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27 GIUGNO 2001
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GENERALI DISCUTE LA FUSIONE CON INA IL 28 LUGLIO
Milano, 28 luglio 2001 La conferma arriva dal presidente e Ad delle
Generali, Gianfranco Gutty, entrando all'assemblea annuale dell'Ania.
L'assemblea straordinaria per la fusione per incorporazione dell'Ina nelle
Generali si terra' in terza convocazione sabato 28 luglio.
ASSICURAZIONI: LA RELAZIONE DEL PRESIDENTE ANIA ALFONSO DESIATA
Roma, 27 giugno 2001 - Di seguito riportiamo la relazione del Presidente
dell'Ania Alfonso Desiata letta nel corso dell'assemblea Ania svoltasi ieri.
Parlare di assicurazione in Italia con riguardo all'anno 2000 comporta
inevitabilmente di dover parlare innanzi tutto di assicurazione r.c. auto,
che è stata come non mai al centro dell'attenzione del Governo, del
Parlamento, dell'opinione pubblica. L'assicurazione auto Non è certamente il
caso di ricordare qui i fatti e i misfatti che sono stati compiuti l'anno
passato, nel falso intento di risolvere i problemi della r.c. auto, ma col
reale risultato di lasciarli insoluti ed anzi aggravati. I provvedimenti,
che si sono succeduti numerosi, sono infatti troppo noti a tutti, non solo
agli operatori del settore, perché ci sia bisogno di farne specifica
menzione. E soprattutto il profondo mutamento del quadro politico ed
istituzionale rende inutile riproporre oggi le pur giustificate doglianze
degli assicuratori per essere stati demagogicamente indicati come i
responsabili di mali italiani che hanno ben altre antiche cause e per essere
stati fatti vittime di interventi normativi gravemente penalizzanti,
inammissibili per uno Stato dell'Unione Europea. Chiediamo un autentico
dialogo che consenta non solo di parlare "dell'altro" o di parlare
"all'altro", ma di dialogare "con l'altra parte". Dovrà trattarsi di
un'autentica svolta rispetto al noto teorema "di qualsiasi colore, purché
sia nero". Mi sia permesso tuttavia un piccolo sguardo al passato, per
ricordare che siamo stati noi assicuratori, già in occasione dell'Assemblea
associativa del 1999, a richiamare l'attenzione sull'aggravarsi della
situazione dei bilanci r.c. auto, sempre più in rosso, malgrado gli
interventi, tecnicamente imprescindibili, sul livello dei premi, comunque
insufficienti a riportare i conti sulla via del necessario equilibrio. Ora
ci troviamo, con almeno due anni di ritardo, a dover riformulare diagnosi e
a riproporre cure e farmaci, che non sono affatto utopistici, ma sono
senz'altro alla portata del nostro Paese. Anche se può sembrare banale,
dobbiamo cominciare col prendere coscienza tutti, e specialmente coloro che
sono investiti di compiti istituzionali, che l'assicurazione r.c. auto non è
una specie di tassa imposta ai cittadini a favore degli assicuratori, ma è
strumento di risarcimento garantito per le vittime della strada e di
liberazione dalla responsabilità economica per chi si trova a provocare
incidenti. E che i premi servono per pagare i sinistri, cosicché solo
contenendo o diminuendo i danni nel loro numero e nel loro ammontare si può
contenere o diminuire il livello dei premi. Altrimenti, per quello che noi
per primi abbiamo chiamato il "grande paradosso", utenti e assicuratori
rimangono entrambi perdenti: gli uni, perché soggetti ad ulteriori aumenti
dei premi; gli altri, perché destinati a reiterate perdite del bilancio r.c.
auto, perdite che nel 2000 sono state - lo dichiara l'Isvap - di ben 2.515
miliardi. E, anche se sembra altrettanto ovvio, dobbiamo ribadire che è
necessario smettere di ragionare in termini di inflazione: non ha alcun
senso pensare di "imbrigliare" i prezzi del servizio assicurativo entro la
dinamica inflativa generale, perché i premi sono determinati dal numero e
dall'ammontare dei danni, che sono variabili e assolutamente indipendenti
dall'andamento dell'inflazione. Dal 1994, anno della liberalizzazione
tariffaria, al 2000, l'inflazione è cresciuta del 18,2%, mentre il costo
medio dei danni pagati dagli assicuratori è aumentato del 78,8%. Un altro
mito da abbandonare è quello del "Grande Cartello" degli assicuratori r.c.
auto. L'Antitrust, con un provvedimento che ha riguardato un certo numero di
imprese, ha ritenuto ingiustificato, e quindi sanzionabile, uno scambio di
informazioni intercorso fra le imprese stesse su alcuni elementi tecnici ed
economici dei rischi. Lo scambio di informazioni è essenziale all'esercizio
dell'attività assicurativa; e la sanzione applicata a quelle imprese pecca
palesemente di eccessivo formalismo, poiché è risultato che la conoscenza
dei dati - comunque di facilissima acquisizione, per essere gli stessi
disponibili sul mercato anche per obbligo normativo - non ha prodotto alcun
effetto collusivo sui premi praticati, premi che sono talmente diversificati
da compagnia a compagnia che, con tranquilla incoerenza, gli stessi che
apoditticamente accusano gli assicuratori di aver fatto cartello, li
accusano nel contempo di aver creato una "giungla" di prezzi differenti,
dimenticando oltretutto la competizione esistente sui contenuti delle
garanzie e sulla qualità del servizio. La concorrenza fra le imprese,
dunque, esiste ed è vivace, ma tutte debbono fare i conti con il dato
incontrovertibile che ho già ricordato: che dal 1994 al 2000 il costo medio
dei danni r.c. auto è aumentato del 78,8% e che, come i più accreditati
analisti economici indipendenti hanno più volte rimarcato, la pregressa
dinamica dei premi è insufficiente a garantire l'ammontare delle somme
necessarie per il pagamento dei sinistri. Agli assicuratori si può chiedere
di contenere le loro spese (che entro certi limiti sono da loro
governabili), ed essi lo hanno fatto, diminuendone dal 1994 al 2000
l'incidenza media sui premi dal 20,6% al 17,4%. Ma evidentemente il
controllo delle spese non basta: occorre fare in modo che diminuisca
sensibilmente il numero dei sinistri, che in Italia hanno una frequenza
doppia della media europea; e occorre che finalmente si agisca per porre
rimedio a quello che può essere definito un vero e proprio "caso Italia".
