanzia di recupero di franchigie non opponibili. Starà ora al nuovo Governo e al nuovo Parlamento farsi carico anche di queste possibili soluzioni, come dell'eventuale introduzione di una "bad company" che attenui la ripartizione mutualistica generale delle conseguenze della circolazione, al di là delle già adottate forme di personalizzazione oggettive e soggettive. Occorre peraltro che venga rimosso l'obbligo a contrarre gravante sulle imprese e ci attendiamo, all'esito degli approfondimenti in corso, una disponibilità delle Istituzioni a questa soluzione già adottata in altri paesi d'Europa. Adesso parliamo degli altri temi in cui gli assicuratori si sentono impegnati a far emergere e realizzare il loro ruolo: questi temi sono stati, alcuni, travisati e portati a soluzioni non rispondenti alle reali esigenze del Paese; altri, se non del tutto dimenticati, quanto meno rinviati. Essi vanno riproposti all'attenzione di tutti ed in particolare del nuovo Governo. L'assicurazione dei prodotti agricoli - Con la legge finanziaria 2001 del dicembre dello scorso anno sono state introdotte parziali modifiche alla disciplina dell'assicurazione delle produzioni agricole. Con tali modifiche, da un lato - ed è il lato positivo - è stata introdotta (anche se non ancora concretamente realizzata) una liberalizzazione della domanda assicurativa, superando il sostanziale monopolio dei consorzi provinciali di difesa, incentrato sulla loro prerogativa di essere i dispensatori del contributo pubblico al pagamento dei premi assicurativi. Ciò è stato fatto legittimando opportunamente alla stipulazione di polizze collettive anche le cooperative agricole ed ammettendo giustamente al contributo agevolativo i singoli produttori agricoli senza che debbano sottostare all'onerosa e burocratica intermediazione dei consorzi di difesa. D'altro lato, però, si è prevista l'istituzione di un fondo per la riassicurazione dei rischi agricoli (tutto da impostare con ulteriore normazione), che non trova riscontro nell'ordinamento giuridico né nella consolidata tecnica assicurativa e rischia di introdurre elementi distorcenti nel mercato, senza rispondere adeguatamente al bisogno - già sperimentato negli altri Paesi - di un corretto intervento finale dello Stato a fronte della natura catastrofale di questo tipo di rischi. Identica situazione di genericità e di distonia rispetto al sistema, nonché di pericolo di effetti distorsivi della parità degli attori del settore, si riscontra nella previsione di non meglio precisati "fondi rischi di mutualità", che, comunque li si immagini, mal si conciliano con il carattere catastrofale dei rischi agricoli. Analogamente sono state previste legislativamente polizze globali e multirischio, ma anche in questo caso si è rimasti nella totale indeterminatezza, non andando oltre una mera dichiarazione di intenti, con il pericolo di alimentare illusorie attese, mentre questo tipo di coperture presenta rilevanti problematiche tecniche e necessita di adeguate basi di dati, oggi carenti, e di preventive approfondite sperimentazioni. Si tratta dunque di una tematica da rivedere e da integrare nell'ottica della razionalizzazione e ottimizzazione degli interventi pubblici e della opportunità di far compiere al mercato agricolo quel salto di qualità imprenditoriale che è richiesto dal mutamento dei processi produttivi e dall'intensificarsi della concorrenza internazionale. Le calamità naturali - Senza voler prospettare una graduatoria di importanza e di priorità di intervento, non possiamo non riproporre qui la necessità che venga introdotta anche in Italia (che è sostanzialmente l'unico paese europeo a non averla) una normativa sull'assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali. Lo Stato italiano non ha una legislazione organica per affrontare le conseguenze degli eventi catastrofali naturali, che sono sempre più frequenti e più gravi. Dopo ogni terremoto o alluvione o frana o simile calamità, il Governo è chiamato ad intervenire con provvedimenti a posteriori, che spesso danno luogo ad iniquità nella distribuzione degli aiuti e a pesanti diseconomie nell'ammontare degli indennizzi e nei costi di intervento e di riparazione. In sintesi: occorre che venga stabilito in via generale che, nei casi di dichiarata calamità naturale, lo Stato non interverrà per indennizzare i danni subiti da fabbricati non assicurati appartenenti a chi abbia un reddito superiore ad una certa soglia: oggi manca qualsiasi stimolo all'auto-protezione per la convinzione che lo Stato finisce sempre per indennizzare - bene o male, presto o tardi - tutti i danni, per cui è superfluo assicurarsi; occorre che venga introdotto l'obbligo dei proprietari dei fabbricati di estendere l'assicurazione incendio anche ai rischi di calamità naturali, da definirsi in modo inequivoco, eliminando nel contempo il pesante balzello fiscale sui premi (oggi gravati di un'imposta del 21,35%); occorre, come del resto già ammesso dalla stessa Autorità Antitrust, che venga prevista la costituzione di un unico consorzio, cui far confluire i premi relativi a tali rischi, per poter definire tariffe adeguate a livello di mercato, per permettere il corretto pagamento dei sinistri anche quando si superi la capacità complessiva del mercato assicurativo, e sia necessario l'intervento finale dello Stato, ed infine per consentire l'accantonamento cumulativo (che dovrà essere esente da carichi fiscali) di riserve destinate agli eventi degli esercizi futuri; occorre fissare un limite globale di esposizione annuo del settore assicurativo oltre il quale interverrà lo Stato, a favore del quale gli assicuratori consorziati effettueranno, in maniera coordinata ed economica, attraverso il consorzio, il servizio di accertamento e quantificazione dei danni anche per quanto comporti l'intervento economico statale, sia per superamento dell'esposizione assicurativa, sia per i meno abbienti, esonerati dall'obbligo di assicurarsi; il tutto con severa attenzione a non premiare, ed anzi a penalizzare, i casi di abusivismo edilizio, specie quando siano state violate norme finalizzate a prevenire le conseguenze dannose delle calamità. Gli assicuratori e i riassicuratori, nazionali ed europei, hanno manifestato da parecchio tempo ampia disponibilità a svolgere il loro ruolo e qualche anno fa sembrava che il progetto fosse avviato all'approvazione: poi tutto si è complicato e confuso, e non si può nemmeno dire che questo sia stato solo un male, dal momento che si è corso il pericolo che certe istanze irrazionali avessero il sopravvento sulle imprenscindibili esigenze di natura tecnica. Ora riproporremo un disegno sistematico e coerente che, in linea con l'esperienza di altri paesi, porti a contenere l'onere statale, innanzitutto incentivando gli interventi di prevenzione (che il settore assicurativo ha approfondito con i suoi organismi specializzati) e