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Notiziario Marketpress di Lunedì 12 Gennaio 2009
GAZZETTA UFFICIALE: SOLO ONLINE  
 
Dal 1° gennaio 2009 la diffusione della Gazzetta ufficiale avviene solo on line, sparisce definitivamente la versione cartacea. Dalla stessa data la Gazzetta ufficiale è fruibile gratuitamente solo per 60 giorni . .  
   
   
POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA: OBBLIGATORIETÀ  
 
La Camera di Commercio di Rieti ci ha confermato che la Posta elettronica certificata (Pec) è diventata obbligatoria. L’articolo 16, 6° comma, del Decreto legge n. 185/08, contenente misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, infatti ha introdotto importanti novità in tema di Posta Elettronica Certificata. Per le nuove imprese costituite in forma societaria l’obbligo della Pec è scattato il 29 novembre 2008 e l’indirizzo dovrà essere inserito nella domanda di iscrizione al Registro delle Imprese, unitamente all’indicazione dell’indirizzo tradizionale della sede “fisica” dell’azienda. Le società già iscritte avranno invece 3 anni di tempo per adeguarsi ed i professionisti un anno. L’iscrizione dell’indirizzo di posta elettronica certificata nel Registro delle Imprese gestito dalla Camera di Commercio e le sue successive eventuali variazioni sono esenti dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria. L’iscrizione è un vero e proprio obbligo e non una semplice facoltà, equiparato all’indicazione del Comune, via e numero civico della sede “fisica”. Saranno i notai, almeno nei casi in cui sono obbligati al deposito per l’iscrizione, a dover gestire, per la neo costituita società, l’iscrizione della Pec nel quadro della sede legale. Per acquisire la casella di posta elettronica è possibile consultare l’elenco dei verificatori e raggiungerlo dal sito del Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (Cnipa) www. Cnipa. It. Le istanze di iscrizione prodotte verranno conseguentemente protocollate e sospese, come da indicazioni del sistema. La Posta Elettronica Certificata (Pec) è un sistema di comunicazione simile alla posta elettronica standard a cui si aggiungono delle caratteristiche di sicurezza e di certificazione della trasmissione tali da rendere i messaggi opponibili a terzi. Con la Pec, pertanto, è possibile inviare una e-mail con lo stesso valore legale di una raccomandata con ricevuta di ritorno. Ogni interessato potrà così notificare, se in possesso di Pec, atti legali, contratti, diffide, richieste sottoscrivendo i documenti con firma digitale e trasmettendo il tutto all’indirizzo Pec della società pubblicato nel Registro Imprese. L’azienda potrà avere più indirizzi di posta elettronica certificata, ma solo uno di questi potrà essere pubblicato nel Registro imprese e identificherà la vera e propria “sede elettronica” della società presso cui potranno essere recapitati tutti gli atti e documenti a valore legale a prescindere dal consenso della società. La consultazione per via telematica dei singoli indirizzi di posta elettronica certificata nel registro delle imprese o negli albi o elenchi avviene liberamente e senza oneri.  
   
   
CLASS ACTION: ULTERIORE PROROGA  
 
Il Consiglio dei Ministri n. 31 del 18 dicembre 2008 ha approvato il Decreto legge che proroga alcuni termini in scadenza previsti da disposizioni di legge (cd. Decreto milleproroghe). L’art. 22 del provvedimento modifica l’art. 2, comma 447, della legge Finanziaria 2008, già emendato dall’art. 38 della Legge n. 133/08 (art. 36) di conversione del Decreto legge n. 112/08 (cd. Manovra economica 2009), prevedendo che le norme, con cui era stata introdotta nel nostro ordinamento l’azione collettiva risarcitoria, diverranno efficaci decorsi 18 mesi dall’entrata in vigore della Finanziaria 2008, vale a dire a partire dal 1° luglio 2009. Questa è la seconda proroga all’entrata in vigore dell’azione collettiva, dopo quella disposta proprio nel Decreto legge n. 112/08, che aveva posticipato l’efficacia di tali norme dal 29 Giugno 2008 al 1° Gennaio 2009. Questo ulteriore rinvio è motivato dal fatto che il Governo non ha ancora predisposto per l’iter parlamentare le modifiche al testo vigente, nonostante l’ampia riflessione già compiuta sui contenuti dell’azione collettiva risarcitoria.  
   
   
PRIVACY: ROTTAMAZIONE DEL PERSONAL COMPUTER  
 
Il Garante della Privacy ha messo a punto una serie di indicazioni per evitare che, al momento di dismettere apparecchiature elettriche ed elettroniche (anzitutto pc, ma anche cd rom o dvd), rimangano in memoria nomi, indirizzi mail, rubriche telefoniche, foto, filmati, numero di conto bancario, dati personali in generale, anche di tipo sensibile come quelli sanitari, riferiti non solo all´utilizzatore, ma anche a terzi. Privati cittadini, professionisti e aziende pubbliche, che intendono dismettere il proprio usato o consegnarlo ai punti di raccolta per lo smaltimento, dovranno cancellare in maniera definitiva - anche con l´aiuto degli stessi rivenditori o se proprio necessario di tecnici specializzati - i dati personali memorizzati. Questo innanzitutto allo scopo di non esporsi e non esporre altri a rischi anche gravi, come ad esempio la manipolazione di dati e il furto di identità. Sempre più frequenti sono i casi in cui si segnala il ritrovamento di dati personali all´interno di apparecchi elettronici (compresi i telefonini), non solo nei casi in cui essi siano ceduti ad un rivenditore per la dismissione o la rivendita, ma anche quando siano dati in consegna per riparazioni o sostituzione di componenti. Le misure suggerite dal Garante per una "rottamazione" sicura di pc e dispositivi elettronici hanno dunque l´obiettivo di richiamare tutti gli utilizzatori sulla necessità di assicurare una reale ed effettiva cancellazione dei dati o venga garantita la loro non intelligibilità. Le misure possono essere adottate sia nel momento preliminare della memorizzazione dei dati sia in quello successivo della loro distruzione. Come misura preventiva è bene proteggere i file usando una password di cifratura, oppure memorizzare i dati su hard disk o su altri supporti magnetici usando sistemi di cifratura automatica al momento della scrittura. La cancellazione sicura delle informazioni su disco fisso o su altri supporti magnetici è ottenibile con programmi informatici di "riscrittura" che provvedono - una volta che l´utente abbia eliminato dei file dall´unità disco con i normali strumenti previsti dai sistemi operativi (ad es. , con l´uso del "cestino" o con comandi di cancellazione) - a scrivere ripetutamente nelle aree vuote del disco. Si possono anche utilizzare sistemi di formattazione a basso livello degli hard disk o di "demagnetizzazione", in grado di garantire la cancellazione rapida delle informazioni. Per la distruzione degli hard disk e di supporti magnetici non riscrivibili, come cd rom e dvd, è consigliabile l´utilizzo di sistemi di punzonatura o deformazione meccanica o di demagnetizzazione ad alta intensità o di vera e propria distruzione fisica. Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il Garante metterà a disposizione sul suo sito www. Garanteprivacy. It un documento con le istruzioni per favorire quanto più possibile una cancellazione sicura dei dati.  
   