L'abbiamo già denunciato più volte, ma sentiamo il dovere di denunciarlo
ancora ed a gran voce: in Italia, su ogni 100 sinistri, per 18 vengono
reclamati danni alla persona (contro gli 11 della Germania, i 10 della
Spagna, gli 8 della Francia e del Regno Unito); e si tratta di un dato in
continua crescita: dieci anni fa era la metà. Il "caso Italia" nasce
soprattutto dal fatto che nel nostro paese viene richiesto il risarcimento
per microlesioni al rachide cervicale (il famoso "colpo di frusta") nel 66%
dei casi, mentre la media europea è del 30%, e quasi ogni volta che viene
lamentato un colpo di frusta, il medico legale e il magistrato riconoscono
qualche punto di invalidità permanente, mentre altrove si tiene ben conto
del fatto, scientificamente constatato, che gran parte di questi casi di
lesioni di lieve entità determina solo un male temporaneo che guarisce in
pochi giorni. Già altre volte queste nostre denunce hanno determinato una
levata di scudi da parte di associazioni di consumatori, di avvocati, di
medici legali, di magistrati, e siamo convinti che anche in questa occasione
succederà altrettanto; ma siamo anche fiduciosi che queste scontate reazioni
non potranno ancora una volta offuscare la verità, che è
incontrovertibilmente questa: fino a quando si regaleranno punti di
invalidità permanente pure in assenza di obiettivi riscontri clinici
(condizionando così anche le trattative stragiudiziali, a causa della
certezza dei danneggiati di poter spuntare in giudizio risarcimenti più che
favorevoli), il "caso Italia" continuerà ad incidere pesantemente sui
bilanci delle compagnie e su quelli delle famiglie. Queste considerazioni
inducono a ricordare un altro fenomeno, che se non è tutto italiano,
sicuramente ci vede ai primi posti nel mondo: parlo naturalmente delle
frodi, da quelle che in certe zone ormai costituiscono un "ramo"
specialistico della malavita organizzata, a quelle attuate da "bande"
improvvisate, e soprattutto a quelle messe a segno da singoli danneggiati
che nella generale impunità non sanno resistere all'"occasione che fa l'uomo
ladro". Purtroppo il fenomeno si è diffuso in tutto il paese, raggiungendo
livelli mai toccati in passato, e per di più non riguarda solo i sinistri,
ma si è esteso anche alla fase della stipulazione delle polizze, per
ottenere di pagare premi inferiori a quelli dovuti, attraverso la
presentazione di documenti (carte di circolazione e attestati di rischio)
falsi o alterati. Ma se anche tutto questo non esistesse resterebbe pur
sempre la tragica situazione del numero sterminato dei veri sinistri, con
morti e feriti veri: è soprattutto qui che si deve agire, rapidamente e
concretamente. Non basta dare delega al Governo di riformare il Codice della
strada, com'è stato fatto con la legge del 22 marzo scorso, dopo che per un
anno intero gli assicuratori avevano chiesto a gran voce al tavolo
ministeriale norme più severe e soprattutto più severi controlli. Occorre
che la riforma, che è ispirata a principi (anche se in parte edulcorati)
corrispondenti alle proposte formulate dalla nostra Associazione, venga
attuata in tempi brevi, così come occorre che venga realizzato il Piano
nazionale della sicurezza stradale, demandato da oltre due anni al Ministero
dei lavori pubblici e non ancora partito. Alcune misure sono state da noi
sollecitate come prioritarie per la loro sicura efficacia ai fini della
riduzione dell'incidentalità stradale: ci riferiamo alla patente a punti
(che peraltro, per avere reali effetti deterrenti dovrebbe essere
disciplinata con maggiore rigore rispetto a quanto previsto nella legge
delega); al certificato di idoneità alla conduzione dei ciclomotori per i
minorenni; a dispositivi che inducano all'uso della cintura di sicurezza;
alla riduzione del tasso alcolemico consentito, in linea con gli altri Paesi
europei; alla maggiore dotazione (a tutte le Forze incaricate della
vigilanza delle strade) di strumenti di controllo, quali autovelox ed
etilometri; all'istituzione di un osservatorio di punti critici della
circolazione (i cosiddetti "black points") per l'adozione degli opportuni
interventi correttivi. Da parte sua il settore assicurativo è pronto a
rafforzare il proprio impegno in materia e, a tal fine, sta costituendo in
questi giorni una Fondazione - che diventerà operativa nei prossimi mesi -
dedicata esclusivamente alla soluzione delle problematiche della sicurezza
stradale. Sarà un organismo aperto alla collaborazione di persone ed enti,
pubblici o privati, che abbiano come obiettivo la prevenzione dei rischi
della circolazione, in primo luogo attraverso la formazione di una cultura
diffusa della sicurezza stradale. Ma non solo è necessario che diminuiscano
il numero e la gravità degli incidenti: occorre altresì che diminuisca il
loro costo mediante una disciplina legislativa organica e certa. Sottolineo
che dovrà trattarsi di una disciplina "certa", che non ripeta l'errore della
legge sul risarcimento dei danni di lieve entità, che ha lasciato al giudice
un margine di discrezionalità senza limiti; per cui, quelli che avrebbero
dovuto essere valori oggettivi, sono diventati valori meramente virtuali, da
prendere in considerazione solo come minimi inderogabili, aumentabili sempre
e, volendo, all'infinito. E già si registrano i primi esempi di orientamento
di certi Fori, non sporadico ma concertato, per un innalzamento frontale dei
valori risarcitori rispetto ai limiti di legge, con tutte le conseguenze di
aumento dei costi assicurativi, in pieno contrasto con quello che avrebbe
dovuto essere l'obiettivo da perseguire. La normativa organica su tutti i
danni fisici, anche di non lieve entità, dovrà correggere questi errori,
così come dovrà farsi carico di evitare il proliferare di nuove categorie di
danno rispetto al danno biologico, per superare il quale già si è costruito
un c.d. danno esistenziale, che sfugge ad ogni rigoroso accertamento
oggettivo e ad ogni limite quantitativo, reinnescando la spirale di aumenti
dei risarcimenti, senza alcun rispetto dell'esigenza di compatibilità con le
risorse economiche del paese. Anche i danni materiali, peraltro, debbono e
possono essere contenuti: gli assicuratori hanno rinnovato gli accordi con
oltre 15.000 autoriparatori, ma perché gli accordi funzionino occorre che
sia consentito alle compagnie di provvedere alla effettiva riparazione dei
veicoli - ovviamente a regola d'arte - in alternativa al risarcimento in
danaro. Ciò permetterebbe un diretto contenimento dei costi per le evidenti
economie di scala anche per quanto riguarda i pezzi di ricambio,
determinerebbe una diminuzione delle frodi (evitando che danni già pagati,
ma non riparati, vengano richiesti una seconda volta) ed infine porterebbe
ad una maggiore sicurezza stradale, evitando la circolazione dei veicoli
rimborsati ma non rimessi in pristino. Per ottenere questo basterebbe una
modifica legislativa, che purtroppo trova opposizioni sospette, le quali
peraltro non dovrebbero poter trionfare all'infinito. Si è detto prima delle
truffe, che c'è da sperare potranno essere in qualche misura contenute
dall'entrata in funzione della banca dati sinistri istituita presso l'Isvap
con finalità antifrode, che costituisce un utile completamento dell'azione
intrapresa volontariamente dal settore con la creazione, avvenuta anni or
sono, presso l'Associazione, di una banca dati avente analogo fine. E' però
necessario che le notizie, molto complete, contenute nella nuova banca dati,
vengano senz'altro messe a disposizione dell'Organismo antifrode associativo
e di quelli esistenti presso le imprese (organismi di cui la stampa ha più
volte evidenziato il determinante apporto dato alla Magistratura e alle
Forze dell'Ordine), affinché si possano poi raccogliere dai fascicoli delle
imprese le prove necessarie per intraprendere le conseguenti azioni
giudiziarie e di polizia. Sarebbe velleitario pensare che un unico organismo
centrale possa riuscire da solo in questa dura battaglia. Il riconoscimento
che non si tratta di un reato a danno delle compagnie esto processo è
proprio l'omogeneizzazione della fiscalità. Per contenere inoltre mediamente
il prezzo dell'assicurazione r.c. auto a vantaggio della massa degli
assicurati occorre consentire l'applicazione di formule tariffarie che
prevedano un contributo dell'assicurato al risarcimento dell'eventuale danno
da lui provocato, responsabilizzandolo in modo più diretto alle conseguenze
dei propri comportamenti di guida. Abbiamo proposto una modifica normativa
che legittimi una franchigia opponibile al danneggiato (di fronte al quale,
per la parte di danno in franchigia, risponderebbe direttamente in proprio
chi ha causato il danno): ciò consentirebbe significative riduzioni di
premio, certamente non conseguibili con franchigie non opponibili, le quali
gravano comunque sulle uscite delle compagnie e delle quali è nota
l'aleatoria (per non dire improbabile) ricuperabilità, specialmente in certi
contesti. In subordine abbiamo ipotizzato la previsione di meccanismi
normativi che introducano la necessaria garanzia di recupero di franchigie
non opponibili. Starà ora al nuovo Governo e al nuovo Parlamento farsi
carico anche di queste possibili soluzioni, come dell'eventuale introduzione
di una "bad company" che attenui la ripartizione mutualistica generale delle
conseguenze della circolazione, al di là delle già adottate forme di
personalizzazione oggettive e soggettive. Occorre peraltro che venga rimosso
l'obbligo a contrarre gravante sulle imprese e ci attendiamo, all'esito
degli approfondimenti in corso, una disponibilità delle Istituzioni a questa
soluzione già adottata in altri paesi d'Europa. Adesso parliamo degli altri
temi in cui gli assicuratori si sentono impegnati a far emergere e
realizzare il loro ruolo: questi temi sono stati, alcuni, travisati e
portati a soluzioni non rispondenti alle reali esigenze del Paese; altri, se
non del tutto dimenticati, quanto meno rinviati. Essi vanno riproposti
all'attenzione di tutti ed in particolare del nuovo Governo. L'assicurazione
dei prodotti agricoli - Con la legge finanziaria 2001 del dicembre dello
scorso anno sono state introdotte parziali modifiche alla disciplina
dell'assicurazione delle produzioni agricole. Con tali modifiche, da un lato
- ed è il lato positivo - è stata introdotta (anche se non ancora
concretamente realizzata) una liberalizzazione della domanda assicurativa,
superando il sostanziale monopolio dei consorzi provinciali di difesa,
incentrato sulla loro prerogativa di essere i dispensatori del contributo
pubblico al pagamento dei premi assicurativi. Ciò è stato fatto legittimando
opportunamente alla stipulazione di polizze collettive anche le cooperative
agricole ed ammettendo giustamente al contributo agevolativo i singoli
produttori agricoli senza che debbano sottostare all'onerosa e burocratica
intermediazione dei consorzi di difesa. D'altro lato, però, si è prevista
l'istituzione di un fondo per la riassicurazione dei rischi agricoli (tutto
da impostare con ulteriore normazione), che non trova riscontro
nell'ordinamento giuridico né nella consolidata tecnica assicurativa e
rischia di introdurre elementi distorcenti nel mercato, senza rispondere
adeguatamente al bisogno - già sperimentato negli altri Paesi - di un
corretto intervento finale dello Stato a fronte della natura catastrofale di
questo tipo di rischi. Identica situazione di genericità e di distonia
rispetto al sistema, nonché di pericolo di effetti distorsivi della parità
degli attori del settore, si riscontra nella previsione di non meglio
precisati "fondi rischi di mutualità", che, comunque li si immagini, mal si
conciliano con il carattere catastrofale dei rischi agricoli. Analogamente
sono state previste legislativamente polizze globali e multirischio, ma
anche in questo caso si è rimasti nella totale indeterminatezza, non andando
oltre una mera dichiarazione di intenti, con il pericolo di alimentare
illusorie attese, mentre questo tipo di coperture presenta rilevanti
problematiche tecniche e necessita di adeguate basi di dati, oggi carenti, e
di preventive approfondite sperimentazioni. Si tratta dunque di una tematica
da rivedere e da integrare nell'ottica della razionalizzazione e
ottimizzazione degli interventi pubblici e della opportunità di far compiere
al mercato agricolo quel salto di qualità imprenditoriale che è richiesto
dal mutamento dei processi produttivi e dall'intensificarsi della
concorrenza internazionale. Le calamità naturali - Senza voler prospettare
una graduatoria di importanza e di priorità di intervento, non possiamo non
riproporre qui la necessità che venga introdotta anche in Italia (che è
sostanzialmente l'unico paese europeo a non averla) una normativa
sull'assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali. Lo Stato
italiano non ha una legislazione organica per affrontare le conseguenze
degli eventi catastrofali naturali, che sono sempre più frequenti e più
gravi. Dopo ogni terremoto o alluvione o frana o simile calamità, il Governo
è chiamato ad intervenire con provvedimenti a posteriori, che spesso danno
luogo ad iniquità nella distribuzione degli aiuti e a pesanti diseconomie
nell'ammontare degli indennizzi e nei costi di intervento e di riparazione.