soprattutto trasferendo al settore privato, agli assicuratori e - tramite loro - ai titolari dei beni da proteggere, gran parte degli effetti economici che oggi vengono indistintamente caricati sui conti pubblici. Nutriamo fiducia che il progetto - che non può certo essere visto da noi come un'opportunità di profitto, ma anzi impone una realistica valutazione delle difficoltà e dei pericoli - possa in futuro trovare nelle Istituzioni maggiore interesse e più costruttiva attenzione, in modo che si possa pervenire alla realizzazione di un sistema pubblico-privato che, tenendo in seria considerazione gli aspetti tecnici e operativi, possa realmente funzionare. In tale fiducia il settore assicurativo, assieme alle associazioni dei periti, ha già avviato e sta portando avanti alacremente un'iniziativa di formazione a livello nazionale, onde poter contare da subito su un corpo peritale organizzato e specialisticamente preparato a far fronte alle particolari esigenze di immediato e coordinato intervento sui luoghi colpiti da calamità. L'assicurazione degli infortuni sul lavoro - L'inadeguatezza, per non dir di più, delle soluzioni adottate nel recente passato a fronte di problemi di rilevanza sociale, nei quali avrebbe potuto e potrebbe essere utilizzato il ruolo delle assicurazioni private, emerge con tutta evidenza nella materia degli infortuni sul lavoro, nella quale sono stati del tutto frustrati gli obiettivi di liberalizzazione e di confronto concorrenziale. In questo campo, la fiducia di una inversione di tendenza rimane assai fievole, troppe essendo state le iniziative che sono andate ad aggravare la situazione di monopolio pubblico, estendendolo ai dirigenti, ai lavoratori parasubordinati e al lavoro svolto in ambito domestico, a quest'ultimo con una copertura "specchietto" che, per un verso, rischia di costare di gestione e di amministrazione più di quanto non venga incassato e, per altro verso, ha contenuti talmente limitati da rasentare la beffa. Forti del pensiero dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e della condivisione di altri settori imprenditoriali, pur con speranze limitate formuliamo ai nuovi decisori politici l'invito a riesaminare attentamente la possibilità di dare anche in quest'area il giusto spazio alla libera iniziativa economica e alla concorrenza, non trovando giustificazione alcuna il monopolio pubblico. La previdenza complementare - Non c'è relazione annuale di settore o di istituto o di autorità che non tratti della riforma del "welfare state", indicandone nuovi modelli, spesso fra loro non compatibili, come è nella logica della disparità dei punti di vista. Il settore assicurativo ha pieno titolo per proporre il proprio, che è ad un tempo quello di una parte del mondo imprenditoriale, ma soprattutto quello di erogatori istituzionali di previdenza, di protezione sanitaria, di assistenza. Sono noti gli squilibri del sistema pensionistico italiano, per molti versi non dissimili da quelli degli altri paesi europei e dei paesi industrializzati del resto del mondo: squilibri che traggono principalmente la loro origine dall'invecchiamento demografico e dall'allungamento della vita umana, nonché dal rallentamento della crescita dell'economia. Negli ultimi anni sono stati avviati molti sensibili cambiamenti, che hanno consentito di contenere rispetto alla dinamica precedente la spesa pensionistica, che peraltro rimane elevata e, nonostante tutto, ancora con tendenze di crescita non compatibili con l'esigenza di pareggio del bilancio pubblico e con l'auspicata riduzione della pressione fiscale. Da più parti si indica come imprescindibile un innalzamento dell'età di pensionamento, da perseguire in via graduale ma con inizio immediato, e ormai senza più voci dissonanti si riconosce che occorre fare ogni sforzo per accrescere il ruolo della previdenza complementare, gestita a capitalizzazione, che è l'unico modo di conciliare il contenimento della spesa pubblica con l'esigenza di assicurare un adeguato tenore di vita ai futuri pensionati; ed è anche la premessa per far nascere i "venture capitals". Dal 1° gennaio di quest'anno è entrata in vigore l'ultima (in ordine di tempo, ma dovrà necessariamente essere seguita da altre) riforma della previdenza complementare, che tra l'altro: ha istituito le forme pensionistiche individuali, realizzabili mediante adesione a fondi pensione aperti o mediante stipulazione di contratti di assicurazione sulla vita; ha previsto, aumentandolo, un unico e onnicomprensivo limite di deducibilità dal reddito per le somme destinate alla formazione di una pensione complementare, qualunque sia lo strumento impiegato per realizzarla; ha reso omogenea la tassazione del risparmio previdenziale ovunque allocato (in forme pensionistiche collettive o in forme individuali) e delle relative prestazioni; ha ampliato il novero dei soggetti destinatari, ricomprendendovi, oltre ai lavoratori dipendenti e autonomi, anche i titolari di redditi diversi. Fra gli obiettivi perseguiti dalla riforma va positivamente evidenziato soprattutto quello di incentivare lo sviluppo della previdenza complementare, fin qui tutt'altro che entusiasmante, come ancora di recente hanno ben messo in evidenza i dati forniti dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Se in Italia la previdenza complementare non si sviluppa col ritmo da tutti auspicato e reso indispensabile dalle tendenze demografiche in atto e dai problemi della previdenza pubblica obbligatoria, vuol dire evidentemente che, nonostante la ripetuta attenzione del legislatore, manca ancora nel sistema qualcosa di essenziale ovvero sussistono fattori demotivanti che ne impediscono il pieno decollo. Va, per contro, facilitato il risparmio previdenziale, come va ostacolato il processo che porta alla senilizzazione del risparmio. Innanzitutto è evidente che occorre un ulteriore ampliamento dei benefici fiscali, non solo sul versante della deducibilità delle somme destinate alla previdenza, ma anche su quello della tassazione dei rendimenti del risparmio previdenziale. E soprattutto occorre fare ogni sforzo per rimuovere quelli che a nostro avviso sono i veri punti critici: la mancanza di una cultura e di una sensibilità adeguate fra i diretti interessati e specialmente tra i lavoratori di recente occupazione; l'esistenza di ingiuste e ormai inaccettabili penalizzazioni dei lavoratori dipendenti in tema di deducibilità fiscale del risparmio previdenziale nonché in materia di utilizzabilità del TFR; l'obiettiva esiguità per i medesimi lavoratori dipendenti delle risorse utilizzabili a fini previdenziali e la necessità, quindi, di rendere disponibili nuovi flussi di finanziamento. Quanto al primo aspetto, non occorre certo dilungarsi: i dati forniti dalla Covip dimostrano che, nel quadro di un generale difficile avvio della previdenza complementare, sono soprattutto i più giovani a