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Notiziario Marketpress di Lunedì 16 Gennaio 2012
COME SCRIVERE UNA POLICY AZIENDALE  
 
Giovedì 19 gennaio, dalle 9,30 alle 12,00 gli avvocati Sergio Barozzi, Giulietta Bergamaschi, Simona Grieco e Sofia Bargellini, dello studio Lexellent, parleranno presso il Caffè del Corso (Via della Moscova, 10 - Milano) su “Cos’è una policy aziendale”, “Come si scrive una policy aziendale” e guideranno una “Esercitazione pratica: redazione policy anti-discriminazione”. In questo corso verranno esaminati i principi che stanno alla base dello strumento della policy aziendale: la sua corretta redazione può aiutare il datore di lavoro nel prevenire molti problemi e comunque ridurre i rischi. Il corso si articolerà su una parte teorica ed una pratico operativa consistente nella redazione di una policy interna, nello specifico proveremo insieme a redigere una policy anti-discriminatoria. Partecipando a questo corso apprenderete: i principi che stanno alla base dello strumento della policy aziendale; in quali casi il corretto utilizzo della policy interna può essere o meno utile, quando addirittura una policy aziendale si rivela necessaria: come materialmente si redige una policy aziendale: quali sono i principi cardine per la scrittura della Vostra “legge interna”. Il corso di aggiornamento e formazione sarà allietato dalle ricette della Caffetteria Classica Viennese. Info: Studio Lexelent - Via della Moscova 10, 20121, Milano - T. +39028725171 - T. +39 02 872517.21 (direct) - Fax +390287251740 - http://www.lexellent.it/    
   
   
VADEMECUM SULLA COMUNICAZIONE DALL´ESPERIENZA DI CARLOVITTORIO GIOVANNELLI  
 
Le strategie e le regole della comunicazione, in poche pagine e con un taglio giornalistico. Questo il nucleo del libro "I 12 Apostoli della Comunicazione" opera prima di Carlovittorio Giovannelli, giornalista e esperto di comunicazione media. 12 capitoli, su altrettanti argomenti della comunicazione, danno al lettore la possibilità di migliorare la propria comunicazione e studiare un proprio percorso finalizzato a diventare più competitivo e preparato. Il libro si rivolge a tutti, giovani che vogliono approfondire l´argomento, liberi professionisti e aziende ma anche a tutte le persone che vogliono aumentare le proprie capacità relazionali. L´esperienza didattica di Carlovittorio Giovannelli consente a questo libro di essere immediatamente comprensibile a tutti, sia dagli "addetti ai lavori" sia, soprattutto, da quanti si affacciano al mondo della comunicazione per la prima volta. "E´ un periodo difficile per il nostro paese e sono tanti ancora i sacrifici che dovremo fare per risollevarci e per decretare finalmente chiusa la crisi economica, istituzionale e di valori che deteriora sempre di più il nostro umore e la nostra quotidianità. - Spiega l´autore - Un grande aiuto lo potremmo trovare nella comunicazione, partner importante e sempre più determinante per rendere efficaci i nostri sforzi e l´impegno che ogni giorno mettiamo nel nostro lavoro." Il libro si può acquistare sul sito www.Mediawatch.it  
   
   
INAUGURATO L’URP DEL TRIBUNALE DI TORINO  
 
Inaugurazione ufficiale per l’Ufficio relazioni con il pubblico del Tribunale di Torino: a tagliare il nastro sono stati il 9 gennaio il presidente Luciano Panzani e il governatore del Piemonte, Roberto Cota, durante una cerimonia alla quale ha partecipato anche il vicepresidente Ugo Cavallera. Ha sede al piano terra di corso Vittorio Emanuele Ii 130 (ingresso 3, aula 11), fornisce esclusivamente informazioni e mai consulenza legale, è aperto dalle 9 alle 12 dal lunedì al venerdì e contattatabile anche all’indirizzo urp.Tribunale.torino@giustizia.it  e ai numeri 011/432.9039-9457-9893. Aperto dal mese di ottobre, ha già raccolto complessivamente 418 contatti. La sua costituzione ha richiesto di un gruppo di volontari costituito da magistrati e personale amministrativo in pensione, di avvocati e dalla collaborazione dell’Urp della Regione Piemonte per la preparazione delle schede informative utilizzando la procedura informatica del progetto Polis su argomenti di interesse generale per i cittadini e le imprese.Il progetto rientra nelle competenze della Conferenza per la giustizia e dell’associazione Torino Giustizia. “La giustizia in Piemonte è un fiore all´occhiello - ha osservato Cota - e il Tribunale di Torino è molto ben organizzato e veloce, cosa che è un vantaggio per tutti i cittadini e per la competitività delle imprese e del territorio. Siamo lieti di aver collaborato mettendo a disposizione il modello informativo della Regione per l’apertura di uno sportello che rappresenta un ulteriore elemento di modernità che testimonia la lungimiranza del sistema giudiziario torinese e piemontese nell’avvicinare le istituzioni ai cittadini”.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: ASSUNZIONE TESTIMONIANZA DI MINORI  
 