   
PRIVACY: LOCALIZZAZIONE DELLE PERSONE DISPERSE IN MONTAGNA CON IL CELLULARE  
 
Sarà più facile rintracciare le persone disperse in montagna, almeno quelle che portano con sé un cellulare. Il Garante della Privacy ha chiarito che gli organismi di soccorso possono ottenere dalle società telefoniche i dati relativi alla posizione delle persone in pericolo di vita per le quali siano state attivate formalmente le ricerche. Il Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (Cnsas) che ha spesso la concreta necessità di localizzare con urgenza una persona dispersa, può quindi avvalersi della possibilità di utilizzare più rapidamente informazioni concernenti i ponti e le celle attivate o “agganciate” dal telefono mobile della persona dispersa. L´autorità è intervenuta a chiarire che il Codice della privacy, nel caso vi sia la necessità di salvaguardare la vita o l´incolumità di una persona, consente alla società telefonica di comunicare i dati all´organismo di soccorso, anche senza il consenso dell´interessato. Il provvedimento dell´Autorità è stato adottato a seguito delle richieste provenienti da diversi Comuni che avevano rappresentato la necessità di poter disporre di queste informazioni. Pur riguardando il Soccorso alpino, il provvedimento afferma principi suscettibili di essere applicati, con le dovute cautele, anche in altri casi di soccorso. I dati dovranno essere utilizzati dagli organismi di soccorso solo per lo scopo di ricerca e soccorso della persona dispersa. Per quanto riguarda le chiamate di emergenza, l´Autorità ha inoltre ricordato che i servizi abilitati a ricevere questo tipo di chiamate possono comunque trattare i dati relativi all´ubicazione dei telefoni relativi a chi chiama, anche quando l´utente o l´abbonato abbiano già rifiutato o omesso di prestare il consenso. "Rispetto alla salvaguardia della vita umana - ha commentato Giuseppe Fortunato - non può esserci dubbio nel rintracciare, con la necessaria celerità, la persona dispersa. Il Garante della privacy, ancora una volta, rammenta che la normativa sulla privacy, correttamente interpretata, non è mai impedimento alla tutela dei valori inviolabili del nostro ordinamento. Al tempo stesso, fuori dalla fattispecie chiaramente definita dal Garante, a nessuno è permesso controllare i nostri liberi spostamenti .  
   
   
PRIVACY: TRATTAMENTO DEI DATI GENETICI  
 
Il Garante per la protezione dei dati personali ha prorogato, senza sostanziali modifiche, al 31 dicembre 2009 l´efficacia dell´autorizzazione al trattamento dei dati genetici, rilasciata il 22 febbraio 2007 .  
   
   
PRIVACY: IDENTITÀ DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA  
 
Occorre evitare la pubblicazione di dettagli che violino riservatezza e dignità. Occorre proteggere in modo efficace l´identità delle donne vittime di violenza. Nel riportare episodi di cronaca, i giornali devono astenersi dal pubblicare dettagli che violino la loro riservatezza e dignità. Lo ha ribadito il Garante affrontando (con un provvedimento di cui è stato relatore Mauro Paissan) il caso di un quotidiano veneto che aveva dato notizia di un´aggressione e di una violenza sessuale subite da una donna da parte del coniuge da cui era legalmente separata. Nell´articolo venivano rese note l´identità della vittima, la sua professione unitamente all´indirizzo dove la esercitava, l´indirizzo dove la donna viveva col marito e l´attuale indirizzo con relativa fotografia. La donna si era lamentata, segnalando al Garante, oltre alla violazione della propria dignità, anche il rischio dei danni che la pubblicazione di tali informazioni poteva arrecare alla personalità del figlio minore, nel caso in cui fosse venuto a conoscenza dei fatti tramite i mezzi di informazione. Il Garante ha dichiarato fondata la segnalazione della donna, ribadendo preliminarmente che i giornalisti possono diffondere dati personali, anche senza il consenso degli interessati, nei limiti del diritto di cronaca, ed in particolare del principio dell´essenzialità dell´informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Nel caso specifico, l´episodio avrebbe potuto essere documentato correttamente omettendo i riferimenti in grado di portare all´identificazione della vittima del reato, anche in considerazione del fatto che le informazioni attinenti alla sfera sessuale sono soggette ad una rigorosa tutela, anche quando sono trattate nell´ambito di attività giornalistica. L´articolo è risultato quindi pubblicato in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali e del Codice deontologico dei giornalisti. Il Garante ha così vietato all´editore del quotidiano l´ulteriore pubblicazione delle generalità, della professione unitamente al luogo dove viene esercitata, degli indirizzi e delle foto dell´abitazione della donna .  
   
   
PRIVACY: STRUTTURE SANITARIE PIÙ ATTENTE ALLA PRIVACY DEI PAZIENTI  
 
Le strutture sanitarie devono essere più attente alla privacy dei pazienti. Nel corso del 2008 l´Autorità è intervenuta più volte per tutelare la riservatezza dei pazienti richiamando gli organismi sanitari pubblici e privati al rispetto di una serie di misure volte ad assicurare il massimo livello di protezione dei diritti del malato, come prevede il Codice privacy. Diverse soluzioni sono state adottate dalle strutture sanitarie a seguito delle segnalazioni presentate dai cittadini al Garante. Un´azienda sanitaria veneta ha ad esempio eliminato dai moduli utilizzati per fini amministrativi (ad es. Per giustificare un´assenza dal lavoro) il riferimento al reparto che redige il certificato, evitando in questo modo che estranei possano desumere lo stato di salute del paziente attraverso l´indicazione esplicita del reparto presso cui si è recato. Per quanto riguarda la distribuzione dei referti, un ospedale universitario emiliano ha poi previsto che la cartella ambulatoriale sia inserita in un apposito contenitore con finestrella trasparente in modo tale da rendere visibili all´esterno i dati indispensabili al ritiro del referto, escludendo così l´accesso non necessario ai dati sanitari del paziente da parte dell´operatore addetto alla distribuzione. Una ditta che fornisce materiale per conto del servizio sanitario nazionale, invece, ha dal canto suo sostituito le etichette apposte all´esterno dei pacchi postali, assicurando di non indicare più informazioni circa il loro contenuto. Al fine di prevenire l´indebita conoscenza da parte di terzi di dati sensibili dei pazienti, un ospedale milanese ha invece effettuato corsi di formazione per il personale che raccoglie l´anamnesi; lo scopo è quello di garantire che le prestazioni sanitarie non avvengano in situazioni di promiscuità. Ancora, un policlinico universitario siciliano ha modificato la collocazione delle stanze dedicate alle visite e ha introdotto un codice alfanumerico al posto della chiamata nominativa dei pazienti. Infine, un´azienda sanitaria pugliese ha corretto la causale degli assegni destinati ai ragazzi con problemi e disagi psicologici eliminando il riferimento alla malattia mentale da loro sofferta. In più di un´ occasione, il Garante è intervenuto poi presso medici di base ricordando la necessità di adottare cautele durante i colloqui con i pazienti per evitare che informazioni sullo stato di salute possano essere conosciute da terzi presenti in sala d´attesa. L´autorità ha anche ribadito che le prescrizioni mediche devono essere consegnate solo al paziente o ritirate anche da persone diverse sulla base di una delega scritta mediante la consegna in busta chiusa .  
   