mostrare scarsa attenzione al problema, che non è percepito come problema attuale e importante. Si tratta di un fenomeno di mentalità e costume che va assolutamente affrontato, facendo uso di tutti gli strumenti di formazione e di comunicazione, ed in tal senso si sta muovendo l'Associazione con iniziative mirate di prossima attuazione. Quanto agli altri due aspetti, essi inducono a qualche considerazione di fondo circa i tratti connotanti e le linee evolutive del nostro sistema di previdenza complementare. Nato nel 1993, esso era aperto in origine solo ai lavoratori, dipendenti ed autonomi, e prevedeva unicamente forme pensionistiche collettive, da attuarsi mediante l'istituzione di fondi chiusi (rimessa alle fonti collettive sindacali) o di fondi aperti (lasciata all'iniziativa degli intermediari finanziari abilitati). Tra le altre caratteristiche del sistema vi era un accentuato favore riservato ai fondi chiusi rispetto a quelli aperti, i quali ultimi risultavano confinati in una posizione residuale rispetto ai primi, che peraltro non potevano non affidarsi agli intermediari finanziari abilitati e agli assicuratori per la gestione delle loro risorse e per la copertura dei rischi demografici dei loro iscritti. Un altro aspetto di rilievo del sistema originario era la compressione del ruolo delle imprese di assicurazione, relegate, nelle forme pensionistiche a contribuzione definita, al compito di gestire - insieme con gli altri intermediari abilitati - le risorse finanziarie dei fondi nella fase di accumulo dei contributi, oltreché legittimate, naturalmente, ad erogare le rendite vitalizie immediate nel momento in cui il lavoratore avesse maturato il diritto alla pensione. In origine, dunque, il "modello assicurativo", inteso come obbligazione attuale e certa di corrispondere a suo tempo una rendita vitalizia, non risultava una forma specifica di realizzazione della previdenza complementare (così come avveniva, invece, in tanti paesi del mondo e, segnatamente, dell'Unione Europea), salvo che per le forme pensionistiche a prestazione definita: forme possibili, peraltro, solo nel campo del lavoro autonomo e comunque (e forse non a caso) mai concretamente decollate. Oggi, a seguito di una evoluzione laboriosa e non priva di contrasti, sono previste anche forme pensionistiche individuali: la novità è importante e non riducibile alla semplice integrazione di un sistema rimasto per il resto invariato. L'emersione di queste forme pensionistiche individuali, insieme con l'apertura della previdenza complementare ai titolari di redditi diversi da quelli di lavoro, obbliga infatti a rileggere tutto il sistema della previdenza complementare secondo una logica profondamente nuova, rimeditando le compatibilità reciproche tra le diverse parti del sistema stesso. Oggi non si deve distinguere tanto tra fondi chiusi e fondi aperti, ma tra forme pensionistiche collettive e individuali. Le prime istituite dalle fonti collettive e realizzate essenzialmente attraverso i fondi chiusi, essendo le adesioni su base collettiva ai fondi aperti del tutto residuali e di incerto futuro. Le seconde costruite dai diretti interessati e realizzate attraverso prodotti finanziari (i fondi aperti) o assicurazioni sulla vita, le quali tornano dunque pienamente a svolgere, con la specificità del loro modello, un ruolo naturale e collaudato nel campo della previdenza complementare. Il tutto in un quadro di assoluta uniformità del regime fiscale applicabile e di piena equipollenza sostanziale degli strumenti predisposti dal legislatore, quadro in cui la mobilità degli interessati non è più configurabile come scelta del singolo fra meri strumenti diversi, più o meno efficienti, rispetto a percorsi strategici maturati altrove e proposti dall'alto, ma come vera e propria espressione della libertà della persona - lavoratore o meno - di decidere autonomamente circa la propria previdenza conferiscono ai fondi chiusi una condizione di discutibile vantaggio competitivo rispetto agli altri strumenti della previdenza complementare: i punti sui quali mi sono sopra più diffusamente soffermato mi sembrano, comunque, quelli che andrebbero subito affrontati e risolti attraverso opportune modifiche del quadro normativo vigente. Infine, un rapido cenno alla questione del finanziamento, che scarseggia per i lavoratori dipendenti, e alle misure utili ed opportune per liberare nuove risorse a fini di previdenza complementare. Su questo terreno nessuno è ovviamente in grado di fare miracoli. Il discorso cade perciò inevitabilmente sulla destinazione a previdenza complementare dei nuovi flussi di TFR per tutti i lavoratori dipendenti e non più soltanto per i nuovi assunti. La questione è delicata, ma non sembrano esserci altre strade e nel percorrere questa via bisognerà stare molto attenti ai seguenti punti: la scelta di destinare il TFR alla previdenza complementare dovrà spettare ai singoli lavoratori e risultare assolutamente libera, senza che possano trovare spazio forme surrettizie o capziose per la manifestazione della volontà da parte dell'avente diritto o, peggio, per l'individuazione dello strumento di previdenza complementare concretamente prescelto; il TFR dovrà poter affluire a uno qualsiasi degli strumenti ammessi a tal fine dal legislatore, senza che venga rimessa in discussione la piena equipollenza degli stessi; non si dovranno prevedere eventuali utilizzazioni del TFR diverse da quelle con finalità previdenziali o, al limite, da quelle vigenti; dovranno essere individuate misure compensative della rinuncia al sistema vigente da parte dei datori di lavoro, misure che potrebbero assumere anche forme diverse da quella della riduzione dell'aliquota contributiva alla previdenza di primo pilastro. La sede per la definizione di misure del genere mi pare che dovrebbe essere quella ormai collaudata della concertazione: ci troviamo, infatti, su un terreno complesso e delicato, sul quale la funzione di indirizzo del legislatore è bene che venga prudentemente coniugata col ruolo delle parti sociali interessate. La sanità - Si legge nella relazione del Governatore della Banca d'Italia che, se nel nostro paese la spesa sanitaria nel confronto internazionale non appare fuori linea in rapporto alle dimensioni della nostra economia, rimangono peraltro problemi connessi con l'efficienza dei servizi e con l'invecchiamento della popolazione. La spesa sanitaria dopo un breve rallentamento ha ripreso ad aumentare dal 1996 in misura eccedente la crescita del PIL, e ciò si è verificato in misura più accentuata nell'ultimo biennio. "Si impone - conclude il Governatore - un ripensamento dell'offerta dei servizi sanitari che, partendo da una verifica sistematica dei costi e delle attività delle singole unità produttive, investa l'organizzazione del sistema. Occorre una ridefinizione dei diritti d'accesso. Il ricorso a forme private di