In sintesi: occorre che venga stabilito in via generale che, nei casi di
dichiarata calamità naturale, lo Stato non interverrà per indennizzare i
danni subiti da fabbricati non assicurati appartenenti a chi abbia un
reddito superiore ad una certa soglia: oggi manca qualsiasi stimolo
all'auto-protezione per la convinzione che lo Stato finisce sempre per
indennizzare - bene o male, presto o tardi - tutti i danni, per cui è
superfluo assicurarsi; occorre che venga introdotto l'obbligo dei
proprietari dei fabbricati di estendere l'assicurazione incendio anche ai
rischi di calamità naturali, da definirsi in modo inequivoco, eliminando nel
contempo il pesante balzello fiscale sui premi (oggi gravati di un'imposta
del 21,35%); occorre, come del resto già ammesso dalla stessa Autorità
Antitrust, che venga prevista la costituzione di un unico consorzio, cui far
confluire i premi relativi a tali rischi, per poter definire tariffe
adeguate a livello di mercato, per permettere il corretto pagamento dei
sinistri anche quando si superi la capacità complessiva del mercato
assicurativo, e sia necessario l'intervento finale dello Stato, ed infine
per consentire l'accantonamento cumulativo (che dovrà essere esente da
carichi fiscali) di riserve destinate agli eventi degli esercizi futuri;
occorre fissare un limite globale di esposizione annuo del settore
assicurativo oltre il quale interverrà lo Stato, a favore del quale gli
assicuratori consorziati effettueranno, in maniera coordinata ed economica,
attraverso il consorzio, il servizio di accertamento e quantificazione dei
danni anche per quanto comporti l'intervento economico statale, sia per
superamento dell'esposizione assicurativa, sia per i meno abbienti,
esonerati dall'obbligo di assicurarsi; il tutto con severa attenzione a non
premiare, ed anzi a penalizzare, i casi di abusivismo edilizio, specie
quando siano state violate norme finalizzate a prevenire le conseguenze
dannose delle calamità. Gli assicuratori e i riassicuratori, nazionali ed
europei, hanno manifestato da parecchio tempo ampia disponibilità a svolgere
il loro ruolo e qualche anno fa sembrava che il progetto fosse avviato
all'approvazione: poi tutto si è complicato e confuso, e non si può nemmeno
dire che questo sia stato solo un male, dal momento che si è corso il
pericolo che certe istanze irrazionali avessero il sopravvento sulle
imprenscindibili esigenze di natura tecnica. Ora riproporremo un disegno
sistematico e coerente che, in linea con l'esperienza di altri paesi, porti
a contenere l'onere statale, innanzitutto incentivando gli interventi di
prevenzione (che il settore assicurativo ha approfondito con i suoi
organismi specializzati) e soprattutto trasferendo al settore privato, agli
assicuratori e - tramite loro - ai titolari dei beni da proteggere, gran
parte degli effetti economici che oggi vengono indistintamente caricati sui
conti pubblici. Nutriamo fiducia che il progetto - che non può certo essere
visto da noi come un'opportunità di profitto, ma anzi impone una realistica
valutazione delle difficoltà e dei pericoli - possa in futuro trovare nelle
Istituzioni maggiore interesse e più costruttiva attenzione, in modo che si
possa pervenire alla realizzazione di un sistema pubblico-privato che,
tenendo in seria considerazione gli aspetti tecnici e operativi, possa
realmente funzionare. In tale fiducia il settore assicurativo, assieme alle
associazioni dei periti, ha già avviato e sta portando avanti alacremente
un'iniziativa di formazione a livello nazionale, onde poter contare da
subito su un corpo peritale organizzato e specialisticamente preparato a far
fronte alle particolari esigenze di immediato e coordinato intervento sui
luoghi colpiti da calamità. L'assicurazione degli infortuni sul lavoro -
L'inadeguatezza, per non dir di più, delle soluzioni adottate nel recente
passato a fronte di problemi di rilevanza sociale, nei quali avrebbe potuto
e potrebbe essere utilizzato il ruolo delle assicurazioni private, emerge
con tutta evidenza nella materia degli infortuni sul lavoro, nella quale
sono stati del tutto frustrati gli obiettivi di liberalizzazione e di
confronto concorrenziale. In questo campo, la fiducia di una inversione di
tendenza rimane assai fievole, troppe essendo state le iniziative che sono
andate ad aggravare la situazione di monopolio pubblico, estendendolo ai
dirigenti, ai lavoratori parasubordinati e al lavoro svolto in ambito
domestico, a quest'ultimo con una copertura "specchietto" che, per un verso,
rischia di costare di gestione e di amministrazione più di quanto non venga
incassato e, per altro verso, ha contenuti talmente limitati da rasentare la
beffa. Forti del pensiero dell'Autorità garante della concorrenza e del
mercato e della condivisione di altri settori imprenditoriali, pur con
speranze limitate formuliamo ai nuovi decisori politici l'invito a
riesaminare attentamente la possibilità di dare anche in quest'area il
giusto spazio alla libera iniziativa economica e alla concorrenza, non
trovando giustificazione alcuna il monopolio pubblico. La previdenza
complementare - Non c'è relazione annuale di settore o di istituto o di
autorità che non tratti della riforma del "welfare state", indicandone nuovi
modelli, spesso fra loro non compatibili, come è nella logica della
disparità dei punti di vista. Il settore assicurativo ha pieno titolo per
proporre il proprio, che è ad un tempo quello di una parte del mondo
imprenditoriale, ma soprattutto quello di erogatori istituzionali di
previdenza, di protezione sanitaria, di assistenza. Sono noti gli squilibri
del sistema pensionistico italiano, per molti versi non dissimili da quelli
degli altri paesi europei e dei paesi industrializzati del resto del mondo:
squilibri che traggono principalmente la loro origine dall'invecchiamento
demografico e dall'allungamento della vita umana, nonché dal rallentamento
della crescita dell'economia. Negli ultimi anni sono stati avviati molti
sensibili cambiamenti, che hanno consentito di contenere rispetto alla
dinamica precedente la spesa pensionistica, che peraltro rimane elevata e,
nonostante tutto, ancora con tendenze di crescita non compatibili con
l'esigenza di pareggio del bilancio pubblico e con l'auspicata riduzione
della pressione fiscale. Da più parti si indica come imprescindibile un
innalzamento dell'età di pensionamento, da perseguire in via graduale ma con
inizio immediato, e ormai senza più voci dissonanti si riconosce che occorre
fare ogni sforzo per accrescere il ruolo della previdenza complementare,
gestita a capitalizzazione, che è l'unico modo di conciliare il contenimento
della spesa pubblica con l'esigenza di assicurare un adeguato tenore di vita
ai futuri pensionati; ed è anche la premessa per far nascere i "venture
capitals". Dal 1° gennaio di quest'anno è entrata in vigore l'ultima (in
ordine di tempo, ma dovrà necessariamente essere seguita da altre) riforma
della previdenza complementare, che tra l'altro: ha istituito le forme
pensionistiche individuali, realizzabili mediante adesione a fondi pensione
aperti o mediante stipulazione di contratti di assicurazione sulla vita; ha
previsto, aumentandolo, un unico e onnicomprensivo limite di deducibilità
dal reddito per le somme destinate alla formazione di una pensione
complementare, qualunque sia lo strumento impiegato per realizzarla; ha reso
omogenea la tassazione del risparmio previdenziale ovunque allocato (in
forme pensionistiche collettive o in forme individuali) e delle relative
prestazioni; ha ampliato il novero dei soggetti destinatari,
ricomprendendovi, oltre ai lavoratori dipendenti e autonomi, anche i
titolari di redditi diversi. Fra gli obiettivi perseguiti dalla riforma va
positivamente evidenziato soprattutto quello di incentivare lo sviluppo
della previdenza complementare, fin qui tutt'altro che entusiasmante, come
ancora di recente hanno ben messo in evidenza i dati forniti dalla
Commissione di vigilanza sui fondi pensione. Se in Italia la previdenza
complementare non si sviluppa col ritmo da tutti auspicato e reso
indispensabile dalle tendenze demografiche in atto e dai problemi della
previdenza pubblica obbligatoria, vuol dire evidentemente che, nonostante la
ripetuta attenzione del legislatore, manca ancora nel sistema qualcosa di
essenziale ovvero sussistono fattori demotivanti che ne impediscono il pieno
decollo. Va, per contro, facilitato il risparmio previdenziale, come va
ostacolato il processo che porta alla senilizzazione del risparmio.