La decisione quadro 2001/220/Gai, sulla vittima nel procedimento penale, ammette disposizioni nazionali (artt. 392, comma 1 bis, 398, comma 5 bis, e 394 del codice di procedura penale), che Non obbligano il pubblico ministero di chiedere al giudice che una vittima particolarmente vulnerabile sia sentita e deponga secondo le modalità dell’incidente probatorio e non la autorizzano a impugnare la decisione del p.M. Di rigetto della sua domanda di essere sentita e di deporre secondo tali modalità. Fatti L´art 392 ss. Del codice di procedura penale italiano, prevedono che, in casi di reati contro la libertà sessuale delle persone minori, il Pubblico Ministero, anche su richiesta della persona offesa, possa richiedere che si proceda all´assunzione della testimonianza del minore, in forma anticipata, rispetto all´audizione in un pubblico dibattimento. Si può procedere alla c.D. " assunzione protetta" della testimonianza della persona minore, specie se si tratta di minore di anni sedici. La testimonianza del minore viene assunta con modalità particolari ed in idoneo ambiente attrezzato, per favorire la tranquillità del minore stesso. La persona offesa minore non può peraltro chiedere direttamente al Giudice che proceda al suo esame nelle forme dell´incidente probatorio ma deve rivolgere queste richiesta al Pubblico Ministero. Il Pm non ha l´obbligo di ricorrere a tali forme, ma solamente ne ha la facoltà. La persona offesa non può d´altro canto ricorrere al Giudice contro la decisione del Pm (art. 394 cpp). Nell´attuale procedimento per violenza sessuale su minore, il Giudice (Tribunale di Firenze) deve quindi decidere sulla richiesta di archiviazione, in presenza di dichiarazioni della minore non assunte nelle più adeguate forme dell´incidente probatorio. Le norme italiane, a parere del Giudice di rinvio, non appaiono compatibili con la normativa comunitaria, in particolare la decisione n. 220/2001/Gai "Posizione della vittima nel procedimento penale". Secondo questa, "ciascuno Stato membro garantisce alla vittima un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento. In particolare, le vittime particolarmente vulnerabili devono beneficiare di un trattamento specifico. La vittima deve essere sentita durante il procedimento e fornire elementi di prova ma essere interrogata soltanto per quanto è necessario al procedimento penale " (A questa decisione, l´ordinamento giuridico italiano avrebbe dovuto conformarsi entro il 22/3/02. La competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale sull´interpretazione delle decisioni quadro è rimessa alla volontà di ciascuno Stato membro, che può accettarla mediante un´apposita dichiarazione [art. 35 Tue]. L´italia ha effettuato tale dichiarazione). In particolare, appare in contrasto con la decisione 2001/220/Gai sia l´art. 392 comma 1 bis, sia l´art. 394. L’art. 392, comma 1 bis, del c.P.c. Italiano prevede l’incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza di minore ovvero della persona offesa maggiorenne. La persona offesa può chiedere al pubblico ministero di promuovere un incidente probatorio. Y ha chiesto al pubblico ministero che si procedesse alla sua audizione come testimone. Il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di giustizia se la decisione quadro 2001/220/Gai tolleri disposizioni nazionali, che non prevedono l’obbligo per il pubblico ministero di chiedere al giudice che consenta ad una vittima particolarmente vulnerabile di essere sentita e di deporre secondo le modalità dell’incidente probatorio e, non autorizzano detta vittima a impugnare la decisione del pubblico ministero di rigetto della sua domanda di essere sentita e di deporre secondo tali modalità. Secondo la decisione quadro ciascuno Stato membro garantisce la possibilità per tutte le vittime di essere sentite durante il procedimento e deve adoperarsi per garantire a tutte le vittime un trattamento debitamente rispettoso della loro dignità personal ed assicurare che le vittime particolarmente vulnerabili beneficino di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione. La