copertura dei rischi può consentire una combinazione più efficiente tra la componente pubblica e quella privata". Studi ormai ripetuti mostrano che i cittadini italiani esprimono livelli di gradimento per i servizi sanitari e sociali analoghi a quelli degli altri paesi, e segnalano l'opportunità di rivedere alcune impostazioni, non solo dal lato dell'offerta, ma anche da quello della domanda, ed in particolare la necessità di restituire al cittadino la titolarità di alcuni diritti di spesa grazie alla fruizione in forme diverse da quelle tradizionali ed istituzionali. In altre parole, è diffusamente riconosciuta la necessità, da un lato, di ridefinire gli ambiti di copertura del sistema pubblico e, dall'altro, di "recuperare" la spesa privata (che cresce ancor più di quella pubblica) riconducendola all'interno di uno schema organico di tutela sanitaria universale. La stessa dimensione della spesa sanitaria privata (stimata in 40/45.000 miliardi di lire a fronte dei 128.000 miliardi di spesa pubblica) rende palese che tale "recupero" non può avere ad oggetto il finanziamento di prestazioni sanitarie marginali, ma impone un ampio ridisegno del sistema. Ciò comporta innanzitutto la necessità di uno studio approfondito di alcuni modelli esteri (come l'olandese, il tedesco, il francese), nei quali il finanziamento pubblico e privato trovano differenti forme di coniugazione; un secondo, conseguente, obiettivo dovrebbe essere quello di individuare alcuni possibili schemi misti e su di essi avviare sperimentazioni locali, da cui poter trarre eventualmente utili indicazioni su possibili nuovi modelli qualora si andasse ad un superamento dell'ultima riforma. E' infatti questo il primo argomento sul quale occorre fare chiarezza, e cioè se si intenda ancora procedere lungo la via tracciata dalla "riforma ter", che assegna ai fondi sanitari integrativi solo la competenza su talune prestazioni non coperte o scarsamente coperte dal sistema pubblico e li designa quali finanziatori delle attività erogate in regime di inframoenia. Andrà anche fatta chiarezza su principi quali il solidarismo e la mutualità, riconoscendo che il primo è proprio dell'intervento pubblico ed il secondo dell'assicurazione privata, valutando attentamente se e quali elementi di solidarismo siano tollerabili negli schemi privati, e ricordando che, ogni volta che si tratta di piani ad adesione facoltativa, occorre operare secondo il principio mutualistico, tale per cui ognuno paga in funzione del rischio di cui è portatore. Altro principio inderogabile che sarà da tenere comunque presente è che, in base alla normativa comunitaria, ove l'attività dei futuri fondi sanitari dovesse assumere la forma di copertura certa di rischi malattia dietro un versamento consequenzialmente calcolato su basi statistico-attuariali, essa non potrebbe che essere svolta da imprese di assicurazione autorizzate all'esercizio del particolare ramo, o in quanto istitutrici dirette dei fondi o in quanto con essi obbligatoriamente convenzionate. Fondi integrativi sanitari di natura non assicurativa o non convenzionati con imprese di assicurazione potranno, dunque, esistere ed operare solo in quanto non assumano rischi, ma si impegnino solo a prestazioni variabili in ragione delle risorse finanziarie concretamente disponibili ovvero prevedano il richiamo di ulteriori contributi da parte degli iscritti per adeguare le loro risorse finanziarie alle necessità del momento. In ogni caso, nella fase di approfondimento e di andata a regime della soluzione che risulterà più consona ai nuovi equilibri, dovrebbe essere frattanto previsto (fatte salve le condizioni dei vecchi iscritti a casse sanitarie) un sia pur contenuto regime di deducibilità fiscale per le forme libere di protezione mutualistica o assicurativa della salute. In particolare occorrerà che per le assicurazioni malattia libere sia introdotto un trattamento paritario con le adesioni a forme mutualistiche, per le quali è consentita una detrazione sia pur parziale e plafonata dei contributi sanitari: incomprensibilmente nessuna agevolazione è invece oggi prevista per i premi dell'assicurazione malattia, che anzi sono gravati da un'imposta del 2,5% del tutto anacronistica. L'assistenza - L'evoluzione demografica, caratterizzata - com'è noto - da un sensibile e crescente aumento della popolazione anziana, ha importanti implicazioni, oltre che sulla sostenibilità dei sistemi pensionistici e di quelli sanitari, anche sui programmi di assistenza sociale. Anche per questo settore della protezione sociale, come per gli altri due, può essere disegnato un sistema a tre pilastri, in cui i piani collettivi e quelli individuali potranno svolgere, oltre che il ruolo integrativo del sistema pubblico, anche un ruolo di coordinamento delle risposte da dare alle diverse esigenze, attraverso opportune combinazioni delle coperture. Come per gli altri settori, il pilastro pubblico dovrebbe basarsi sul principio di un universalismo compatibile con le risorse disponibili, connotato da forti elementi di solidarismo, finanziato a ripartizione. Per il pilastro privato integrativo deve valere il principio della corrispettività delle prestazioni rispetto ai contributi versati e della mutualità realizzata attraverso fondi collettivi regolamentati o tramite piani individuali assicurativi coerenti con la regolamentazione dei fondi, con finanziamento a capitalizzazione. Va senz'altro condivisa l'impostazione della "legge quadro" di riforma del 2000, volta a spostare il peso degli interventi sul versante dei servizi reali, piuttosto che su quello dei trattamenti economici, ma è assolutamente necessario - ancor più che per gli altri due comparti - fare i conti con la carenza di risorse pubbliche. Quanto ai trattamenti economici per gli stati di invalidità e di non autosufficienza, occorrerà concentrare le risorse sui soggetti e sulle famiglie economicamente più fragili, dando loro più di quanto attualmente previsto ed estendendo l'intervento anche a condizioni di invalidità e di non autosufficienza solo parziali; per tutti gli altri casi sarà necessario valorizzare, anche con opportuni incentivi fiscali, tutte le risorse private, anche e soprattutto quelle del "profit". Si dovranno in particolare prevedere fondi assistenziali e schemi individuali qualificati per coprire le condizioni di invalidità e non autosufficienza per i soggetti che dispongono di risorse, attribuendo loro la possibilità di portare in deduzione fiscale i contributi e i premi, ma stando attenti a non confondere i problemi di assistenza con quelli della sanità, e quindi rivedendo le scelte, fatte nella legge n. 38 del 2000, di ricondurre l'assistenza sociale nell'ambito dei fondi sanitari. Ma in special modo si dovrà puntare alla realizzazione di una rete integrata di servizi, incentivando forme di autotutela familiare supportate da assicurazioni specialistiche