   
PRIVACY: IDENTITÀ DELLE DONNE VITTIME DI VIOLENZA  
 
Occorre evitare la pubblicazione di dettagli che violino riservatezza e dignità. Occorre proteggere in modo efficace l´identità delle donne vittime di violenza. Nel riportare episodi di cronaca, i giornali devono astenersi dal pubblicare dettagli che violino la loro riservatezza e dignità. Lo ha ribadito il Garante affrontando (con un provvedimento di cui è stato relatore Mauro Paissan) il caso di un quotidiano veneto che aveva dato notizia di un´aggressione e di una violenza sessuale subite da una donna da parte del coniuge da cui era legalmente separata. Nell´articolo venivano rese note l´identità della vittima, la sua professione unitamente all´indirizzo dove la esercitava, l´indirizzo dove la donna viveva col marito e l´attuale indirizzo con relativa fotografia. La donna si era lamentata, segnalando al Garante, oltre alla violazione della propria dignità, anche il rischio dei danni che la pubblicazione di tali informazioni poteva arrecare alla personalità del figlio minore, nel caso in cui fosse venuto a conoscenza dei fatti tramite i mezzi di informazione. Il Garante ha dichiarato fondata la segnalazione della donna, ribadendo preliminarmente che i giornalisti possono diffondere dati personali, anche senza il consenso degli interessati, nei limiti del diritto di cronaca, ed in particolare del principio dell´essenzialità dell´informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Nel caso specifico, l´episodio avrebbe potuto essere documentato correttamente omettendo i riferimenti in grado di portare all´identificazione della vittima del reato, anche in considerazione del fatto che le informazioni attinenti alla sfera sessuale sono soggette ad una rigorosa tutela, anche quando sono trattate nell´ambito di attività giornalistica. L´articolo è risultato quindi pubblicato in violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali e del Codice deontologico dei giornalisti. Il Garante ha così vietato all´editore del quotidiano l´ulteriore pubblicazione delle generalità, della professione unitamente al luogo dove viene esercitata, degli indirizzi e delle foto dell´abitazione della donna.  
   
   
CONSIGLIO D´EUROPA: PIÙ PRIVACY NELLA LOTTA AL TERRORISMO  
 
Un forte messaggio sulla necessità di non comprimere la privacy nella lotta al terrorismo è stato lanciato dal Consiglio d´Europa. E´ proprio quando si combatte contro il terrorismo e la criminalità organizzata che occorre garantire il massimo rispetto dei principi che tutelano diritti umani fondamentali quali il diritto al rispetto per la vita privata, sancito nell´articolo 8 della Convenzione europea per i diritti umani. Il messaggio è contenuto nel documento pubblicato di recente dal Commissario del Consiglio d´Europa per i diritti umani, Thomas Hammarberg, dal titolo "Tutelare il diritto alla privacy nella lotta contro il terrorismo" (https://wcd. Coe. Int/. ). Il documento fa il punto sulla situazione in Europa per quanto riguarda gli sviluppi tecnologici e politici che hanno caratterizzato gli ultimi anni nel settore delle attività di contrasto al terrorismo ed alla criminalità, e sottolinea la necessità di riesaminare le politiche sinora adottate per garantire la piena tutela del diritto alla privacy ed alla protezione dei dati personali. Occorre, a giudizio del Consiglio d´Europa, ripensare tutte le proposte e le politiche sinora elaborate nella prospettiva di un reale bilanciamento con i diritti fondamentali delle persone, che non possono restare lettera morta e devono trovare eco adeguata presso tutti i governi dei Paesi che si sono impegnati, oltre mezzo secolo fa, a garantire il rispetto dei diritti umani .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: IMPOSTA SULLE SOCIETÀ A GIBILTERRA  
 