Innanzitutto è evidente che occorre un ulteriore ampliamento dei benefici
fiscali, non solo sul versante della deducibilità delle somme destinate alla
previdenza, ma anche su quello della tassazione dei rendimenti del risparmio
previdenziale. E soprattutto occorre fare ogni sforzo per rimuovere quelli
che a nostro avviso sono i veri punti critici: la mancanza di una cultura e
di una sensibilità adeguate fra i diretti interessati e specialmente tra i
lavoratori di recente occupazione; l'esistenza di ingiuste e ormai
inaccettabili penalizzazioni dei lavoratori dipendenti in tema di
deducibilità fiscale del risparmio previdenziale nonché in materia di
utilizzabilità del TFR; l'obiettiva esiguità per i medesimi lavoratori
dipendenti delle risorse utilizzabili a fini previdenziali e la necessità,
quindi, di rendere disponibili nuovi flussi di finanziamento. Quanto al
primo aspetto, non occorre certo dilungarsi: i dati forniti dalla Covip
dimostrano che, nel quadro di un generale difficile avvio della previdenza
complementare, sono soprattutto i più giovani a mostrare scarsa attenzione
al problema, che non è percepito come problema attuale e importante. Si
tratta di un fenomeno di mentalità e costume che va assolutamente
affrontato, facendo uso di tutti gli strumenti di formazione e di
comunicazione, ed in tal senso si sta muovendo l'Associazione con iniziative
mirate di prossima attuazione. Quanto agli altri due aspetti, essi inducono
a qualche considerazione di fondo circa i tratti connotanti e le linee
evolutive del nostro sistema di previdenza complementare. Nato nel 1993,
esso era aperto in origine solo ai lavoratori, dipendenti ed autonomi, e
prevedeva unicamente forme pensionistiche collettive, da attuarsi mediante
l'istituzione di fondi chiusi (rimessa alle fonti collettive sindacali) o di
fondi aperti (lasciata all'iniziativa degli intermediari finanziari
abilitati). Tra le altre caratteristiche del sistema vi era un accentuato
favore riservato ai fondi chiusi rispetto a quelli aperti, i quali ultimi
risultavano confinati in una posizione residuale rispetto ai primi, che
peraltro non potevano non affidarsi agli intermediari finanziari abilitati e
agli assicuratori per la gestione delle loro risorse e per la copertura dei
rischi demografici dei loro iscritti. Un altro aspetto di rilievo del
sistema originario era la compressione del ruolo delle imprese di
assicurazione, relegate, nelle forme pensionistiche a contribuzione
definita, al compito di gestire - insieme con gli altri intermediari
abilitati - le risorse finanziarie dei fondi nella fase di accumulo dei
contributi, oltreché legittimate, naturalmente, ad erogare le rendite
vitalizie immediate nel momento in cui il lavoratore avesse maturato il
diritto alla pensione. In origine, dunque, il "modello assicurativo", inteso
come obbligazione attuale e certa di corrispondere a suo tempo una rendita
vitalizia, non risultava una forma specifica di realizzazione della
previdenza complementare (così come avveniva, invece, in tanti paesi del
mondo e, segnatamente, dell'Unione Europea), salvo che per le forme
pensionistiche a prestazione definita: forme possibili, peraltro, solo nel
campo del lavoro autonomo e comunque (e forse non a caso) mai concretamente
decollate. Oggi, a seguito di una evoluzione laboriosa e non priva di
contrasti, sono previste anche forme pensionistiche individuali: la novità è
importante e non riducibile alla semplice integrazione di un sistema rimasto
per il resto invariato. L'emersione di queste forme pensionistiche
individuali, insieme con l'apertura della previdenza complementare ai
titolari di redditi diversi da quelli di lavoro, obbliga infatti a rileggere
tutto il sistema della previdenza complementare secondo una logica
profondamente nuova, rimeditando le compatibilità reciproche tra le diverse
parti del sistema stesso. Oggi non si deve distinguere tanto tra fondi
chiusi e fondi aperti, ma tra forme pensionistiche collettive e individuali.
Le prime istituite dalle fonti collettive e realizzate essenzialmente
attraverso i fondi chiusi, essendo le adesioni su base collettiva ai fondi
aperti del tutto residuali e di incerto futuro. Le seconde costruite dai
diretti interessati e realizzate attraverso prodotti finanziari (i fondi
aperti) o assicurazioni sulla vita, le quali tornano dunque pienamente a
svolgere, con la specificità del loro modello, un ruolo naturale e
collaudato nel campo della previdenza complementare. Il tutto in un quadro
di assoluta uniformità del regime fiscale applicabile e di piena
equipollenza sostanziale degli strumenti predisposti dal legislatore, quadro
in cui la mobilità degli interessati non è più configurabile come scelta del
singolo fra meri strumenti diversi, più o meno efficienti, rispetto a
percorsi strategici maturati altrove e proposti dall'alto, ma come vera e
propria espressione della libertà della persona - lavoratore o meno - di
decidere autonomamente circa la propria previdenza conferiscono ai fondi
chiusi una condizione di discutibile vantaggio competitivo rispetto agli
altri strumenti della previdenza complementare: i punti sui quali mi sono
sopra più diffusamente soffermato mi sembrano, comunque, quelli che
andrebbero subito affrontati e risolti attraverso opportune modifiche del
quadro normativo vigente. Infine, un rapido cenno alla questione del
finanziamento, che scarseggia per i lavoratori dipendenti, e alle misure
utili ed opportune per liberare nuove risorse a fini di previdenza
complementare. Su questo terreno nessuno è ovviamente in grado di fare
miracoli. Il discorso cade perciò inevitabilmente sulla destinazione a
previdenza complementare dei nuovi flussi di TFR per tutti i lavoratori
dipendenti e non più soltanto per i nuovi assunti. La questione è delicata,
ma non sembrano esserci altre strade e nel percorrere questa via bisognerà
stare molto attenti ai seguenti punti: la scelta di destinare il TFR alla
previdenza complementare dovrà spettare ai singoli lavoratori e risultare
assolutamente libera, senza che possano trovare spazio forme surrettizie o
capziose per la manifestazione della volontà da parte dell'avente diritto o,
peggio, per l'individuazione dello strumento di previdenza complementare
concretamente prescelto; il TFR dovrà poter affluire a uno qualsiasi degli
strumenti ammessi a tal fine dal legislatore, senza che venga rimessa in
discussione la piena equipollenza degli stessi; non si dovranno prevedere
eventuali utilizzazioni del TFR diverse da quelle con finalità previdenziali
o, al limite, da quelle vigenti; dovranno essere individuate misure
compensative della rinuncia al sistema vigente da parte dei datori di
lavoro, misure che potrebbero assumere anche forme diverse da quella della
riduzione dell'aliquota contributiva alla previdenza di primo pilastro. La
sede per la definizione di misure del genere mi pare che dovrebbe essere
quella ormai collaudata della concertazione: ci troviamo, infatti, su un
terreno complesso e delicato, sul quale la funzione di indirizzo del
legislatore è bene che venga prudentemente coniugata col ruolo delle parti
sociali interessate. La sanità - Si legge nella relazione del Governatore
della Banca d'Italia che, se nel nostro paese la spesa sanitaria nel
confronto internazionale non appare fuori linea in rapporto alle dimensioni
della nostra economia, rimangono peraltro problemi connessi con l'efficienza
dei servizi e con l'invecchiamento della popolazione. La spesa sanitaria
dopo un breve rallentamento ha ripreso ad aumentare dal 1996 in misura
eccedente la crescita del PIL, e ciò si è verificato in misura più
accentuata nell'ultimo biennio. "Si impone - conclude il Governatore - un
ripensamento dell'offerta dei servizi sanitari che, partendo da una verifica
sistematica dei costi e delle attività delle singole unità produttive,
investa l'organizzazione del sistema. Occorre una ridefinizione dei diritti
d'accesso. Il ricorso a forme private di copertura dei rischi può consentire
una combinazione più efficiente tra la componente pubblica e quella
privata". Studi ormai ripetuti mostrano che i cittadini italiani esprimono
livelli di gradimento per i servizi sanitari e sociali analoghi a quelli
degli altri paesi, e segnalano l'opportunità di rivedere alcune
impostazioni, non solo dal lato dell'offerta, ma anche da quello della
domanda, ed in particolare la necessità di restituire al cittadino la
titolarità di alcuni diritti di spesa grazie alla fruizione in forme diverse
da quelle tradizionali ed istituzionali. In altre parole, è diffusamente
riconosciuta la necessità, da un lato, di ridefinire gli ambiti di copertura
del sistema pubblico e, dall'altro, di "recuperare" la spesa privata (che
cresce ancor più di quella pubblica) riconducendola all'interno di uno
schema organico di tutela sanitaria universale. La stessa dimensione della
spesa sanitaria privata (stimata in 40/45.000 miliardi di lire a fronte dei