decisione quadro non prevede invece concrete di attuazione degli obiettivi (v., già sentenza Pupino). Essa lascia alle autorità nazionali un ampio potere discrezionale quanto alle concrete modalità di conseguimento degli obiettivi con essa perseguiti. In questa causa (a differenza che nella causa Pupino), il reato oggetto nella causa principale rientra tra quelli per i quali il ricorso alla audizione con incidente probatorio procedura è, in linea di principio, possibile. Il giudice del rinvio considera tuttavia che l’assenza di un obbligo per il pubblico ministero di accogliere la domanda, formulata da una vittima particolarmente vulnerabile, violi le disposizioni della decisione quadro. La Corte ricorda che va riconosciuto agli organi nazionali un ampio potere discrezionale relativamente alle modalità di assunzione della testimonianza. La decisione quadro impone agli Stati membri di garantire alle vittime più vulnerabili la facoltà di rendere testimonianza in condizioni particolari. Benché gli Stati membri siano tenuti ad adottare provvedimenti specifici a favore delle vittime particolarmente vulnerabili, da ciò non deriva necessariamente un diritto per tali vittime di beneficiare in qualunque ipotesi di un regime come quello dell’incidente probatorio. Tuttavia, una legislazione nazionale che prevede un regime processuale in forza del quale il pubblico ministero decide in merito all’accoglimento della domanda della vittima di ricorrere a una procedura come quella dell’incidente probatorio, non eccede il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri. La decisione quadro non impone agli Stati membri l’obbligo di garantire alle vittime un trattamento equivalente a quello delle parti del procedimento, la circostanza che nel sistema giuridico penale italiano spetti al pubblico ministero decidere di sottoporre al giudice investito della causa la domanda della vittima di ricorrere all’incidente probatorio, può essere considerata come rientrante nella logica di un sistema in cui il pubblico ministero costituisce un organo giudiziario incaricato dell’esercizio dell’azione penale. La decisione di rifiuto del pubblico ministero, che dev’essere motivata, non può formare oggetto di controllo da parte di un giudice, in quanto tale circostanza si inserisce in un sistema in cui la formulazione dell’accusa è in linea di principio riservata al pubblico ministero. La decisione quadro comporta che la vittima possa rendere una deposizione che possa essere considerata quale elemento di prova. Il suo diritto ad essere sentita, oltre a darle la possibilità di descrivere oggettivamente lo svolgimento dei fatti, deve consentirle di poter esprimere il proprio punto di vista. Tuttavia, né la decisione quadro, né la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantiscono alla vittima di un reato il diritto di provocare l’esercizio di azioni penali contro un terzo al fine di ottenerne la condanna. La Corte decide pertanto che La decisione quadro 2001/220/Gai, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, non osta a disposizioni nazionali (artt. 392, comma 1 bis, 398, comma 5 bis, e 394 del codice di procedura penale), che non prevedono l’obbligo per il pubblico ministero di rivolgersi al giudice affinché quest’ultimo consenta ad una vittima particolarmente vulnerabile di essere sentita e di deporre secondo le modalità dell’incidente probatorio e, dall’altro, non autorizzano detta vittima a proporre ricorso dinanzi ad un giudice avverso la decisione del pubblico ministero recante rigetto della sua domanda di essere sentita e di deporre secondo tali modalità. (Corte di giustizia Ue, Sentenza nella causa C-507/10, X con l’intervento di Y)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: SOLTANTO I SOGGIORNI CONFORMI ALLE CONDIZIONI PREVISTE DAL DIRITTO DELL’UNIONE CONSENTONO L´ACQUISIZIONE DEL DIRITTO DI SOGGIORNO PERMANENTE  
 