Lo scorso 18 dicembre 2008 la sentenza del Tribunale di primo grado nelle cause riunite T-211/04 e T-215/04 - Governo di Gibilterra e Regno Unito di Gran Bretagna e dell´Irlanda del Nord / Commissione - ha annullato la decisione della Commissione in base alla quale la proposta di riforma dell’imposta sulle imprese di Gibilterra costituisce un aiuto di stato illecito. Infatti, il contesto di riferimento per valutare la selettività regionale della riforma corrisponde esclusivamente ai limiti del territorio di Gibilterra e non a quelli del Regno Unito. Inoltre, la Commissione non ha rispettato l’ambito di analisi relativo alla determinazione della selettività. Nell’agosto del 2002, il Regno Unito ha notificato alla Commissione la riforma prevista dal governo di Gibilterra riguardante l’imposta sulle imprese. Tale riforma comprendeva in particolare l’abrogazione del precedente sistema fiscale e l’istituzione di tre imposte applicabili a tutte le imprese di Gibilterra; una tassa di registrazione, un’imposta sulle retribuzioni, un’imposta sull’occupazione di strutture immobiliari (business property occupation tax; in prosieguo: la «Bpot»), fermo restando che l’onere impositivo corrispondente a questi ultimi due tributi non potrà essere superiore al 15% degli utili. Il 30 marzo 2004, all’esito di un procedimento d’indagine formale, la Commissione ha deciso (Decisione n. 2005/261/Ce, relativa al regime di aiuti che il Regno Unito sta progettando di applicare in relazione alla riforma del sistema di tassazione delle imprese del governo di Gibilterra) che le proposte notificate per la riforma del sistema di tassazione delle imprese a Gibilterra costituivano regime di aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune e che, di conseguenza, tali proposte non potevano essere attuate. Nella sua decisione, la Commissione ha ritenuto che detta riforma fosse selettiva a livello regionale nei limiti in cui essa istituiva un sistema in base al quale le imprese a Gibilterra erano tassate con un´aliquota in generale inferiore rispetto a quelle nel Regno Unito. Inoltre, essa ha sostenuto che tre aspetti della riforma fiscale erano selettivi sul piano materiale: in primo luogo, la produzione di utili quale presupposto per l’assoggettamento all´imposta sulle retribuzioni e alla Bpot, poiché tale requisito favorisce le imprese che non abbiano prodotto utili; in secondo luogo, il limite del 15% degli utili applicato all´assoggettamento all’imposta sulle retribuzioni e alla Bpot, in quanto tale limite favorisce le imprese che, per l´esercizio fiscale in questione, avrebbero utili esigui in relazione al numero dei dipendenti e all´occupazione di strutture immobiliari; in terzo luogo, l’imposta sulle retribuzioni e sulla Bpot, poiché queste due imposte favoriscono, per loro natura, le imprese che non avrebbero un’effettiva presenza fisica a Gibilterra. Il governo di Gibilterra e il Regno Unito hanno proposto ricorsi dinanzi al Tribunale di primo grado chiedendo l’annullamento della decisione della Commissione. Per quanto riguarda la selettività regionale, il Tribunale ricorda, a titolo preliminare, che le norme del diritto comunitario relative agli aiuti concessi dagli Stati membri si applicano a Gibilterra. A tale titolo, il Tribunale rileva che sono vietati gli aiuti di Stato «che favoriscono talune imprese o talune produzioni», o aiuti selettivi. Il Tribunale, poi, esamina se, in base alle tre condizioni stabilite nella sentenza sul regime fiscale delle Azzorre (sentenza della Corte 6 settembre 2006 nella causa C-88/03, Portogallo contro Commissione), il contesto di riferimento adeguato ai fini della valutazione della selettività regionale della riforma fiscale in questione sia il territorio del Regno Unito o il territorio di Gibilterra. Quanto alla prima condizione fissata in detta sentenza (autonomia istituzionale), il Tribunale constata che le autorità competenti di Gibilterra che hanno ideato la riforma fiscale dispongono, sul piano costituzionale, di uno statuto politico e amministrativo distinto da quello del governo centrale del Regno Unito. Per quanto riguarda la seconda condizione (autonomia procedurale), il Tribunale ricorda che quest’ultima è soddisfatta in quanto la riforma fiscale è stata concepita senza che il governo centrale del Regno Unito possa intervenire direttamente sul suo contenuto. A tale riguardo, il Tribunale rileva che il potere residuo del Regno Unito di legiferare a Gibilterra e i diversi poteri concessi al governatore di Gibilterra devono essere interpretati come mezzi che consentono al Regno Unito di assumersi le sue responsabilità nei confronti della popolazione di Gibilterra e di eseguire i suoi obblighi rientranti nel diritto internazionale, e non come mezzi che concedono una capacità d’intervento diretto sul contenuto di una misura fiscale adottata dalle autorità di Gibilterra, tanto più che tali poteri residui non sono mai stati esercitati in materia fiscale. Riguardo alla terza condizione (autonomia economica e finanziaria), quest’ultima esige che le eventuali conseguenze economiche dell’introduzione della riforma fiscale per Gibilterra non siano compensate da sovvenzioni o contributi provenienti da altre regioni o dal governo centrale del Regno Unito. Il Tribunale constata che nessuno dei finanziamenti richiamati dalla Commissione serve a compensare le eventuali conseguenze economiche che la riforma fiscale comporterebbe per Gibilterra. Di conseguenza, tenuto conto dell’osservanza delle tre condizioni della sentenza sul regime fiscale delle Azzorre, il Tribunale conclude che il contesto di riferimento per valutare la selettività regionale della riforma fiscale in questione corrisponde esclusivamente ai limiti geografici del territorio di Gibilterra e che, pertanto, non può essere effettuata alcuna comparazione tra il sistema fiscale applicabile alle imprese situate a Gibilterra e quello applicabile alle imprese aventi sede nel Regno Unito, al fine di dimostrare l’esistenza di un vantaggio selettivo a favore delle prime. Peraltro, riguardo alla selettività materiale della riforma fiscale in questione, il Tribunale osserva che la qualifica di selettiva di una misura fiscale da parte della Commissione presuppone un’analisi in tre fasi. In un primo tempo, la Commissione deve identificare ed esaminare il regime comune o «normale» del sistema fiscale applicabile nell’area geografica che costituisce il contesto di riferimento pertinente. È in rapporto a tale regime fiscale comune o «normale» che la Commissione è tenuta, in un secondo tempo, a dimostrare l’eventuale carattere selettivo del vantaggio concesso dalla misura fiscale in questione, provando che tale misura deroga a detto regime comune e introduce così differenziazioni tra operatori economici che si trovano in una situazione fattuale e giuridica analoga. Inoltre, anche qualora la Commissione dimostri l’eventuale esistenza di deroghe al regime fiscale comune o «normale» che comporta una distinzione tra imprese, è possibile tuttavia che una differenziazione siffatta non sia selettiva se essa risulta dalla natura o dalla struttura del sistema di oneri in cui essa si inserisce. In questa ipotesi, spetta allo Stato membro interessato dimostrare che le distinzioni in questione sono giustificate dalla natura e dalla struttura del suo sistema fiscale. A tale riguardo, la Commissione deve accertare, in una terza fase, che tale sia effettivamente il caso. Il Tribunale aggiunge che, nel caso in cui la Commissione ometta di realizzare la prima e la seconda fase della summenzionata analisi, essa non può avviare la terza e ultima fase per non oltrepassare i limiti del suo controllo. Infatti, un approccio siffatto potrebbe, da un lato, consentire alla Commissione di sostituirsi allo Stato membro nella determinazione del suo sistema fiscale e del suo regime comune o «normale» e, dall’altro, di mettere così lo Stato membro nell’impossibilità di giustificare le differenziazioni in questione in base alla natura e alla struttura del sistema fiscale notificato, dal momento che la Commissione non avrebbe previamente né identificato il suo regime comune o «normale» né dimostrato il carattere derogatorio di dette distinzioni. Avendo constatato che la Commissione non ha né previamente identificato né rimesso in discussione la qualificazione da parte delle autorità di Gibilterra del sistema fiscale notificato come regime comune o «normale», il Tribunale ritiene che fosse impossibile per tale istituzione dimostrare che taluni elementi del sistema fiscale notificato avessero carattere derogatorio, e dunque selettivo a priori, rispetto al suo regime comune o «normale». Parimenti, il Tribunale considera che per la Commissione risultava altresì impossibile valutare correttamente se eventuali differenziazioni tra imprese potessero essere giustificate dalla natura o dalla struttura del sistema fiscale notificato, poiché la Commissione non lo ha previamente né identificato né esaminato. Peraltro, il Tribunale rileva che la Commissione, non avendo rispettato la summenzionata analisi in tre fasi, ha superato i limiti del proprio controllo, tenuto conto della portata della competenza delle autorità di Gibilterra in merito alla determinazione del suo sistema fiscale e del suo regime comune o «normale». Infatti, non avendo utilizzato come punto di partenza della sua analisi sulla selettività materiale il regime che i ricorrenti hanno qualificato, nella fattispecie, come regime fiscale comune o «normale» e avendo omesso di identificare detto regime e di esaminarne la fondatezza, la Commissione ha imposto la propria logica riguardo al contenuto e al funzionamento del sistema fiscale notificato. Per questi motivi, il Tribunale considera che la Commissione non ha dimostrato l’esistenza di vantaggi selettivi derivanti dai tre aspetti controversi della riforma fiscale e, tenuto conto altresì della sua valutazione relativa alla selettività regionale, esso annulla in toto la decisione della Commissione .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: AIUTI ALLA RYANAIR  
 