le cui prestazioni si concretizzino non tanto in esborsi economici, ma soprattutto in erogazione di servizi, particolarmente medico-assistenziali, prevedendo anche il ricorso a sistemi ad elevato contenuto tecnologico, attraverso forme di telemedicina e di teleassistenza. Non ho parlato dell'andamento del 2000, di cui oggi si definisce il bilancio consuntivo; ma poiché questa Assemblea si tiene dopo quella della Banca d'Italia e dell'Isvap, penso di potermi esimere dal fornire dati ormai resi pubblici, sia per quanto attiene all'economia in generale, sia per quel che riguarda l'assicurazione in particolare. Comunque a tutti i presenti è stato fornito il nostro documento su "L'assicurazione italiana nel 2000", che traccia un quadro completo e dettagliato dell'andamento del mercato assicurativo, in tutte le sue articolazioni, nel panorama dell'economia internazionale e nazionale, e ad esso è qui il caso di fare pieno rinvio. Debbo solo aggiungere una considerazione: in occasione dell'Assemblea dello scorso anno avevamo azzardato delle previsioni per l'esercizio 2000, ipotizzando che i premi del lavoro diretto italiano avrebbero raggiunto nei rami danni i 54.500 miliardi, mantenendo l'incidenza sul PIL del 2,4%. I dati recentemente forniti dall'Istituto di vigilanza confermano che non ci eravamo sbagliati di molto. Per quel che attiene ai premi vita, invece, pur confermata la sempre maggior prevalenza rispetto ai rami danni, le nostre ipotesi di superare i 90.000 miliardi di lavoro diretto italiano non hanno trovato riscontro nella realtà del mercato, che si è fermato a 77.000 miliardi, con un incremento dell'11,8% rispetto al 1999. Le ragioni del rallentamento della crescita del settore (che varia molto da impresa ad impresa) sono molteplici e in particolare: il decremento (-9%) delle polizze tradizionali (ramo I), imputabile in larga parte all' "effetto attesa" provocato dalla riforma fiscale; l'incremento inferiore a quello previsto delle polizze "unit-linked" (ramo III), penalizzate dalle difficoltà, nella seconda parte dell'anno, dei mercati finanziari; il rallentamento della crescita di alcune rilevanti imprese "bancarie", che sembra abbiano raggiunto anticipatamente una prima fase di saturazione; l'aumento, più sensibile di quello atteso, dei riscatti e delle scadenze. In questo quadro di particolare incertezza diventa ancor più problematico fare delle previsioni, ma non vogliamo mancare di rispondere ad un'attesa e ci esponiamo con queste ipotesi: complessivamente i premi vita e danni del lavoro diretto italiano dovrebbero raggiungere nel 2001 i 142.000 miliardi di lire, con un incremento dell'8,4% rispetto all'anno passato; in particolare: i premi dei rami danni dovrebbero attestarsi su 58.000 miliardi, con un incremento del 7,5%; i premi vita dovrebbero salire a 84.000 miliardi, con un incremento del 9%. Sono stime prudenziali e speriamo che all'Assemblea del 2002 risulti che siamo stati questa volta particolarmente pessimisti.

EDISON FIRMA CONTRATTO CON RASGAS PER IMPORTARE DAL QATAR 4,6 MILIARDI DI METRI CUBI ALL'ANNO DI GNL
Milano - 27 Giugno 2001 - Edison Gas e RasGas (Ras Laffan Liquified Natural Gas Company Limited) hanno firmato il contratto per la fornitura a Edison di 4,6 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) all'anno per 25 anni a partire dal 2005. RasGas è una joint venture tra l'ente petrolifero di stato Qatar Petroleum e la Mobil Qm Inc. del gruppo Exxon-Mobil. Fondata nel 1993, la società dispone presso la città industriale di Ras Laffan, nell'Emirato, di un impianto di liquefazione di gas naturale che sarà ampliato appositamente per consentire le forniture a Edison, raggiungendo la capacità complessiva di circa 21 miliardi di metri cubi annui. Il terminale di ricezione e rigassificazione avrà una capacità produttiva da 4 a 6 miliardi di metri cubi di Gnl e costituirà una struttura di importanza strategica per l'Italia, perché consentirà di diversificare le fonti di approvvigionamento del gas contribuendo alla flessibilità, alla sicurezza ed alla efficienza del nostro sistema energetico. Durante la cerimonia di firma del contratto, Sua Eccellenza Abdullah Bin Hamad Al Attiyah, Ministro dell'Energia e dell'Industria del Qatar e presidente della Qatar Petroleum ha dichiarato: "Questo evento segna l'inizio di una nuova era per il Qatar. Abbiamo avuto grande successo in Asia diventandone principale fornitore di Gnl, ed ora siamo il primo Paese del Medio Oriente ad assicurarsi un grande contratto a lungo termine con l'Europa, un mercato di grande importanza per la nostra strategia di diversificazione. Siamo molto ottimisti sulla crescita della domanda di gas sia nel breve che nel lungo termine e siamo molto lieti di entrare nel mercato italiano attraverso l'accordo con Edison". Sua Eccellenza Yousef H. Kamal, Ministro delle Finanze del Qatar e presidente di RasGas, ha dichiarato: "Siamo entusiasti di questo primo importante contratto a lungo termine con l'Europa, ulteriore prova della competitività di RasGas e della sua capacità di conquistare quote di mercato sia in Oriente che in Occidente, e siamo compiaciuti in particolare del rapporto che abbiamo stabilito con Edison per fornire energia competitiva al mercato italiano. Confidiamo che i rispettivi punti di forza di RasGas e di Edison consentiranno al Gnl di conquistare quote crescenti dell'importante mercato del gas italiano. Questa iniziativa e le enormi riserve del Qatar consentono a RasGas di attestarsi solidamente quale primo fornitore mondiale di Gnl". Per parte sua Giulio Del Ninno, amministratore delegato Edison, ha commentato: "La firma di questo contratto costituisce un importante passo avanti nella realizzazione del nostro progetto di importazione di Gnl in Italia. Il gas del Qatar infatti costituirà il volume di base per il terminale off-shore di rigassificazione che costruiremo nell'Adriatico, mentre ulteriori forniture potranno essere acquistate da altri Paesi del Mediterraneo. La costruzione del terminale inizierà entro il 2001 poiché riteniamo che il quadro normativo evolverà celermente e consentirà la prosecuzione di questo importante investimento. L'impianto avrà una capacità produttiva all'incirca pari alla domanda di gas del Veneto e costituirà una nuova fonte di energia competitiva per il Nord-Est, accelerando il processo di liberalizzazione del mercato che è in corso". Infine Ron Billings, vice presidente della Lng Exxon-Mobil, ha dichiarato: "Mi congratulo con la Qatar Petroleum, nostra partner in RasGas, per la conclusione di questo importante accordo e siamo lieti che esso faccia seguito alla positiva collaborazione avviata tra Edison ed Exxon-Mobil per portare il Gnl sul mercato italiano. Le rispettive competenze di RasgGas e di Edison consentiranno di sviluppare una solida catena di valore, dalla produzione del gas in Qatar al consumo in Italia".