I periodi di soggiorno che il cittadino di uno Stato terzo ha compiuto anteriormente all’adesione di tale Stato all’Unione devono essere presi in considerazione ai fini del calcolo del periodo minimo di cinque anni, purché siano stati effettuati in conformità alle condizioni previste dal diritto dell’Unione. Il sig. Ziolkowski e la sig.Ra Szeja, cittadini polacchi, sono giunti in Germania anteriormente all’adesione della Polonia all’Unione – rispettivamente nel 1988 e nel 1989 – e hanno ottenuto, in conformità al diritto tedesco, il diritto di soggiorno per ragioni umanitarie, che è stato prorogato regolarmente. Nel 2005, successivamente all’adesione della Polonia all’Unione, essi hanno chiesto di ottenere il diritto di soggiorno permanente in Germania, in conformità alla direttiva relativa alla libera circolazione delle persone, diritto che è stato loro negato per il fatto che non avevano un lavoro e che non potevano dimostrare di disporre di risorse proprie sufficienti. Essi hanno contestato tale diniego delle autorità tedesche dinanzi ai tribunali nazionali competenti. Il Bundesverwaltungsgericht (Corte federale amministrativa, Germania), adito del ricorso, chiede sostanzialmente alla Corte di giustizia se periodi di soggiorno compiuti sul territorio dello Stato membro ospitante in conformità al solo diritto nazionale possano essere considerati come periodi di soggiorno legale ai sensi del diritto dell’Unione. Inoltre, la Corte viene interrogata in merito alla questione se i periodi di soggiorno compiuti da cittadini di uno Stato terzo anteriormente all’adesione di quest’ultimo all’Unione debbano essere presi in considerazione nel calcolo della durata quinquennale del soggiorno ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente. La Corte interpreta, in primo luogo, la nozione di “soggiorno legale” contenuta nella direttiva. Essa constata che quest’ultima non precisa il modo in cui debbano essere intesi i termini “che abbia soggiornato legalmente” nello Stato membro ospitante. Del pari, la direttiva non opera alcun rinvio ai diritti nazionali. Ne risulta che detti termini devono essere considerati nel senso che designano una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che dev’essere interpretata in modo uniforme sul territorio della totalità degli Stati membri. Al riguardo, la Corte osserva che il significato e la portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione devono essere stabiliti, in particolare, tenendo conto del contesto in cui essi sono utilizzati e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte. La Corte ricorda che la direttiva mira segnatamente ad agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini europei, fatte salve le limitazioni previste dal diritto dell’Unione. In proposito, la direttiva determina le condizioni alle quali i cittadini dell’Unione e i loro familiari possono circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, nonché quelle che essi devono soddisfare per poter acquisire il diritto di soggiorno permanente. Peraltro, essa ha lo scopo di superare un approccio settoriale e frammentario a tale diritto di soggiorno. Per quanto riguarda il suo contesto complessivo, la direttiva istituisce un sistema a tre livelli, nel quale ciascun livello è funzione della durata del soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante e l’ultimo corrisponde al diritto di soggiorno permanente, introdotto per la prima volta dalla direttiva. Tale sistema riprende in sostanza le fasi e le condizioni previste negli strumenti del diritto dell’Unione e nella giurisprudenza anteriori alla direttiva. Così, anzitutto, essa prevede che il cittadino dell’Unione abbia il diritto di soggiornare sul territorio dello Stato membro ospitante per un periodo che va fino a tre mesi, senza altre condizioni particolari che non il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità. Successivamente, l’acquisizione di un diritto di soggiorno di più di tre mesi è subordinata al rispetto di talune condizioni. Per beneficiarne, il cittadino dell’Unione deve segnatamente essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante oppure disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse sufficienti per non divenire un onere per il sistema di assistenza sociale di detto Stato, nonché di un’assicurazione malattia in tale Stato che copra tutti i rischi . Infine, la direttiva instaura un diritto di soggiorno permanente a favore dei cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante. Per quanto riguarda il contesto particolare della direttiva, diverse sue disposizioni subordinano il soggiorno che costituisce presupposto per l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente a talune condizioni conformi ai requisiti della direttiva. Alla luce di tali obiettivi nonché del suo contesto complessivo e particolare, la Corte considera che la nozione di “soggiorno legale” che consente di acquisire il diritto di soggiorno permanente debba essere interpretata come soggiorno conforme alle condizioni enunciate da tale direttiva (vale a dire, essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante o disporre, per se stessi e per i propri familiari, di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia). Di conseguenza, il soggiorno conforme al diritto di uno Stato membro, ma che non soddisfi dette condizioni, non può essere considerato soggiorno “legale” ai sensi della direttiva relativa al soggiorno permanente. La Corte conclude quindi che quest’ultima nozione deve essere interpretata nel senso che non si può ritenere che il cittadino dell’Unione che abbia compiuto un soggiorno di più di cinque anni sul territorio dello Stato membro ospitante sulla sola base del diritto nazionale di tale Stato abbia acquisito il diritto al soggiorno permanente, se durante tale soggiorno egli non soddisfaceva le condizioni previste dalla direttiva. In secondo luogo, la Corte esamina la questione se i periodi di soggiorno che il cittadino di uno Stato terzo ha compiuto sul territorio di uno Stato membro anteriormente all’adesione di tale Stato terzo all’Unione debbano essere presi in considerazione nel calcolo del periodo minimo necessario ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente. La Corte sottolinea che l’atto di adesione di un nuovo Stato membro è essenzialmente fondato sul principio generale dell’applicazione immediata e integrale delle disposizioni del diritto dell’Unione a detto Stato, salvo deroghe espressamente previste da disposizioni transitorie. Più precisamente, per quanto riguarda le disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione, la Corte ha già giudicato che esse sono applicabili a partire dalla loro entrata in vigore e che devono essere applicate agli effetti attuali di situazioni sorte anteriormente. Nella fattispecie, la Corte constata che non esiste, nell’atto di adesione, alcuna disposizione transitoria che riguardi l’applicazione alla Polonia delle norme sulla libera circolazione delle persone, fatta eccezione per talune regole riguardanti la libera circolazione dei lavoratori e la libera circolazione dei servizi. Conseguentemente, le disposizioni relative al soggiorno permanente possono essere invocate dai cittadini dell’Unione ed essere applicate agli effetti attuali e futuri di situazioni sorte anteriormente all’adesione della Polonia all’Unione. La Corte conclude che i periodi di soggiorno che il cittadino di uno Stato terzo abbia compiuto sul territorio di uno Stato membro anteriormente all’adesione di detto Stato terzo all’Unione devono, in mancanza di disposizioni specifiche contenute nell’atto di adesione, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, purché siano stati effettuati in conformità alle prescrizioni della direttiva. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 21 dicembre 2011, Sentenza nelle cause riunite C-424/10, Tomasz Ziolkowski / Land Berlin e C-425/10 Berbara Szeja e a./Land Berlin) Giustizia europea: le norme dell’Unione destinate alla lotta contro la proliferazione nucleare in Iran Sono vietate la fornitura e l´installazione in Iran di un forno di sinterizzazione idoneo al funzionamento, ma non ancora pronto all´impiego, a favore di un terzo che intenda utilizzarlo per fabbricare componenti di missili nucleari per un´entità assoggettata a misure restrittive. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel dicembre 2008 ha adottato una risoluzione che ha introdotto un certo numero di misure restrittive nei confronti dell´Iran per costringerlo a porre termine alle sue attività nucleari implicanti un rischio di proliferazione e allo sviluppo di sistemi di lancio di armi nucleari (missili). Al fine di dare attuazione a tale risoluzione, il Consiglio dell´Unione europea ha adottato un regolamento nel 2007, che vieta in particolare di porre, direttamente o indirettamente, fondi o risorse economiche a disposizione delle persone, entità o organismi figuranti in un elenco allegato al regolamento. In detto elenco rientra tra l´altro il Gruppo industriale Shahid Hemmat (Shig). Inoltre, il regolamento vieta di partecipare, consapevolmente e deliberatamente, ad attività aventi l’obiettivo o il risultato diretto o indiretto di eludere, in particolare, tale divieto. Oltre a ciò, il regolamento considera i forni per trattamento termico in atmosfera controllata in grado di funzionare a temperature superiori a 400°C come idonei a implicare il rischio di proliferazione e subordina quindi la loro esportazione, diretta o indiretta, verso l´Iran a una previa