Il 17 dicembre 2008 la sentenza del Tribunale di primo grado nella causa T‑196/04 (Ryanair Ltd / Commissione) ha annullato la decisione della commissione relativa ai vantaggi concessi dalla Regione Vallonia e dall’aeroporto di Charleroi alla Ryanair. Il rifiuto della Commissione di esaminare congiuntamente i vantaggi concessi dalla Regione Vallonia e dall’aeroporto di Charleroi, nonché di verificare se, considerati congiuntamente, tali due organismi si siano comportati come operatori razionali in un’economia di mercato, è viziato da un errore di diritto. La Ryanair è la prima e la più importante compagnia aerea low‑cost d’Europa. Nel 2000 sono stati avviati negoziati riguardanti l’installazione della sua prima base continentale a Charleroi (Belgio); questi hanno condotto alla conclusione di un accordo tra la compagnia aerea e la regione Vallonia, proprietaria dell’aeroporto di Charleroi, e di un accordo tra detta compagnia e la Brussels South Charleroi Airport (Bsca), impresa pubblica controllata dalla regione Vallonia che gestisce e sfrutta l’aeroporto in qualità di concessionaria. Con il primo accordo, la regione Vallonia ha concesso alla Ryanair una riduzione dell’ordine del 50% sui diritti d’atterraggio rispetto al livello regolamentare e si è impegnata ad indennizzare la Ryanair per ogni perdita di vantaggi derivanti da un’ulteriore modifica delle tasse aeroportuali. Con il secondo accordo, la Ryanair si è impegnata a basare tra 2 e 4 aerei all’aeroporto di Charleroi e ad effettuare, su un periodo di 15 anni, un minimo di tre rotazioni al giorno e per aereo. Per parte sua, la Bsca si è impegnata a contribuire ai costi sostenuti dalla Ryanair per l’installazione della sua base nonché a fatturare alla Ryanair per la prestazione dei servizi di assistenza in scalo 1 euro per ogni passeggero (in luogo dei 10 euro percepiti dagli altri utilizzatori). In seguito a talune denunce e sulla base di informazioni pubblicate sui mezzi stampa, la Commissione ha esaminato separatamente i due accordi. Ha allora dichiarato che essi comportavano aiuti di Stato a vantaggio della Ryanair, incompatibili con il mercato comune ed ha invitato il Belgio a recuperarli. La Commissione ha constatato, in particolare, che la regione Vallonia aveva concluso il primo accordo con la Ryanair in qualità di pubblica autorità. Essa ne ha tratto la conclusione che il ruolo della Regione, in tale accordo, non poteva essere esaminato applicando il principio dell’investitore privato in economia di mercato. Tale principio, infatti, consente di valutare se un provvedimento statale costituisca aiuto di Stato, cioè se l’impresa beneficiaria riceva un vantaggio economico che essa non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato. Per contro, tale principio non può essere applicato se lo Stato agisce in quanto pubblica autorità, in quanto il suo comportamento non può, in tal caso, mai essere paragonato a quello di un operatore privato in economia di mercato. La Ryanair ha impugnato la decisione della Commissione dinanzi al Tribunale di primo grado. Il Tribunale osserva, anzitutto, che, nei limiti in cui la Bsca è un’entità economicamente dipendente dalla regione Vallonia, la Commissione doveva considerarle come un unico e solo organismo per verificare se esse, congiuntamente considerate, si fossero comportate come operatori razionali in economia di mercato. Il Tribunale constata poi che la regione Vallonia, concludendo il primo accordo con la Ryanair, ha agito nell’ambito di attività di natura economica. Esso considera che la fissazione dell’importo dei diritti d’atterraggio, nonché la garanzia d’indennizzo ad essi collegata, è un’attività direttamente collegata alla gestione delle infrastrutture aeroportuali, che costituisce per sua natura, per il suo oggetto e per la disciplina cui è soggetta, un’attività economica. Il Tribunale precisa al riguardo che gli oneri aeroportuali fissati dalla regione Vallonia devono essere considerati quale retribuzione dei servizi resi in seno all’aeroporto di Charleroi. Il Tribunale dichiara conseguentemente che il solo fatto che tale attività sia eseguita sul demanio pubblico non significa che essa si ricolleghi alle prerogative di pubblica autorità. Del pari, la sola circostanza che la regione Vallonia disponga di poteri di natura regolamentare in materia di fissazione dei diritti aeroportuali non esclude che l’esame di un sistema di sconti su tali diritti debba essere effettuato alla luce del principio dell’investitore privato in economia di mercato, in quanto tale sistema può essere attuato anche da un operatore privato come il concessionario dell’aeroporto. Alla luce di tutte queste considerazioni, il Tribunale conclude che il rigetto da parte della Commissione di esaminare congiuntamente i vantaggi concessi dalla regione Vallonia e dalla Bsca e di applicare il principio dell’investitore privato in economia di mercato ai provvedimenti adottati dalla regione Vallonia, malgrado i vincoli economici che collegano questi due organismi, è viziato da un errore di diritto. Il Tribunale annulla conseguentemente la decisione della Commissione .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: PROTEZIONE DATI E LIBERTÀ DI STAMPA  
 
Il 16 dicembre 2008 la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-73/07 - Tietosujavaltuutettu / Satakunnan Markkinapörssi Oy e altri - precisa il rapporto tra la protezione dei dati personali e la libertà di stampa: il trattamento di dati personali accessibili presso autorità fiscali ai fini della realizzazione di un servizio di Sms che consenta agli utenti di telefoni cellulari di ricevere i dati fiscali di altre persone fisiche può costituire oggetto di una deroga alla protezione dei dati se viene esercitato esclusivamente a scopi giornalistici. Da diversi anni la società Markkinapörssi raccoglie, presso le autorità fiscali finlandesi, dati accessibili al pubblico al fine di pubblicare estratti di tali dati, con cadenza annuale, nelle edizioni regionali del giornale Veropörssi. Tra le informazioni contenute in tali pubblicazioni rientrano nome e cognome di circa 1,2 milioni di persone fisiche aventi un reddito superiore a determinate soglie così come, con un’approssimazione di 100 euro, l’importo del reddito da capitale e da lavoro nonché indicazioni relative all’assoggettamento ad imposta del loro patrimonio. Tali informazioni sono comunicate in forma di elenco alfabetico e classificate per singolo comune e categoria di reddito. La Markkinapörssi e la Satamedia, società detenuta dagli stessi azionisti, alla quale i dati sono stati ceduti sotto forma di Cd‑rom, hanno stipulato un accordo con una società di telefonia mobile che, per conto della Satamedia, ha realizzato un servizio di Sms che consente agli utenti di telefoni cellulari di ricevere sul loro telefono, contro pagamento di circa 2 euro, le informazioni pubblicate nel Veropörssi. Su richiesta, i dati personali vengono ritirati dal servizio in questione. In seguito a reclami di privati che lamentavano la violazione della loro vita privata, il mediatore incaricato della protezione dei dati ha chiesto di vietare alla Markkinapörssi e alla Satamedia di continuare a svolgere le attività relative al trattamento di tali dati personali. La Corte amministrativa suprema finlandese (che deve statuire in ultimo grado sulla domanda) ha sottoposto alla Corte di giustizia alcune questioni sull’esatta interpretazione della Direttiva comunitaria 95/46/Ce relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Essa ha chiesto in sostanza a quali condizioni le attività descritte possano essere considerate come un trattamento di dati effettuato esclusivamente a scopi giornalistici e, pertanto, possano costituire oggetto di deroghe e di limitazioni alla protezione dei dati. Nella sentenza pronunciata oggi, la Corte rileva che le attività della Markkinapörssi e della Satamedia costituiscono un trattamento di dati personali che rientra nella direttiva 95/46/Ce, anche se gli archivi delle pubbliche autorità comprendono solo informazioni già pubblicate in quanto tali nei media. Se così non fosse, la direttiva verrebbe resa ampiamente superflua. Infatti, agli Stati membri basterebbe far pubblicare determinati dati per eludere la tutela prevista dalla direttiva. Inoltre, la Corte fa presente che gli Stati membri, pur consentendo la libera circolazione dei dati personali, devono garantire la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e in particolare la tutela del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento di tali dati. Al fine di conciliare la tutela della vita privata e la libertà di espressione, gli Stati membri sono chiamati a prevedere determinate deroghe o limitazioni alla protezione dei dati, e quindi al diritto fondamentale alla vita privata. È consentito procedere a tali deroghe esclusivamente a scopi giornalistici o di espressione artistica o letteraria, rientranti nel diritto fondamentale della libertà di espressione e soltanto nei limiti in cui esse risultino necessarie per conciliare il diritto alla vita privata con le norme che disciplinano la libertà di espressione. Onde tener conto dell’importanza riconosciuta alla libertà di espressione in ogni società democratica, da un lato, occorre interpretare in senso ampio le nozioni ad essa correlate, tra cui quella di giornalismo. Dall’altro, la tutela del diritto fondamentale alla vita privata richiede che le deroghe e le limitazioni alla tutela dei dati debbano operare entro i limiti dello stretto necessario. In tale contesto, la Corte considera che attività come quelle svolte dalla Markkinapörssi e Satamedia e che riguardano dati provenienti da documenti pubblici secondo la normativa nazionale, possono essere qualificate come «attività giornalistiche» qualora siano dirette a divulgare al pubblico informazioni, opinioni o idee, indipendentemente dal mezzo di trasmissione utilizzato. Esse non sono riservate alle imprese operanti nel settore dei media e possono essere connesse a uno scopo di lucro. Spetta pertanto alla corte amministrativa suprema valutare se le attività oggetto della causa principale abbiano come unica finalità la divulgazione al pubblico di informazioni, opinioni o idee .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: REGISTRO CENTRALIZZATO DEGLI STRANIERI ISTITUITO IN GERMANIA  
 