128.000 miliardi di spesa pubblica) rende palese che tale "recupero" non può
avere ad oggetto il finanziamento di prestazioni sanitarie marginali, ma
impone un ampio ridisegno del sistema. Ciò comporta innanzitutto la
necessità di uno studio approfondito di alcuni modelli esteri (come
l'olandese, il tedesco, il francese), nei quali il finanziamento pubblico e
privato trovano differenti forme di coniugazione; un secondo, conseguente,
obiettivo dovrebbe essere quello di individuare alcuni possibili schemi
misti e su di essi avviare sperimentazioni locali, da cui poter trarre
eventualmente utili indicazioni su possibili nuovi modelli qualora si
andasse ad un superamento dell'ultima riforma. E' infatti questo il primo
argomento sul quale occorre fare chiarezza, e cioè se si intenda ancora
procedere lungo la via tracciata dalla "riforma ter", che assegna ai fondi
sanitari integrativi solo la competenza su talune prestazioni non coperte o
scarsamente coperte dal sistema pubblico e li designa quali finanziatori
delle attività erogate in regime di inframoenia. Andrà anche fatta chiarezza
su principi quali il solidarismo e la mutualità, riconoscendo che il primo è
proprio dell'intervento pubblico ed il secondo dell'assicurazione privata,
valutando attentamente se e quali elementi di solidarismo siano tollerabili
negli schemi privati, e ricordando che, ogni volta che si tratta di piani ad
adesione facoltativa, occorre operare secondo il principio mutualistico,
tale per cui ognuno paga in funzione del rischio di cui è portatore. Altro
principio inderogabile che sarà da tenere comunque presente è che, in base
alla normativa comunitaria, ove l'attività dei futuri fondi sanitari dovesse
assumere la forma di copertura certa di rischi malattia dietro un versamento
consequenzialmente calcolato su basi statistico-attuariali, essa non
potrebbe che essere svolta da imprese di assicurazione autorizzate
all'esercizio del particolare ramo, o in quanto istitutrici dirette dei
fondi o in quanto con essi obbligatoriamente convenzionate. Fondi
integrativi sanitari di natura non assicurativa o non convenzionati con
imprese di assicurazione potranno, dunque, esistere ed operare solo in
quanto non assumano rischi, ma si impegnino solo a prestazioni variabili in
ragione delle risorse finanziarie concretamente disponibili ovvero prevedano
il richiamo di ulteriori contributi da parte degli iscritti per adeguare le
loro risorse finanziarie alle necessità del momento. In ogni caso, nella
fase di approfondimento e di andata a regime della soluzione che risulterà
più consona ai nuovi equilibri, dovrebbe essere frattanto previsto (fatte
salve le condizioni dei vecchi iscritti a casse sanitarie) un sia pur
contenuto regime di deducibilità fiscale per le forme libere di protezione
mutualistica o assicurativa della salute. In particolare occorrerà che per
le assicurazioni malattia libere sia introdotto un trattamento paritario con
le adesioni a forme mutualistiche, per le quali è consentita una detrazione
sia pur parziale e plafonata dei contributi sanitari: incomprensibilmente
nessuna agevolazione è invece oggi prevista per i premi dell'assicurazione
malattia, che anzi sono gravati da un'imposta del 2,5% del tutto
anacronistica. L'assistenza - L'evoluzione demografica, caratterizzata -
com'è noto - da un sensibile e crescente aumento della popolazione anziana,
ha importanti implicazioni, oltre che sulla sostenibilità dei sistemi
pensionistici e di quelli sanitari, anche sui programmi di assistenza
sociale. Anche per questo settore della protezione sociale, come per gli
altri due, può essere disegnato un sistema a tre pilastri, in cui i piani
collettivi e quelli individuali potranno svolgere, oltre che il ruolo
integrativo del sistema pubblico, anche un ruolo di coordinamento delle
risposte da dare alle diverse esigenze, attraverso opportune combinazioni
delle coperture. Come per gli altri settori, il pilastro pubblico dovrebbe
basarsi sul principio di un universalismo compatibile con le risorse
disponibili, connotato da forti elementi di solidarismo, finanziato a
ripartizione. Per il pilastro privato integrativo deve valere il principio
della corrispettività delle prestazioni rispetto ai contributi versati e
della mutualità realizzata attraverso fondi collettivi regolamentati o
tramite piani individuali assicurativi coerenti con la regolamentazione dei
fondi, con finanziamento a capitalizzazione. Va senz'altro condivisa
l'impostazione della "legge quadro" di riforma del 2000, volta a spostare il
peso degli interventi sul versante dei servizi reali, piuttosto che su
quello dei trattamenti economici, ma è assolutamente necessario - ancor più
che per gli altri due comparti - fare i conti con la carenza di risorse
pubbliche. Quanto ai trattamenti economici per gli stati di invalidità e di
non autosufficienza, occorrerà concentrare le risorse sui soggetti e sulle
famiglie economicamente più fragili, dando loro più di quanto attualmente
previsto ed estendendo l'intervento anche a condizioni di invalidità e di
non autosufficienza solo parziali; per tutti gli altri casi sarà necessario
valorizzare, anche con opportuni incentivi fiscali, tutte le risorse
private, anche e soprattutto quelle del "profit". Si dovranno in particolare
prevedere fondi assistenziali e schemi individuali qualificati per coprire
le condizioni di invalidità e non autosufficienza per i soggetti che
dispongono di risorse, attribuendo loro la possibilità di portare in
deduzione fiscale i contributi e i premi, ma stando attenti a non confondere
i problemi di assistenza con quelli della sanità, e quindi rivedendo le
scelte, fatte nella legge n. 38 del 2000, di ricondurre l'assistenza sociale
nell'ambito dei fondi sanitari. Ma in special modo si dovrà puntare alla
realizzazione di una rete integrata di servizi, incentivando forme di
autotutela familiare supportate da assicurazioni specialistiche le cui
prestazioni si concretizzino non tanto in esborsi economici, ma soprattutto
in erogazione di servizi, particolarmente medico-assistenziali, prevedendo
anche il ricorso a sistemi ad elevato contenuto tecnologico, attraverso
forme di telemedicina e di teleassistenza. Non ho parlato dell'andamento del
2000, di cui oggi si definisce il bilancio consuntivo; ma poiché questa
Assemblea si tiene dopo quella della Banca d'Italia e dell'Isvap, penso di
potermi esimere dal fornire dati ormai resi pubblici, sia per quanto attiene
all'economia in generale, sia per quel che riguarda l'assicurazione in
particolare. Comunque a tutti i presenti è stato fornito il nostro documento
su "L'assicurazione italiana nel 2000", che traccia un quadro completo e
dettagliato dell'andamento del mercato assicurativo, in tutte le sue
articolazioni, nel panorama dell'economia internazionale e nazionale, e ad
esso è qui il caso di fare pieno rinvio. Debbo solo aggiungere una
considerazione: in occasione dell'Assemblea dello scorso anno avevamo
azzardato delle previsioni per l'esercizio 2000, ipotizzando che i premi del
lavoro diretto italiano avrebbero raggiunto nei rami danni i 54.500
miliardi, mantenendo l'incidenza sul PIL del 2,4%. I dati recentemente
forniti dall'Istituto di vigilanza confermano che non ci eravamo sbagliati
di molto. Per quel che attiene ai premi vita, invece, pur confermata la
sempre maggior prevalenza rispetto ai rami danni, le nostre ipotesi di
superare i 90.000 miliardi di lavoro diretto italiano non hanno trovato
riscontro nella realtà del mercato, che si è fermato a 77.000 miliardi, con
un incremento dell'11,8% rispetto al 1999. Le ragioni del rallentamento
della crescita del settore (che varia molto da impresa ad impresa) sono
molteplici e in particolare: il decremento (-9%) delle polizze tradizionali
(ramo I), imputabile in larga parte all' "effetto attesa" provocato dalla
riforma fiscale; l'incremento inferiore a quello previsto delle polizze "unit-linked"
(ramo III), penalizzate dalle difficoltà, nella seconda parte dell'anno, dei
mercati finanziari; il rallentamento della crescita di alcune rilevanti
imprese "bancarie", che sembra abbiano raggiunto anticipatamente una prima
fase di saturazione; l'aumento, più sensibile di quello atteso, dei riscatti
e delle scadenze. In questo quadro di particolare incertezza diventa ancor
più problematico fare delle previsioni, ma non vogliamo mancare di
rispondere ad un'attesa e ci esponiamo con queste ipotesi: complessivamente
i premi vita e danni del lavoro diretto italiano dovrebbero raggiungere nel
2001 i 142.000 miliardi di lire, con un incremento dell'8,4% rispetto
all'anno passato; in particolare: i premi dei rami danni dovrebbero
attestarsi su 58.000 miliardi, con un incremento del 7,5%; i premi vita
dovrebbero salire a 84.000 miliardi, con un incremento del 9%. Sono stime
prudenziali e speriamo che all'Assemblea del 2002 risulti che siamo stati
questa volta particolarmente pessimisti.