autorizzazione. Il Generalbundesanwalt beim Bundesgerichtshof (Procuratore generale federale presso la Corte federale di cassazione, Germania) ha promosso un´azione penale dinanzi all´Oberlandesgericht Düsseldorf (Corte d’appello regionale di Düsseldorf) contro i sigg. Afrasiabi, Sahabi e Kessel, in quanto presume che questi ultimi abbiano violato tale regolamento, avendo partecipato alla fornitura e all’installazione, in Iran, di un forno di sinterizzazione in ceramica proveniente dalla Germania. La costruzione di missili a lunga gittata che potrebbero essere utilizzati come sistemi di lancio di armi di distruzione di massa necessiterebbe dell´impiego di forni di sinterizzazione per ricoprire taluni componenti di rivestimenti refrattari. Al fine di acquistare un siffatto forno per conto della sua impresa iraniana Emen Survey - ma, stando alle asserzioni del procuratore federale, a vantaggio di Shig, che agirebbe quale centrale di committenza a favore del programma iraniano di missili -, il sig. Afrasiabi si sarebbe messo in contatto, mediante il sig. Sahabi, con il sig. Kessel, direttore dell´impresa di produzione tedesca Fct-systeme Gmbh. Quest´ultima avrebbe consegnato il forno a Emen Survey nel luglio 2007. Inoltre, il sig. Kessel avrebbe inviato due tecnici a Teheran, che avrebbero installato il forno ma non il software necessario per metterlo in funzione. Il sig. Afrasiabi avrebbe previsto di fabbricare successivamente, per mezzo di detto forno, componenti di missili nucleari per Shig, progetto che sarebbe in definitiva fallito, dato che il forno non è stato reso operativo dal sig. Kessel. L´oberlandesgericht Düsseldorf, chiamato a pronunciarsi sull´apertura del procedimento penale nel merito, nutre dubbi riguardo all’interpretazione del regolamento e interpella la Corte di giustizia a tale proposito. Con la sua sentenza odierna, la Corte precisa che un forno di sinterizzazione costituisce una risorsa economica ai sensi del regolamento. In considerazione del rischio di sviamento a sostegno della proliferazione in Iran, non è necessario che detto forno sia immediatamente pronto per l´impiego. Gli atti consistenti, ove il punto di partenza sia uno Stato membro, nel fornire e installare in Iran, a favore di una persona, un forno di quel genere, così come gli atti relativi, segnatamente, alla preparazione e al monitoraggio della consegna o dell´installazione del forno di cui trattasi o, altresì, all’organizzazione di contatti tra gli interessati, possono rientrare nella nozione di «messa a disposizione». Alla luce del fatto che nell´elenco allegato al regolamento rientra Shig e non il sig. Afrasiabi, la Corte osserva che, ove il sig. Afrasiabi abbia agito a nome, sotto il controllo o su istruzioni di Shig e abbia avuto l’intenzione di utilizzare il forno a vantaggio di quest´ultimo, il che spetta all´Oberlandesgericht Düsseldorf verificare, detto giudice sarebbe autorizzato a ritenere che la fattispecie configuri una messa a disposizione indiretta del forno a favore di Shig. Inoltre, sebbene il divieto previsto dal regolamento includa l´insieme dei soggetti coinvolti negli atti vietati, quest´ultimo si applica solo a coloro che sapevano o, almeno, avrebbero dovuto ragionevolmente presumere che tali atti erano contrari a detto divieto. In conclusione, la Corte risponde che il divieto, ai sensi del regolamento, di mettere a disposizione indirettamente una risorsa economica include gli atti relativi alla fornitura e all´installazione in Iran di un forno di sinterizzazione idoneo al funzionamento, ma non ancora pronto all´impiego, a favore di un terzo che, agendo a nome, sotto il controllo o su istruzioni di una persona, di un´entità o di un organismo menzionato negli allegati di detto regolamento, intenda utilizzare il forno di cui trattasi per produrre, a vantaggio di quella persona o entità o di quell´organismo, beni idonei a contribuire alla proliferazione nucleare nello Stato di cui trattasi. (Corte di giustizia dell’Unione europea Comunicato Stampa n. 143/11 Lussemburgo, 21 dicembre 2011Sentenza nella causa C-72/11 Afrasiabi e a. )  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: LEGITTIMA LA DIRETTIVA CHE INCLUDE LE ATTIVITÀ DI TRASPORTO AEREO NEL SISTEMA COMUNITARIO DI SCAMBIO DI QUOTE DI EMISSIONI DI CO2 È VALIDA  
 