Il 16 dicembre 2008 la sentenza della Corte di giustizia nella causa C-524/06 - Heinz Huber / Germania – afferma che un registro centralizzato degli stranieri può contenere unicamente dati personali strettamente necessari per l’applicazione della normativa sul diritto di soggiorno. Il trattamento e la conservazione di tali dati relativi ai cittadini dell´Unione a fini statistici o di lotta alla criminalità è contrario al diritto comunitario. L’ordinamento tedesco ha istituito un registro centralizzato (Ausländerzentralregister, Azr) che raccoglie taluni dati personali relativi agli stranieri che soggiornano nel territorio tedesco per un periodo superiore a tre mesi. L’ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati (Bundesamt für Migration und Flüchtlinge) è responsabile della gestione di tale registro e coadiuva, segnatamente, le pubbliche amministrazioni competenti per l’attuazione della normativa in materia di stranieri. In particolare, l’Azr è utilizzato a fini statistici e in occasione dell’esercizio, da parte dei servizi di sicurezza e di polizia e delle autorità giudiziarie, di competenze in materia di azioni giudiziarie e di ricerche relative a comportamenti criminali o che mettano a rischio la pubblica sicurezza. Il sig. Huber, cittadino austriaco, si è stabilito in Germania nel 1996 per esercitarvi la professione di agente assicurativo indipendente. Ritenendosi discriminato perché dati personali che lo riguardano figurano nel registro centralizzato, e in particolare perché per i cittadini tedeschi non esiste una banca dati corrispondente, il sig. Huber ha richiesto la cancellazione di tali dati. La Corte d’appello amministrativa del Land Renania del Nord-westfalia (Oberverwaltunsgericht für das Land Nordhein-westfalen), cui è stata sottoposta la controversia, chiede alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto comunitario del trattamento di dati personali effettuato nell’ambito di un registro centralizzato. La Corte di giustizia constata, innanzi tutto, che i dati in questione sono dati personali ai sensi della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, 95/46/Ce, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. In conformità alla direttiva, il trattamento di questi dati è lecito solo se necessario all’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri. La Corte ricorda che il diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione nel territorio di uno Stato membro di cui egli non ha la nazionalità non è incondizionato e può essere soggetto a limitazioni. Così, il fatto che uno Stato membro disponga di informazioni e di documenti pertinenti relativi agli stranieri ed utilizzi un registro, al fine di coadiuvare le autorità incaricate di applicare la normativa in materia di soggiorno risulta, in linea di principio, legittimo, a condizione che sia rispettato il requisito della necessità a norma della direttiva sulla tutela dei dati personali. La Corte conclude che un sistema di trattamento di dati personali di questo tipo è conforme al diritto comunitario se contiene unicamente i dati necessari per l’applicazione da parte di tali autorità di detta normativa e se il suo carattere centralizzato consente un’applicazione più efficace della normativa in materia di diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione europea non aventi la nazionalità di detto Stato. Per quanto riguarda la conservazione ed il trattamento di tali dati a fini statistici, la Corte osserva che il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di adottare provvedimenti atti a consentire alle autorità nazionali di essere esattamente informate circa i movimenti di popolazione sul loro territorio. Tali statistiche presuppongono la raccolta da parte degli Stati di una certa quantità di informazioni. Tuttavia, l’esercizio di tale competenza non rende per questo necessarie la raccolta e la conservazione dei dati nominativi effettuate nell’ambito del registro in questione. Di conseguenza, la Corte dichiara che un siffatto trattamento dei dati personali non rispetta il requisito della necessità ai sensi della direttiva. Infine, quanto all’impiego dei dati contenuti nel registro per finalità di lotta alla criminalità, la Corte rileva, tra l’altro, che tale obiettivo concerne la repressione dei reati commessi, a prescindere dalla nazionalità dei loro autori. Ebbene, il registro non contiene dati personali dei cittadini dello Stato membro interessato, quindi un impiego per finalità di lotta alla criminalità viola il divieto di discriminazione ed è dunque in contrasto con il diritto comunitario.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: DIRETTIVA SCAMBIO DI QUOTE GAS EFFETTO SERRA  
 
Rispondendo ad una domanda pregiudiziale del Consiglio di Stato francese, la Corte di Giustizia ha deciso che la Direttiva del 2003 che stabilisce un sistema comunitario di scambio delle quote di emissione di gas ad effetto serra non viola il principio di parità di trattamento. L´esclusione del settore chimico (plastica) e di quello dei metalli non ferrosi (alluminio) dal campo di applicazione della direttiva - nella sua prima fase di attuazione - è giustificata. Il legislatore comunitario dispone infatti di un ampio margine di valutazione che si fonda sulla valutazione di dati tecnici e scientifici. (Sentenza della Corte nella causa: C-127/07 Société Arcelor Atlantique et Lorraine e. A / Premier ministre, Ministre de l´Écologie et du Développement durable, Ministre de l´Économie, des Finances et de l´Industrie).  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: TRASFERIMENTO DI SEDE SOCIALE  
 