EDISON FIRMA CONTRATTO CON RASGAS PER IMPORTARE DAL QATAR 4,6 MILIARDI DI
METRI CUBI ALL'ANNO DI GNL
Milano - 27 Giugno 2001 - Edison Gas e RasGas (Ras Laffan Liquified Natural
Gas Company Limited) hanno firmato il contratto per la fornitura a Edison di
4,6 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) all'anno per 25
anni a partire dal 2005. RasGas è una joint venture tra l'ente petrolifero
di stato Qatar Petroleum e la Mobil Qm Inc. del gruppo Exxon-Mobil. Fondata
nel 1993, la società dispone presso la città industriale di Ras Laffan,
nell'Emirato, di un impianto di liquefazione di gas naturale che sarà
ampliato appositamente per consentire le forniture a Edison, raggiungendo la
capacità complessiva di circa 21 miliardi di metri cubi annui. Il terminale
di ricezione e rigassificazione avrà una capacità produttiva da 4 a 6
miliardi di metri cubi di Gnl e costituirà una struttura di importanza
strategica per l'Italia, perché consentirà di diversificare le fonti di
approvvigionamento del gas contribuendo alla flessibilità, alla sicurezza ed
alla efficienza del nostro sistema energetico. Durante la cerimonia di firma
del contratto, Sua Eccellenza Abdullah Bin Hamad Al Attiyah, Ministro
dell'Energia e dell'Industria del Qatar e presidente della Qatar Petroleum
ha dichiarato: "Questo evento segna l'inizio di una nuova era per il Qatar.
Abbiamo avuto grande successo in Asia diventandone principale fornitore di
Gnl, ed ora siamo il primo Paese del Medio Oriente ad assicurarsi un grande
contratto a lungo termine con l'Europa, un mercato di grande importanza per
la nostra strategia di diversificazione. Siamo molto ottimisti sulla
crescita della domanda di gas sia nel breve che nel lungo termine e siamo
molto lieti di entrare nel mercato italiano attraverso l'accordo con
Edison". Sua Eccellenza Yousef H. Kamal, Ministro delle Finanze del Qatar e
presidente di RasGas, ha dichiarato: "Siamo entusiasti di questo primo
importante contratto a lungo termine con l'Europa, ulteriore prova della
competitività di RasGas e della sua capacità di conquistare quote di mercato
sia in Oriente che in Occidente, e siamo compiaciuti in particolare del
rapporto che abbiamo stabilito con Edison per fornire energia competitiva al
mercato italiano. Confidiamo che i rispettivi punti di forza di RasGas e di
Edison consentiranno al Gnl di conquistare quote crescenti dell'importante
mercato del gas italiano. Questa iniziativa e le enormi riserve del Qatar
consentono a RasGas di attestarsi solidamente quale primo fornitore mondiale
di Gnl". Per parte sua Giulio Del Ninno, amministratore delegato Edison, ha
commentato: "La firma di questo contratto costituisce un importante passo
avanti nella realizzazione del nostro progetto di importazione di Gnl in
Italia. Il gas del Qatar infatti costituirà il volume di base per il
terminale off-shore di rigassificazione che costruiremo nell'Adriatico,
mentre ulteriori forniture potranno essere acquistate da altri Paesi del
Mediterraneo. La costruzione del terminale inizierà entro il 2001 poiché
riteniamo che il quadro normativo evolverà celermente e consentirà la
prosecuzione di questo importante investimento. L'impianto avrà una capacità
produttiva all'incirca pari alla domanda di gas del Veneto e costituirà una
nuova fonte di energia competitiva per il Nord-Est, accelerando il processo
di liberalizzazione del mercato che è in corso". Infine Ron Billings, vice
presidente della Lng Exxon-Mobil, ha dichiarato: "Mi congratulo con la Qatar
Petroleum, nostra partner in RasGas, per la conclusione di questo importante
accordo e siamo lieti che esso faccia seguito alla positiva collaborazione
avviata tra Edison ed Exxon-Mobil per portare il Gnl sul mercato italiano.
Le rispettive competenze di RasgGas e di Edison consentiranno di sviluppare
una solida catena di valore, dalla produzione del gas in Qatar al consumo in
Italia".
DA ORACLE ARRIVA UN'OFFERTA DI SOFTWARE PER LE PICCOLE AZIENDE USA
Milano, 27 giugno 2001 Oracle ha stretto un'alleanza con Netledger per
utilizzare i suoi sistemi software indirizzati alle aziende americane di
piccole dimensioni. La seconda software house del mondo ha deciso di entrare
nel mercato delle piccole aziende ed ha annunciato modifiche nei servizi
software online offerti alle grandi società, il cui e- business da ora in
poi sarà seguito da Oracle a distanza. Oracle continuerà a gestire i
software tramite modalità remote, mentre oggi i programmi vengono ospitati
solamente nei suoi centri dati. Ciò permetterà un abbattimento dei costi .
Sia Compaq Computer che Sun Microsystems, leader nella realizzazione di
server, sono interessati ad offrire macchine prefigurate con software Oracle.
Secondo le stime di Oracle si tratta di n mercato da 2 miliardi di dollari.
Il business per le piccole aziende sarà condotto solo online, con
connessioni a Internet che verranno fatte pagare 100 dollari al mese. E i
software di Oracle per l'e-business aiuteranno le grandi società ad
automatizzare i più comuni processi nelle attività di scambio con quelle
minori. Le grandi aziende potranno così dare in licenza alle piccole i
sistemi software in modo da poter interagire facilmente e velocizzare, ad
esempio, le procedure di pagamento o altre operazioni". Novità anche nei
servizi software per le grande aziende. Oracle permetterà a questo tipo di
società di ospitare i suoi prodotti direttamente nei rispettivi centri dati
di information technology.
UBI SOFT E CAPCOM INAUGURANO UNA NUOVA PARTNERSHIP SU SCALA EUROPEA
FIRMATO UN ESCLUSIVO ACCORDO DI PUBBLICAZIONE PER SETTE TITOLI PER GAME BOY
ADVANCE
Milano, 27 giugno 2001 - Ubi Soft Entertainment e il colosso giapponese
Capcom annunciano un esclusivo accordo per la pubblicazione di sette titoli
per Game Boy Advance: Super Street Fighter II Turbo Revival, Street Fighter
Alpha 3, Mega Man Battle Network, Breath of Fire e Final Fight One. Ubi Soft
Entertainment pubblicherà questi giochi in Europa Orientale e Occidentale,
Australia e Nuova Zelanda entro il primo quadrimestre del 2002. I titoli
previsti appartengono alla serie, ormai diventata un cult, che ha riscosso
un enorme successo a livello mondiale sulle console di vecchia generazione.