L´applicazione del sistema di scambio di quote di emissioni ai trasporti aerei non viola né i principi di diritto internazionale consuetudinario invocati né l´Accordo «open skies». (Sentenza nella causa C-366/10, Air Transport Association of America e a. / Secretary of State for Energy and Climate Change)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: PREZZO DELL’ENERGIA  
 
La legge 2/2009 è finalizzata a ridurre il prezzo dell´energia elettrica al fine di garantire minori oneri per le famiglie e ad evitare che i titolari delle unità di produzione essenziali esercitassero un potere dominante sul mercato. Enel ha impugnato una delibera del 2009 (che si fonda sulla legge 2/2009) dell´Autorità per l´Energia Elettrica ed il Gas (Aeeg) che obbliga i titolari di impianti essenziali per il dispacciamento a presentare offerte a condizioni fissate in via autoritativa dalla Aeeg (e non basate sull´incontro fra la domanda e l´offerta). Questa prevede che la Terna Spa (soggetto incaricato di gestione della rete di trasporto e dei servizi di dispacciamento dell´energia elettrica) deve effettuare previsioni sulle necessità di energia per mantenere in sicurezza il sistema e predisporre - ogni anno - un elenco degli impianti considerati essenziali per la sicurezza del sistema elettrico. La società ricorrente, in qualità di produttore di energia elettrica titolare di impianti dichiarati essenziali, deduce la contrarietà della delibera alla direttiva 54/2003 (norme comuni sul mercato interno dell´energia elettrica) che ha dettato disposizioni per la liberalizzazione del mercato elettrico. (Sentenza nella causa C-242/10, nel Produzione Spa/autorità per l´Energia Elettrica e il Gas)  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: GESTIONE SERVIZI PUBBLICI  
 
La legge n. 142/1990, sulle autonomie locali ha introdotto una riforma degli strumenti giuridici organizzativi offerti ai comuni per la gestione dei servizi pubblici, e la facoltà, per i comuni, di costituire società commerciali o di società a responsabilità limitata a partecipazione maggioritaria pubblica per fornire servizi pubblici. Tra il 1994 e il 1998, a tali società sono stati concessi prestiti a tasso agevolato presso la Cassa Depositi e Prestiti ed altre agevolazioni 1. La concessione di prestiti a tasso agevolato presso la Cassa Depositi e Prestiti tra il 1994 e il 1998 (Legge1986, n. 488, provvedimenti urgenti per la finanza locale); 2. L´esenzione da tutte le tasse sui conferimenti relativi alla trasformazione di aziende speciali e di aziende municipalizzate in società ex legge n. 142/90; 3. L´esenzione totale triennale dall´imposta sul reddito d´impresa (Irpeg e Ilor), non oltre il 1999. Alcune società hanno sostenuto che le misure non costituivano aiuti di stato. Le autorità italiane e la ricorrente hanno sostanzialmente aderito a tale tesi. Viceversa, il Bundesverband der deutschen Industrie eV, associazione tedesca degli industriali e dei prestatori di servizi ha osservato che le misure potrebbero provocare distorsioni della concorrenza non solo in Italia, ma anche in Germania. Analogamente, la Gas-it, associazione italiana di operatori privati del settore della distribuzione del gas, ha osservato che le misure di cui trattasi, in particolare l´esenzione triennale dall´imposta sul reddito d´impresa, costituivano aiuti di Stato. Il 5 giugno 2002 la Commissione ha adottato la decisione 2003/193/Ce: l´esenzione triennale dall´imposta sul reddito e i vantaggi derivanti dai prestiti della Cddpp costituiscono aiuti di Stato, incompatibili con il mercato comune. L´italia deve senza indugio recuperare l´aiuto e gli interessi relativi presso i beneficiari. Nelle more, la Commissione ha introdotto contro l´Italia un ricorso per inadempimento (C-207/05) conclusosi con una sentenza di condanna (la prima, meramente dichiarativa) il 1.6.2006. Con 7 sentenze dell´11 giugno 2009 il Tribunale ha dichiarato irriceviblii 7 ricorsi. (T-292/02, T-300/02, T-301/02, T-189/03, T-309/02, nonché T-297/02, per la parte che riguarda i prestiti della Cassa depositi e prestiti, di cui Acea non ha goduto; e T-222/04 Italia/commissione)). (Ai sensi dell´art. 230, quarto comma, Ce, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro una decisione presa nei confronti di altre persone, solo qualora la detta decisione la riguardi direttamente ed individualmente). Hanno impugnato le sentenze: * A2a Spa (ricorso di Asm Brescia Spa): C-318/09 P * Acea Spa: C-319/09 P * A2a Spa (ricorso di Aem Spa): C-320/09 * Iride Spa, precedentemente Amga Spa : C-329/09 * Acegas : C-341/09 (sentenze nelle cause A2a Spa, precedentemente Asm Brescia Spa, e.A / Commissione)