La sentenza del 16 dicembre 2008 della Corte di giustizia nella causa C-210/06 - Cartesio Oktató és Szolgáltató bt. – afferma che uno stato membro può impedire il trasferimento della sede di una società, costituita ai sensi della sua legislazione, in un altro Stato dell´Unione. Per contro, la libertà di stabilimento consente a una società di trasferirsi in un altro Stato membro ove si converta in una forma di società soggetta al diritto di quest´ultimo Stato, senza che ai fini della trasformazione siano necessari il suo scioglimento e la sua liquidazione, qualora lo Stato membro ospitante lo permetta. La Cartesio è una società di diritto ungherese avente sede a Baja (Ungheria). Essa opera, in particolare, nel settore delle risorse umane, della segreteria, della traduzione, dell’insegnamento e della formazione. L’11 novembre 2005 la Cartesio ha presentato una domanda presso il Bács-kiskun Megyei Bíróság (Tribunale regionale di Bács-kiskun), in funzione di Cégbíróság (Tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese), al fine di formalizzare il trasferimento della sua sede a Gallarate (Italia) e pertanto di modificare l’iscrizione relativa alla sua sede, nel registro delle imprese. Tale domanda è stata respinta in quanto la legge ungherese in vigore non consentiva a una società costituita in Ungheria di trasferire la sede all’estero continuando al contempo a essere soggetta alla normativa ungherese quale legge regolatrice. Secondo il Cégbíróság, un siffatto trasferimento richiederebbe la previa cessazione della società e la sua ricostituzione in conformità alla legislazione dello Stato nel cui territorio essa intende stabilire la nuova sede. La Cartesio ha quindi proposto appello contro tale decisione dinanzi allo Szegedi Ítélőtábla (Corte d’appello regionale di Seghedino), il quale ha chiesto alla Corte di giustizia se la disposizione della legge ungherese che impedisce a una società ungherese di trasferire la sua sede in un altro Stato membro, pur conservando il suo status di società di diritto ungherese, sia compatibile con il diritto comunitario. La Corte rileva che, in assenza di una normativa comunitaria uniforme, uno Stato membro dispone della facoltà di definire sia il criterio di collegamento richiesto a una società affinché essa possa ritenersi costituita ai sensi del suo diritto nazionale e, a tale titolo, possa beneficiare del diritto di stabilimento, sia quello necessario per continuare a mantenere detto status. Tale facoltà include la possibilità, per lo Stato membro, di non consentire a una società soggetta al suo diritto nazionale di conservare tale status qualora intenda riorganizzarsi in un altro Stato membro trasferendovi la sede, sopprimendo in questo modo il collegamento previsto dal diritto nazionale dello Stato membro di costituzione. La Corte dichiara quindi che, allo stato attuale del diritto comunitario, la libertà di stabilimento non osta a che uno Stato membro possa impedire a una società, costituita in forza della legislazione di tale Stato, di trasferire la propria sede in un altro Stato membro conservando al contempo il suo status di società soggetta al diritto del primo Stato. Tuttavia, siffatta ipotesi di trasferimento della sede deve essere distinta da quella relativa al trasferimento di una società appartenente a uno Stato membro verso un altro Stato membro con cambiamento del diritto nazionale applicabile, ove la società si converte in una forma societaria soggetta al diritto nazionale dello Stato membro in cui si trasferisce. Infatti, la libertà di stabilimento consente a una società di trasformarsi in tal modo senza che siano necessari il suo scioglimento e la sua liquidazione nel primo Stato membro, purché lo Stato membro ospitante lo permetta, e a meno che una restrizione a tale libertà non sia giustificata da ragioni imperative di interesse pubblico. Pronunciandosi in merito a questioni connesse al procedimento pregiudiziale, la Corte rileva inoltre che il provvedimento di rinvio pregiudiziale alla Corte da parte di un giudice nazionale può essere soggetto negli Stati membri ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno. Nel caso di specie, le norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione che disponga un rinvio pregiudiziale sono caratterizzate dal fatto che l’intera causa principale resta pendente dinanzi al giudice del rinvio, mentre soltanto la decisione di rinvio è oggetto di un appello limitato. In presenza di siffatte norme di diritto nazionale, incombe al giudice del rinvio trarre le conseguenze di una sentenza pronunciata in secondo grado contro l’ordinanza di rinvio. Ne discende che la Corte, per garantire la chiarezza e la certezza del diritto, deve attenersi al provvedimento di rinvio pregiudiziale finché questo non sarà stato revocato o modificato dal giudice che lo ha emanato, perché solo quest’ultimo può decidere in merito a una siffatta revoca o modifica. Pertanto, la facoltà, per qualsiasi giudice nazionale, di adire la Corte in via pregiudiziale non può essere rimessa in discussione dall’applicazione di norme di diritto nazionale relative al diritto di appello avverso una decisione di rinvio pregiudiziale, che consentono al giudice d´appello di obbligare la giurisdizione inferiore a revocare una domanda di pronuncia pregiudiziale e a proseguire il procedimento nazionale sospeso .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: CAUSE DI ESCLUSIONE DAGLI APPALTI PUBBLICI DI LAVORI  
 
Il 16 dicembre 2008 con la sentenza pronunciata nella causa C-213/07 - Michaniki Ae / Ethniko Symvoulio Radiotileorasis e Ypourgos Epikrateias - la Corte di giustizia ha affermato che il diritto comunitario Elenca, in modo tassativo, le cause di esclusione dalla partecipazione a un appalto pubblico di lavori, basate sulle qualità professionali dell´imprenditore. Uno Stato membro può prevedere tuttavia altre misure di esclusione, dirette a garantire la trasparenza delle procedure e la parità di trattamento tra gli offerenti. La normativa greca esclude dall´aggiudicazione degli appalti pubblici gli imprenditori di lavori pubblici parimenti coinvolti nel settore dei mezzi di informazione, senza lasciar loro nessuna possibilità di dimostrare che non esiste nessun rischio per la concorrenza. Tuttavia le persone che agiscono come intermediari, in qualità di coniugi o parenti, non sono colpiti da questa esclusione qualora dimostrino che la loro partecipazione a una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico dipende da una decisione autonoma, dettata da interessi personali. Nel 2001, la società greca Erga Ose Ae ha bandito una gara d´appalto per la realizzazione di lavori di sterramento e di costruzione delle infrastrutture tecniche della nuova linea ferroviaria doppia ad alta velocità Corinto-kiato. Le società Michaniki Ae e Ki Sarantopoulos Ae hanno partecipato alla gara e quest´ultima, in seguito incorporata dalla Pantechniki, ha ottenuto, nel 2002, l´aggiudicazione dell´appalto. Per concludere il contratto, l’Erga Ose ha chiesto all’Ethniko Symvoulio Radiotileorasis (Consiglio nazionale greco della radiotelevisione) il rilascio di un certificato, che attestasse la mancanza di cause di incompatibilità per la aggiudicazione in persona del sig. K. Sarantopoulos, azionista principale nonché membro del consiglio d´amministrazione e direttore della Pantechniki. Poiché quest´ultimo ha dimostrato la sua autonomia economica rispetto al proprio figlio, sig. G. Sarantopoulos, membro dei consigli di amministrazione di due società greche di mezzi di informazione, il certificato è stato rilasciato. L´impresa Michaniki, concorrente dell´aggiudicataria, ha proposto ricorso dinanzi al Symvoulio tis Epikrateias (Consiglio di Stato greco) per l´annullamento del certificato, sostenendo che le norme greche relative al regime di incompatibilità sarebbero in contrasto con la costituzione greca, la quale prevede che un appalto pubblico non può essere aggiudicato ad imprese i cui proprietari, azionisti principali, soci ecc. Siano parenti o persone che agiscano quali intermediari di proprietari, azionisti principali e soci di imprese di mezzi d’informazione. Il Symvoulio tis Epikrateias ha quindi proposto alla Corte di giustizia diverse questioni in merito alla compatibilità del diritto greco con la direttiva (Direttiva 93/37/Cee del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori come modificata dalla Direttiva 97/52/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1997) concernente l’aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori. La Corte ricorda anzitutto che scopo della direttiva è quello di aprire alla concorrenza il settore degli appalti pubblici di lavori e di garantire l´assenza di rischi di favoritismi da parte dei pubblici poteri. Di conseguenza, quest´ultima prevede diverse cause di esclusione dalla partecipazione per un imprenditore, basate su considerazioni oggettive di natura professionale (onestà, solvibilità, capacità economica e finanziaria). Tuttavia, uno Stato membro può prevedere altre cause di esclusione, che non possono eccedere però quanto necessario per conseguire lo scopo della direttiva. Tenendo conto delle caratteristiche storiche, giuridiche, economiche o sociali ad esso specifiche, lo Stato si trova nelle condizioni migliori per individuare le situazioni che possono minacciare la trasparenza degli appalti e falsare la concorrenza. Nel caso di specie, la legge greca intende evitare che, in sede di aggiudicazione di un appalto pubblico, un´impresa di mezzi di informazione o un imprenditore di lavori pubblici, collegato a un´impresa del genere o a persone che la detengono o la dirigono, utilizzi la propria posizione nel settore dei mezzi di informazione per influenzare illecitamente la decisione di aggiudicazione dell´appalto. In base a tali considerazioni, la Corte dichiara che la direttiva deve essere interpretata nel senso che essa elenca, in modo tassativo, le cause di esclusione dalla partecipazione a un appalto pubblico di lavori, basate su criteri di natura professionale. Tuttavia, essa non osta a che uno Stato membro preveda, nel rispetto del principio di proporzionalità, altri provvedimenti di esclusione diretti a garantire la trasparenza e la parità di trattamento degli offerenti. Alla luce di ciò, il diritto comunitario osta a una disposizione nazionale che introduca una presunzione assoluta di incompatibilità generale tra il settore dei mezzi di informazione e quello degli appalti pubblici. Il provvedimento che non riconosca agli imprenditori, che svolgono un´attività nel settore dei mezzi di informazione o sono collegati a una persona coinvolta in tale settore, la facoltà di dimostrare la mancanza di rischi effettivi per la trasparenza delle procedure e per la concorrenza tra gli offerenti è infatti incompatibile con il principio di proporzionalità .  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: COMPENSAZIONE PASSEGGERI PER CANCELLAZIONE VOLO  
 