Street Fighter, Mega Man, Breath of Fire e Final Fight hanno contribuito al
successo delle console Nes e Super Nintendo. Sin dal lancio del primo arcade
Street Fighter avvenuto nel 1987, sono stati venduti, per console, più di 24
milioni di giochi della serie! La celebre serie, che ha influenzato
un'intera generazione di giocatori diventando una delle più famose fino ad
ora pubblicate; Street Fighter II, uscito nel 1991, viene oggi considerato
dal pubblico il miglior videogioco di tutti i tempi. Non da meno la serie
Mega Man, che ha avuto il suo debutto nel 1987 vendendo più di 5,6 milioni
di copie. Dopo più di 14 anni Mega Man continua a rappresentare un
indiscutibile classico nel genere action/platform. Final Fight, pubblicato
per la prima volta nel 1989, è un altro punto di riferimento mondiale nei
giochi di street-fighting. La mitica serie di Breath of Fire, creata nel
1993, è da considerarsi un vero pioniere nel genere Rpg e sarà il primo
titolo Rpg sviluppato per Game Boy Advance. "Siamo davvero orgogliosi di
inaugurare la partnership con un colosso del settore come Capcom", ha
dichiarato Alain Corre, Managing Director di Ubi Soft Entertainment per
l'Europa, il Pacifico Asiatico e il Sud America. "Questo accordo rafforza
ulteriormente, attraverso questi prestigiosi brand, il catalogo Ubi Soft per
il promettente Game Boy Advance. Il pubblico potrà nuovamente apprezzare
questi eccezionali giochi su una piattaforma di gioco portatile, che
permette una sbalorditiva giocabilità, simile a quella di una console da
casa".Shigeru Ota, Presidente di Capcom Eurosoft ha commentato: "Capcom ha
sempre sostenuto lo sviluppo sul formato Game Boy Advance, come si può ben
intuire da questi importanti titoli. La partnership con Ubi Soft
Entertainment, che vanta di una ricca esperienza nel campo dell'editoria e
di una straordinaria rete di vendita e distribuzione, conferirà un supporto
di qualità ai titoli per Game Boy Advance assicurandone il successo durante
il periodo cruciale del loro lancio".
NET ECONOMY: CADONO I MITI, SI AFFERMANO I PARADIGMI PRESENTATA ' LA
RICERCA SMAU RICERCHE - SDA BOCCONI
Milano 27 giugno 2001 - L'euforia e' stata eccessiva, ma l'eredita' e'
positiva e l'affermazione della Net Economy in azienda ha fatto emergere
paradigmi organizzativi, dei quali imprenditori, manager e uomini dell'information
and communications technology dovranno tenere conto nei prossimi anni. ''Le
nuove tecnologie non sono un'illusione'', ha detto Pierfranco Camussone,
direttore dell'Area Sistemi Informativi della Sda Bocconi presentando oggi i
risultati dello studio ''Net Economy. Tecnologie e nuovi paradigmi
manageriali', realizzato per Smau Ricerche, ''ma lo scorso anno alcuni
aspetti della Net Economy sono stati sopravvalutati, fino al punto di
trasformarli in miti, che hanno male indirizzato il processo decisionale dei
manager''. Non ci si e' accorti che il mercato ragiona in termini di
funzioni d'uso e che, percio', ogni tecnologia, per affermarsi, deve dare un
valore aggiunto durevole al cliente. I miti che la ricerca Smau - SDA ha
evidenziato sono i seguenti: 1. Il consumatore e' orientato positivamente
verso l'e-commerce ed e' ansioso di utilizzare questo canale commerciale al
posto di quelli tradizionali. 2. L'impiego della tecnologia piu' avanzata e
innovativa e' di per se' garanzia di successo delle applicazioni, in quanto
gli utenti sono sensibili alle innovazioni tecnologiche. 3. Se le aziende
della societa' dell'informazione sostengono dei costi, si tratta di
investimenti: maggiori sono gli investimenti effettuati e maggiore e' il
valore che il mercato ''deve'' riconoscere all'azienda. 4. Il ''virtuale''
sostituira' il ''reale'' in quanto caratterizzato da costi di gestione
inferiori e da funzionalita' offerte superiori. 5. In rete ci sono ''tutte''
le informazioni che ci servono ed e' facile reperirle. 6. La rete e'
certamente lo strumento migliore per diffondere le informazioni online,
cosi' che si possano prendere decisioni tempestive. Ora che i miti sono
stati individuati, rimane la verita' di fondo che li ha fatti nascere. Se,
da un lato, l'e-commerce non e' riuscito a superare una quota di mercato del
2% di quello tradizionale, dall'altro l'information and communications
technology sembra destinata a raggiungere una quota del 10-15% del pil in
pochi anni, raddoppiando quella attuale. ''Si e' esaurita un'ondata'', ha
detto Camussone, ''ma gli start up continuano a svilupparsi, anche se su
basi economiche piu' ragionevoli, e gli uomini dell'Ict devono fare i conti
con nuovi paradigmi''. Il mondo aziendale e' stato radicalmente modificato
dalla Net Economy, mettendo in secondo piano la cultura della rigida
pianificazione. ''Il manager della net economy deve accettare un certo grado
di confusione organizzativa: gli utenti, sempre piu' esperti, sono diventati
anche decisori attivi e consapevoli; i sistemi informativi superano i limiti
aziendali e coinvolgono i partner; i Ced, che un tempo erano bunker con reti
private, si aprono a Internet con la difesa dei firewall. Il nuovo manager,
che fino a poco tempo fa selezionava dei semplici software, oggi seleziona
dei partner tecnologici per la propria azienda. Infine, come e' sotto gli
occhi di tutti, la nuova comunicazione e' multimediale e ipertestuale,
basata sulla tecnologia Internet''. Claudio Dematte', presidente di Sda
Bocconi, ha sottolineato la rilevanza di una riflessione critica: ''Da dieci
anni le ricerche Sda - Smau aiutano i manager del settore a prendere
decisioni strategiche. L'evoluzione dell'informatica li pone di fronte a
dilemmi tecnologici e organizzativi sempre nuovi e che hanno estese
conseguenze per tutta l'azienda. Il lavoro degli studiosi ha il pregio di
chiarire quali siano i pro, i contro e gli effetti attesi di ogni decisione''.
Il presidente Smau, Antonio Emmanueli, ha dichiarato: ''Smau Ricerche ha un
ruolo strategico all'interno del Sistema Smau, perche' contribuisce a
offrire un quadro di dati e modelli che assicurano agli operatori
indicazioni di scenario, trend, evoluzione dei mercati e che costituiscono
un prezioso strumento a supporto delle decisioni di business. La
collaborazione con Sda Bocconi e' una ulteriore prova e garanzia di qualita'''.
SMAU CHANNEL AI BLOCCHI DI PARTENZA DA SETTEMBRE PER ESSERE SINTONIZZATI
SULLA NEW ECONOMY
Milano 27 giugno 2001 - Smau quest'anno ha un mezzo di informazione in piu':
il canale televisivo satellitare Smau Channel, uno dei piu' avanzati
strumenti per l'informazione sul settore, per essere costantemente in presa
diretta con le novita' piu' avvincenti, con i protagonisti del settore, con
le news dal mondo. Il nuovo canale digitale prendera' il via in autunno e
sara' visibile gratuitamente con un palinsesto di 24 ore di cui 6 in
diretta. La costante e rapida diffusione della Tv satellitare, anche in
Italia, con un tasso di penetrazione nel 2001 del 20% e un'audience
potenziale pari a 11.328.000 individui (dati fonte Eurisko), permette oggi
di dare una risposta di qualita' ed economicamente interessante per
raggiungere un vasto pubblico. Il mondo dell'Ict, con le sue decine di
milioni di decisioni d'acquisto ogni anno, con il suo vasto numero di
addetti e con la sempre piu' rapida crescita degli utenti dei vari servizi
di rete, e' ormai maturo per richiedere strumenti di comunicazione di alto
livello. In questo contesto, Smau Channel, la risposta piu' avanzata e
completa oggi disponibile sul mercato italiano, si propone di diventare il
canale tematico di riferimento per la comunita' digitale con un progetto
editoriale al servizio dei consumatori, del mercato e dell'industria.
Orientato sia agli operatori del B2B sia al largo pubblico del B2C, Smau
Channel e' il punto d'incontro ideale per avere informazioni costantemente
aggiornate sul settore, segnalazioni delle piu' importanti novita'
commerciali, guide all'acquisto. Nello stesso tempo costituisce un prezioso
strumento per la formazione e le attivita' informativo-educative, oltre che
per facilitare i flussi del mercato del lavoro. Informatica,
telecomunicazioni, Internet ed elettronica di consumo: Smau Channel e' la
piu' efficace vetrina per l'e-business e i suoi protagonisti, sempre accesa
365 giorni l'anno. Il palinsesto di Smau Channel sara' articolato in quattro
macro aree: Personal Technology: con le ultime novita' per l'utenza Soho (Small
Office Home Office), l'individuo e la famiglia, il piccolo studio
professionale. In quest'area i temi spaziano dall'entertainment alle
applicazioni della microinformatica e della personal communication.