DA ORACLE ARRIVA UN'OFFERTA DI SOFTWARE PER LE PICCOLE AZIENDE USA
Milano, 27 giugno 2001 Oracle ha stretto un'alleanza con Netledger per utilizzare i suoi sistemi software indirizzati alle aziende americane di piccole dimensioni. La seconda software house del mondo ha deciso di entrare nel mercato delle piccole aziende ed ha annunciato modifiche nei servizi software online offerti alle grandi società, il cui e- business da ora in poi sarà seguito da Oracle a distanza. Oracle continuerà a gestire i software tramite modalità remote, mentre oggi i programmi vengono ospitati solamente nei suoi centri dati. Ciò permetterà un abbattimento dei costi . Sia Compaq Computer che Sun Microsystems, leader nella realizzazione di server, sono interessati ad offrire macchine prefigurate con software Oracle. Secondo le stime di Oracle si tratta di n mercato da 2 miliardi di dollari. Il business per le piccole aziende sarà condotto solo online, con connessioni a Internet che verranno fatte pagare 100 dollari al mese. E i software di Oracle per l'e-business aiuteranno le grandi società ad automatizzare i più comuni processi nelle attività di scambio con quelle minori. Le grandi aziende potranno così dare in licenza alle piccole i sistemi software in modo da poter interagire facilmente e velocizzare, ad esempio, le procedure di pagamento o altre operazioni". Novità anche nei servizi software per le grande aziende. Oracle permetterà a questo tipo di società di ospitare i suoi prodotti direttamente nei rispettivi centri dati di information technology.

UBI SOFT E CAPCOM INAUGURANO UNA NUOVA PARTNERSHIP SU SCALA EUROPEA FIRMATO UN ESCLUSIVO ACCORDO DI PUBBLICAZIONE PER SETTE TITOLI PER GAME BOY ADVANCE
Milano, 27 giugno 2001 - Ubi Soft Entertainment e il colosso giapponese Capcom annunciano un esclusivo accordo per la pubblicazione di sette titoli per Game Boy Advance: Super Street Fighter II Turbo Revival, Street Fighter Alpha 3, Mega Man Battle Network, Breath of Fire e Final Fight One. Ubi Soft Entertainment pubblicherà questi giochi in Europa Orientale e Occidentale, Australia e Nuova Zelanda entro il primo quadrimestre del 2002. I titoli previsti appartengono alla serie, ormai diventata un cult, che ha riscosso un enorme successo a livello mondiale sulle console di vecchia generazione. Street Fighter, Mega Man, Breath of Fire e Final Fight hanno contribuito al successo delle console Nes e Super Nintendo. Sin dal lancio del primo arcade Street Fighter avvenuto nel 1987, sono stati venduti, per console, più di 24 milioni di giochi della serie! La celebre serie, che ha influenzato un'intera generazione di giocatori diventando una delle più famose fino ad ora pubblicate; Street Fighter II, uscito nel 1991, viene oggi considerato dal pubblico il miglior videogioco di tutti i tempi. Non da meno la serie Mega Man, che ha avuto il suo debutto nel 1987 vendendo più di 5,6 milioni di copie. Dopo più di 14 anni Mega Man continua a rappresentare un indiscutibile classico nel genere action/platform. Final Fight, pubblicato per la prima volta nel 1989, è un altro punto di riferimento mondiale nei giochi di street-fighting. La mitica serie di Breath of Fire, creata nel 1993, è da considerarsi un vero pioniere nel genere Rpg e sarà il primo titolo Rpg sviluppato per Game Boy Advance. "Siamo davvero orgogliosi di inaugurare la partnership con un colosso del settore come Capcom", ha dichiarato Alain Corre, Managing Director di Ubi Soft Entertainment per l'Europa, il Pacifico Asiatico e il Sud America. "Questo accordo rafforza ulteriormente, attraverso questi prestigiosi brand, il catalogo Ubi Soft per il promettente Game Boy Advance. Il pubblico potrà nuovamente apprezzare questi eccezionali giochi su una piattaforma di gioco portatile, che permette una sbalorditiva giocabilità, simile a quella di una console da casa".Shigeru Ota, Presidente di Capcom Eurosoft ha commentato: "Capcom ha sempre sostenuto lo sviluppo sul formato Game Boy Advance, come si può ben intuire da questi importanti titoli. La partnership con Ubi Soft Entertainment, che vanta di una ricca esperienza nel campo dell'editoria e di una straordinaria rete di vendita e distribuzione, conferirà un supporto di qualità ai titoli per Game Boy Advance assicurandone il successo durante il periodo cruciale del loro lancio".