Internet: con le novita' software e hardware, del web, i servizi, le offerte
dei provider, l'e-commerce e tutte le nuove forme di relazioni economiche e
culturali basate sul web. Informatica: con le piu' recenti evoluzioni
hardware e software e i servizi e le applicazioni per l'azienda, il
business, la famiglia: dalla realizzazione delle reti aziendali ai nuovi
sistemi di stampa, alle applicazioni piu' complesse che regolano la vita di
tutti i giorni. Telecomunicazioni: dalle applicazioni ai servizi. In quest'area
si potra' incontrare il futuro delle reti e delle comunicazioni mobili,
della larga banda per l'accesso veloce a Internet ai sistemi che interessano
le aziende. Infolink:
http://www.smau.it
INTERNET EXPO APPRODA A ROMA
Roma, 27 Giugno 2001 - Ieri ha preso il via la quinta edizione di Internet
Expo, esposizione di tecnologie, servizi e professioni per il business
online, presso il Palazzo dei Congressi Eur, a Roma (26/28 giugno 2001). Gli
ottimi risultati registrati nelle precedenti edizioni milanesi ed il
generale consenso creato attorno a questa importante manifestazione, hanno
spinto gli organizzatori ad aprire le porte al mercato del centro-sud
Italia. Anche per la sua quinta edizione, la missione di Internet Expo sarà
quella di essere un significativo punto di contatto tra tutte quelle aziende
che operano e si servono della rete quotidianamente e per tutti quei
professionisti che sono alla continua ricerca di nuove opportunità offerte
da internet. Per questo, all'interno del Palazzo dei Congressi Eur di Roma,
sono stati allestiti circa 4.000 mq di area espositiva che ospiteranno 68
aziende, 3 sale seminari e 1 sala conferenze da 700 posti. Grazie ai 37
seminari e alle 3 conferenze, nei tre giorni di esposizione i partecipanti
potranno approfondire 7 principali aree tematiche, tutte pensate per offrire
risposte e informazioni utili per le esigenze delle nuove imprese. Gli
argomenti presentati verteranno su: E-Commerce Expo, che affronterà il tema
delle strategie per il commercio online; Web Advertising Expo, dedicata ai
protagonisti e alle tematiche inerenti la comunicazione nella rete; Net
Banking Expo, che presenterà le ultime novità riguardanti i servizi di
banking e di trading online; Crm Expo, che svilupperà e approfondirà
l'importante tema del Customer Relationship Management; e Outsurcing Expo,
riservata a tutte quelle soluzioni impiegate per l'esternalizzazione dei
processi informatici aziendali. In occasione della prima edizione romana,
vengono presentate anche due nuove aree tematiche: Wireless Expo che
consentirà di conoscere ed apprezzare le infrastrutture wireless dedicate
alle Pmi e, M-Business Expo, all'interno della quale si analizzeranno le
opportunità offerte dal mobile business per le aziende. Infolink:
http://www.internetexpo.net
ACERALIA, PRODUTTRICE SPAGNOLA DI ACCIAIO, SCEGLIE LE SOLUZIONI DI SUPPLY
CHAIN MANAGEMENT I2
Milano, 27 giugno 2001 - i2 Technologies, Inc. (Nasdaq: Itwo), fornitore
leader nel campo delle soluzioni di supply chain management e marketplace,
ha annunciato oggi che Aceralia, azienda spagnola leader per la produzione
di acciaio, ha ottenuto la licenza per la piattaforma i2 di Supply Chain
Management Solutions, ideata per sincronizzare i processi commerciali
end-to-end, migliorare i livelli di customer care, realizzare un efficiente
sistema di consegna al cliente e ridurre i livelli delle scorte. Negli
ultimi 11 anni, i2 ha fornito ai clienti che operano nel campo della
metallurgia come Usinor, Thyssen Krupp Stahl Ag e Posco alcune soluzioni
specificamente ideate per il settore e mirate a incrementare l'efficienza
operativa, migliorando in tal modo la loro capacità di competere su scala
mondiale. La clientela i2 annovera già otto fra i primi dieci produttori di
acciaio negli Stati Uniti, i primi sette produttori di acciaio al mondo, e
vari mercati elettronici per la compravendita di metalli. Aceralia produce
acciaio di alta qualità da anni e si colloca in un mercato globale
estremamente competitivo in cui le aziende si trovano a fronteggiare una
concorrenza aggressiva sui prezzi, la globalizzazione del mercato, la
sostituzione dei materiali e una domanda crescente. "I fattori critici di
successo del settore adesso vanno ben al di là delle innovazioni nei
processi di produzione e dell'utilizzo della capacity aziendale" - afferma
José Luis Rodriguez, country manager i2, Spagna. "La fornitura di una valida
assistenza al cliente e il controllo dei costi attraverso la riduzione delle
scorte sono due condizioni essenziali di successo. Miglioramenti di questo
tipo diventano ancora più cruciali poiché Aceralia si muove nella new
economy con iniziative di commercio elettronico, in cui la rapidità delle
reazioni e la fidelizzazione del cliente sono estremamente critiche." "La
catena di fornitura di Aceralia è molto complessa, caratterizzata da
macchinari pesanti, lunghe catene di produzione e un'infrastruttura
dislocata in impianti geograficamente distanti" - ha sottolineato Felix
Velez de Mendizabal, Chief Information Officer, Aceralia. "Quando abbiamo
valutato le soluzioni proposte da i2, ci siamo resi conto che era possibile
sfruttare un potenziale enorme migliorando l'assistenza ai clienti,
riducendo il livello delle scorte e incrementando l'utilizzo degli asset.
Abbiamo anche visto il software i2 all'opera nelle sedi di vari clienti i2
nel settore siderurgico, e i dirigenti di queste aziende ci hanno
testimoniato i risultati molto positivi conseguiti grazie all'uso del
software i2 per l'ottimizzazione delle loro supply chain". Infolink:
http://www.i2.com
DAL 30 GIUGNO PER CHIAMARE I CELLULARI NON BISOGNA COMPORRE LO ZERO
INIZIALE
Milano, 27 giugno 2001 - Va ricordato che, dal prossimo 30 giugno, la prima
cifra da digitare per chiamare i telefonini sarà solo il 3 e non più lo
zero. Se qualcuno, tuttavia, dovesse ancora insistere con la vecchia
numerazione troverà un disco pre-registrato che avvertirà dell'errore e che
inviterà a ripetere l'operazione. Il disco rimarrà in funzione per parecchi
mesi (le aziende dovranno seguire le indicazioni dell'Authority in questo
senso) ma è probabile che nel momento in cui non si registreranno più errori
da parte degli utenti anche il disco finirà in soffitta insieme al vecchio
zero, che sparirà dalla telefonia mobile, ma rimarrà ben saldo in quella
fissa. I numeri per le urbane e le interurbane, infatti, inizieranno sempre
con lo zero, come anche quelli delle internazionali (in questo caso lo zero
è doppio). Un ulteriore cambiamento, poi, partirà in autunno. A partire dal
30 settembre, infatti, i servizi interni di rete delle varie aziende di
telefonia dovranno cominciare con il 4. Tra questi servizi, il più popolare
è probabilmente la segreteria telefonica degli operatori di telefonia
mobile. Per ascoltare i nuovi messaggi, quindi, sarà necessario digitare il
vecchio numero del proprio gestore preceduto da un 4. Tim, in ogni caso, non
aspetterà il 30 settembre e partirà già il 2 luglio con una "coabitazione"
tra 919 (il vecchio numero) e il 4919 (il nuovo). Per quanto riguarda gli
altri numeri, il 7 sarà riservato alle utenze Internet. L'1 alle chiamate
d'emergenza (113, 112, 118 eccetera) e per i centri servizi degli operatori.
L'8, infine, continuerà ad appartenere ai numeri verdi gratuiti (800), ma
anche a quelli ad addebito ripartito (840 e 848) tra il chiamante e il
destinatario della telefonata, utilizzati - spiega Telecom Italia -
soprattutto dalle pubbliche amministrazione e dalle imprese. I rimanenti 2,
5, 6 e 9 verranno dedicati a future esigenze.La rivoluzione dello zero è il
frutto del nuovo piano di numerazione nazionale, deciso dall'Authority per
le Comunicazioni e che prevede anche altre innovazioni, come il 4 per i
numeri interni di rete, per il quale tuttavia c'é ancora tempo fino al 30
settembre.
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