NET ECONOMY: CADONO I MITI, SI AFFERMANO I PARADIGMI PRESENTATA ' LA RICERCA SMAU RICERCHE - SDA BOCCONI
Milano 27 giugno 2001 - L'euforia e' stata eccessiva, ma l'eredita' e' positiva e l'affermazione della Net Economy in azienda ha fatto emergere paradigmi organizzativi, dei quali imprenditori, manager e uomini dell'information and communications technology dovranno tenere conto nei prossimi anni. ''Le nuove tecnologie non sono un'illusione'', ha detto Pierfranco Camussone, direttore dell'Area Sistemi Informativi della Sda Bocconi presentando oggi i risultati dello studio ''Net Economy. Tecnologie e nuovi paradigmi manageriali', realizzato per Smau Ricerche, ''ma lo scorso anno alcuni aspetti della Net Economy sono stati sopravvalutati, fino al punto di trasformarli in miti, che hanno male indirizzato il processo decisionale dei manager''. Non ci si e' accorti che il mercato ragiona in termini di funzioni d'uso e che, percio', ogni tecnologia, per affermarsi, deve dare un valore aggiunto durevole al cliente. I miti che la ricerca Smau - SDA ha evidenziato sono i seguenti: 1. Il consumatore e' orientato positivamente verso l'e-commerce ed e' ansioso di utilizzare questo canale commerciale al posto di quelli tradizionali. 2. L'impiego della tecnologia piu' avanzata e innovativa e' di per se' garanzia di successo delle applicazioni, in quanto gli utenti sono sensibili alle innovazioni tecnologiche. 3. Se le aziende della societa' dell'informazione sostengono dei costi, si tratta di investimenti: maggiori sono gli investimenti effettuati e maggiore e' il valore che il mercato ''deve'' riconoscere all'azienda. 4. Il ''virtuale'' sostituira' il ''reale'' in quanto caratterizzato da costi di gestione inferiori e da funzionalita' offerte superiori. 5. In rete ci sono ''tutte'' le informazioni che ci servono ed e' facile reperirle. 6. La rete e' certamente lo strumento migliore per diffondere le informazioni online, cosi' che si possano prendere decisioni tempestive. Ora che i miti sono stati individuati, rimane la verita' di fondo che li ha fatti nascere. Se, da un lato, l'e-commerce non e' riuscito a superare una quota di mercato del 2% di quello tradizionale, dall'altro l'information and communications technology sembra destinata a raggiungere una quota del 10-15% del pil in pochi anni, raddoppiando quella attuale. ''Si e' esaurita un'ondata'', ha detto Camussone, ''ma gli start up continuano a svilupparsi, anche se su basi economiche piu' ragionevoli, e gli uomini dell'Ict devono fare i conti con nuovi paradigmi''. Il mondo aziendale e' stato radicalmente modificato dalla Net Economy, mettendo in secondo piano la cultura della rigida pianificazione. ''Il manager della net economy deve accettare un certo grado di confusione organizzativa: gli utenti, sempre piu' esperti, sono diventati anche decisori attivi e consapevoli; i sistemi informativi superano i limiti aziendali e coinvolgono i partner; i Ced, che un tempo erano bunker con reti private, si aprono a Internet con la difesa dei firewall. Il nuovo manager, che fino a poco tempo fa selezionava dei semplici software, oggi seleziona dei partner tecnologici per la propria azienda. Infine, come e' sotto gli occhi di tutti, la nuova comunicazione e' multimediale e ipertestuale, basata sulla tecnologia Internet''. Claudio Dematte', presidente di Sda Bocconi, ha sottolineato la rilevanza di una riflessione critica: ''Da dieci anni le ricerche Sda - Smau aiutano i manager del settore a prendere decisioni strategiche. L'evoluzione dell'informatica li pone di fronte a dilemmi tecnologici e organizzativi sempre nuovi e che hanno estese conseguenze per tutta l'azienda. Il lavoro degli studiosi ha il pregio di chiarire quali siano i pro, i contro e gli effetti attesi di ogni decisione''. Il presidente Smau, Antonio Emmanueli, ha dichiarato: ''Smau Ricerche ha un ruolo strategico all'interno del Sistema Smau, perche' contribuisce a offrire un quadro di dati e modelli che assicurano agli operatori indicazioni di scenario, trend, evoluzione dei mercati e che costituiscono un prezioso strumento a supporto delle decisioni di business. La collaborazione con Sda Bocconi e' una ulteriore prova e garanzia di qualita'''.

SMAU CHANNEL AI BLOCCHI DI PARTENZA DA SETTEMBRE PER ESSERE SINTONIZZATI SULLA NEW ECONOMY
Milano 27 giugno 2001 - Smau quest'anno ha un mezzo di informazione in piu': il canale televisivo satellitare Smau Channel, uno dei piu' avanzati strumenti per l'informazione sul settore, per essere costantemente in presa diretta con le novita' piu' avvincenti, con i protagonisti del settore, con le news dal mondo. Il nuovo canale digitale prendera' il via in autunno e sara' visibile gratuitamente con un palinsesto di 24 ore di cui 6 in diretta. La costante e rapida diffusione della Tv satellitare, anche in Italia, con un tasso di penetrazione nel 2001 del 20% e un'audience potenziale pari a 11.328.000 individui (dati fonte Eurisko), permette oggi di dare una risposta di qualita' ed economicamente interessante per raggiungere un vasto pubblico. Il mondo dell'Ict, con le sue decine di milioni di decisioni d'acquisto ogni anno, con il suo vasto numero di addetti e con la sempre piu' rapida crescita degli utenti dei vari servizi di rete, e' ormai maturo per richiedere strumenti di comunicazione di alto livello. In questo contesto, Smau Channel, la risposta piu' avanzata e completa oggi disponibile sul mercato italiano, si propone di diventare il canale tematico di riferimento per la comunita' digitale con un progetto editoriale al servizio dei consumatori, del mercato e dell'industria. Orientato sia agli operatori del B2B sia al largo pubblico del B2C, Smau Channel e' il punto d'incontro ideale per avere informazioni costantemente aggiornate sul settore, segnalazioni delle piu' importanti novita' commerciali, guide all'acquisto. Nello stesso tempo costituisce un prezioso strumento per la formazione e le attivita' informativo-educative, oltre che per facilitare i flussi del mercato del lavoro. Informatica, telecomunicazioni, Internet ed elettronica di consumo: Smau Channel e' la piu' efficace vetrina per l'e-business e i suoi protagonisti, sempre accesa 365 giorni l'anno. Il palinsesto di Smau Channel sara' articolato in quattro macro aree: Personal Technology: con le ultime novita' per l'utenza Soho (Small Office Home Office), l'individuo e la famiglia, il piccolo studio professionale. In quest'area i temi spaziano dall'entertainment alle applicazioni della microinformatica e della personal communication. Internet: con le novita' software e hardware, del web, i servizi, le offerte dei provider, l'e-commerce e tutte le nuove forme di relazioni economiche e culturali basate sul web. Informatica: con le piu' recenti evoluzioni hardware e software e i servizi e le applicazioni per l'azienda, il business, la famiglia: dalla realizzazione delle reti aziendali ai nuovi sistemi di stampa, alle applicazioni piu' complesse che regolano la vita di tutti i giorni. Telecomunicazioni: dalle applicazioni ai servizi. In quest'area si potra' incontrare il futuro delle reti e delle comunicazioni mobili, della larga banda per l'accesso veloce a Internet ai sistemi che interessano le aziende. Infolink:
http://www.smau.it

INTERNET EXPO APPRODA A ROMA
Roma, 27 Giugno 2001 - Ieri ha preso il via la quinta edizione di Internet Expo, esposizione di tecnologie, servizi e professioni per il business online, presso il Palazzo dei Congressi Eur, a Roma (26/28 giugno 2001). Gli ottimi risultati registrati nelle precedenti edizioni milanesi ed il generale consenso creato attorno a questa importante manifestazione, hanno spinto gli organizzatori ad aprire le porte al mercato del centro-sud Italia. Anche per la sua quinta edizione, la missione di Internet Expo sarà quella di essere un significativo punto di contatto tra tutte quelle aziende che operano e si servono della rete quotidianamente e per tutti quei professionisti che sono alla continua ricerca di nuove opportunità offerte da internet. Per questo, all'interno del Palazzo dei Congressi Eur di Roma, sono stati allestiti circa 4.000 mq di area espositiva che ospiteranno 68 aziende, 3 sale seminari e 1 sala conferenze da 700 posti. Grazie ai 37 seminari e alle 3 conferenze, nei tre giorni di esposizione i partecipanti potranno approfondire 7 principali aree tematiche, tutte pensate per offrire risposte e informazioni utili per le esigenze delle nuove imprese. Gli argomenti presentati verteranno su: E-Commerce Expo, che affronterà il tema delle strategie per il commercio online; Web Advertising Expo, dedicata ai protagonisti e alle tematiche inerenti la comunicazione nella rete; Net Banking Expo, che presenterà le ultime novità riguardanti i servizi di banking e di trading online; Crm Expo, che svilupperà e approfondirà l'importante tema del Customer Relationship Management; e Outsurcing Expo, riservata a tutte quelle soluzioni impiegate per l'esternalizzazione dei processi informatici aziendali. In occasione della prima edizione romana, vengono presentate anche due nuove aree tematiche: Wireless Expo che consentirà di conoscere ed apprezzare le infrastrutture wireless dedicate alle Pmi e, M-Business Expo, all'interno della quale si analizzeranno le opportunità offerte dal mobile business per le aziende. Infolink:
http://www.internetexpo.net

ACERALIA, PRODUTTRICE SPAGNOLA DI ACCIAIO, SCEGLIE LE SOLUZIONI DI SUPPLY CHAIN MANAGEMENT I2
Milano, 27 giugno 2001 - i2 Technologies, Inc. (Nasdaq: Itwo), fornitore leader nel campo delle soluzioni di supply chain management e marketplace, ha annunciato oggi che Aceralia, azienda spagnola leader per la produzione di acciaio, ha ottenuto la licenza per la piattaforma i2 di Supply Chain Management Solutions, ideata per sincronizzare i processi commerciali end-to-end, migliorare i livelli di customer care, realizzare un efficiente sistema di consegna al cliente e ridurre i livelli delle scorte. Negli ultimi 11 anni, i2 ha fornito ai clienti che operano nel campo della metallurgia come Usinor, Thyssen Krupp Stahl Ag e Posco alcune soluzioni specificamente ideate per il settore e mirate a incrementare l'efficienza operativa, migliorando in tal modo la loro capacità di competere su scala mondiale. La clientela i2 annovera già otto fra i primi dieci produttori di acciaio negli Stati Uniti, i primi sette produttori di acciaio al mondo, e vari mercati elettronici per la compravendita di metalli. Aceralia produce acciaio di alta qualità da anni e si colloca in un mercato globale estremamente competitivo in cui le aziende si trovano a fronteggiare una concorrenza aggressiva sui prezzi, la globalizzazione del mercato, la sostituzione dei materiali e una domanda crescente. "I fattori critici di successo del settore adesso vanno ben al di là delle innovazioni nei processi di produzione e dell'utilizzo della capacity aziendale" - afferma José Luis Rodriguez, country manager i2, Spagna. "La fornitura di una valida assistenza al cliente e il controllo dei costi attraverso la riduzione delle scorte sono due condizioni essenziali di successo. Miglioramenti di questo tipo diventano ancora più cruciali poiché Aceralia si muove nella new economy con iniziative di commercio elettronico, in cui la rapidità delle reazioni e la fidelizzazione del cliente sono estremamente critiche." "La catena di fornitura di Aceralia è molto complessa, caratterizzata da macchinari pesanti, lunghe catene di produzione e un'infrastruttura dislocata in impianti geograficamente distanti" - ha sottolineato Felix Velez de Mendizabal, Chief Information Officer, Aceralia. "Quando abbiamo valutato le soluzioni proposte da i2, ci siamo resi conto che era possibile sfruttare un potenziale enorme migliorando l'assistenza ai clienti, riducendo il livello delle scorte e incrementando l'utilizzo degli asset. Abbiamo anche visto il software i2 all'opera nelle sedi di vari clienti i2 nel settore siderurgico, e i dirigenti di queste aziende ci hanno testimoniato i risultati molto positivi conseguiti grazie all'uso del software i2 per l'ottimizzazione delle loro supply chain". Infolink:
http://www.i2.com

DAL 30 GIUGNO PER CHIAMARE I CELLULARI NON BISOGNA COMPORRE LO ZERO INIZIALE
Milano, 27 giugno 2001 - Va ricordato che, dal prossimo 30 giugno, la prima cifra da digitare per chiamare i telefonini sarà solo il 3 e non più lo zero. Se qualcuno, tuttavia, dovesse ancora insistere con la vecchia numerazione troverà un disco pre-registrato che avvertirà dell'errore e che inviterà a ripetere l'operazione. Il disco rimarrà in funzione per parecchi mesi (le aziende dovranno seguire le indicazioni dell'Authority in questo senso) ma è probabile che nel momento in cui non si registreranno più errori da parte degli utenti anche il disco finirà in soffitta insieme al vecchio zero, che sparirà dalla telefonia mobile, ma rimarrà ben saldo in quella fissa. I numeri per le urbane e le interurbane, infatti, inizieranno sempre con lo zero, come anche quelli delle internazionali (in questo caso lo zero è doppio). Un ulteriore cambiamento, poi, partirà in autunno. A partire dal 30 settembre, infatti, i servizi interni di rete delle varie aziende di telefonia dovranno cominciare con il 4. Tra questi servizi, il più popolare è probabilmente la segreteria telefonica degli operatori di telefonia mobile. Per ascoltare i nuovi messaggi, quindi, sarà necessario digitare il vecchio numero del proprio gestore preceduto da un 4. Tim, in ogni caso, non aspetterà il 30 settembre e partirà già il 2 luglio con una "coabitazione" tra 919 (il vecchio numero) e il 4919 (il nuovo). Per quanto riguarda gli altri numeri, il 7 sarà riservato alle utenze Internet. L'1 alle chiamate d'emergenza (113, 112, 118 eccetera) e per i centri servizi degli operatori. L'8, infine, continuerà ad appartenere ai numeri verdi gratuiti (800), ma anche a quelli ad addebito ripartito (840 e 848) tra il chiamante e il destinatario della telefonata, utilizzati - spiega Telecom Italia - soprattutto dalle pubbliche amministrazione e dalle imprese. I rimanenti 2, 5, 6 e 9 verranno dedicati a future esigenze.La rivoluzione dello zero è il frutto del nuovo piano di numerazione nazionale, deciso dall'Authority per le Comunicazioni e che prevede anche altre innovazioni, come il 4 per i numeri interni di rete, per il quale tuttavia c'é ancora tempo fino al 30 settembre.

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