Il 22 dicembre 2008 la sentenza della Corte di giustizia nella causa C–549/07 - Friederike Wallentin-hermann / Alitalia – afferma che un vettore aereo non può, come regola generale, rifiutarsi di compensare pecuniariamente i passeggeri in seguito ad una cancellazione del volo causata da problemi tecnici dell’aeromobile. La compensazione pecuniaria può tuttavia essere rifiutata se i problemi tecnici derivano da eventi che, per la loro natura o la loro origine, non sono inerenti al normale esercizio dell’attività del vettore aereo e sfuggono al suo effettivo controllo. Il regolamento 11 febbraio 2004, n. 261, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato dispone che, in caso di cancellazione del volo, ai passeggeri coinvolti spetta una compensazione pecuniaria da parte del vettore aereo, a meno che essi siano stati tempestivamente informati della cancellazione del volo. Tuttavia, un vettore aereo non è tenuto a pagare tale compensazione pecuniaria se dimostra che la cancellazione è dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. La sig. Ra Wallentin-hermann ha prenotato, presso l’Alitalia, per se stessa, suo marito e sua figlia, tre posti su un volo in partenza da Vienna (Austria) e diretto a Brindisi, con scalo a Roma. La partenza da Vienna era prevista per il 28 giugno 2005 alle ore 6. 45 e l’arrivo a Brindisi era programmato per lo stesso giorno alle 10. 35. Già dopo il check-in, cinque minuti prima dell’ora di decollo prevista, i tre passeggeri sono stati informati che il loro volo era stato cancellato. In seguito, sono stati trasferiti su un volo della compagnia Austrian Airlines per Roma, dove sono giunti alle 9. 40, ossia 20 minuti dopo l’ora di partenza della loro coincidenza per Brindisi, che hanno quindi perso. La sig. Ra Wallentin-hermann e la sua famiglia sono giunti a Brindisi alle 14. 15. La cancellazione del volo dell’Alitalia in partenza da Vienna era dovuta ad un complesso guasto al motore, con conseguenze sulla turbina, scoperto il giorno precedente nel corso di una verifica. Alitalia ne era stata informata la notte precedente al volo. La riparazione dell’aeromobile, che ha richiesto la spedizione di pezzi di ricambio e l’invio di tecnici, è stata completata l’8 luglio 2005. A fronte del rifiuto dell’Alitalia di corrisponderle una compensazione pecuniaria di Eur 250, nonché di Eur 10 per spese telefoniche, la sig. Ra Wallentin-hermann ha avviato un procedimento giudiziario. Dopo che l’Alitalia ha interposto appello avverso la sua condanna in primo grado, la Corte d’appello civile in materia commerciale di Vienna deve ora decidere se i problemi tecnici sfociati nella cancellazione del volo rientravano nelle «circostanze eccezionali» che esonerano dalla compensazione pecuniaria. Tale giudice ha adito la Corte di giustizia delle Comunità europee affinché interpreti detta nozione. Nella sua odierna sentenza, la Corte constata che, tenuto conto delle particolari condizioni in cui si svolge il trasporto aereo e del grado di sofisticatezza tecnologica degli aeromobili, i vettori aerei devono regolarmente fare fronte, nell’esercizio della loro attività, a svariati problemi tecnici inevitabilmente connessi al funzionamento di tali apparecchi. Risolvere un problema tecnico causato da una carenza nella manutenzione di un apparecchio deve quindi essere considerato inerente al normale esercizio dell’attività del vettore aereo. Di conseguenza, problemi tecnici emersi in occasione della manutenzione degli aeromobili, o a causa di una carenza di manutenzione, di per sé non possono costituire «circostanze eccezionali». Non si può tuttavia escludere che problemi tecnici rientrino in «circostanze eccezionali», purché essi discendano da eventi non inerenti al normale esercizio dell’attività del vettore aereo in questione e sfuggano all’effettivo controllo di quest’ultimo. Così sarebbe, ad esempio, nel caso in cui il costruttore degli apparecchi che costituiscono la flotta del vettore aereo in questione, o una competente autorità, rivelasse che tali apparecchi, già in servizio, presentano un vizio di fabbricazione nascosto che incide sulla sicurezza dei voli. Così sarebbe altresì in presenza di danni cagionati agli aeromobili da atti di sabotaggio o di terrorismo. La Corte spiega che, atteso che non tutte le circostanze eccezionali determinano un esonero, spetta a colui che vuole avvalersene dimostrare che, anche mettendo in campo tutti i mezzi di personale, di materiale e di risorse finanziarie di cui disponeva, egli non avrebbe palesemente potuto evitare, se non a pena di acconsentire a sacrifici insopportabili per le capacità della sua impresa nel momento pertinente, che le circostanze eccezionali cui doveva far fronte comportassero la cancellazione del volo. La circostanza che un vettore aereo abbia rispettato i requisiti minimi di manutenzione di un aeromobile non è di per sé sufficiente per dimostrare che tale vettore ha adottato tutte le misure del caso per liberarlo dall’obbligo di pagare una compensazione pecuniaria.  
   
   
GIUSTIZIA EUROPEA: RIFIUTI FERROSI (CAUSA C- 283/07 COMMISSIONE/ITALIA)  
 
Lo scorso 22 dicembre 2008 la Corte di Giustizia ha dichiarato che l´Italia, avendo sottratto a priori i rottami destinati ad attività siderurgiche e metallurgiche e il combustibile da rifiuti di qualità elevata (Cdr-q) dall’ambito di applicazione della legislazione italiana sui rifiuti di trasposizione della Direttiva 75/442, è venuta meno agli obblighi derivanti dalla medesima direttiva. L’art. 1 della Direttiva 75/442 definisce "rifiuto"qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. La Legge n. 308/04 dispone che i rottami, derivanti come scarti di lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche,e sottopone al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, i rottami dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici. La normativa italiana sottrae, inoltre, dalla definizione di rifiuto, il combustibile da rifiuti di qualità elevata (Cdr-q), destinato all´effetivo utilizzo in co-combustione. Ricordiamo che l’abrogazione delle disposizioni controverse operata dal Decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, recante disposizioni correttive ed integrative del Decreto legislativo n. 152/06, non produce effetti sul ricorso in esame, poiché è intervenuta soltanto dopo che erano scaduti i termini fissati nel parere motivato e nel parere motivato complementare, e persino dopo la presentazione del ricorso.  
   
   
GIUSTIZIA INTERNAZIONALE: NO A CONSERVAZIONE ILLIMITATA DNA  
 
Conservare senza limiti di tempo profili del Dna, campioni biologici e impronte digitali viola il diritto alla privacy, soprattutto nel caso di minori. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell´uomo, con la sentenza n. 880 del 4. 12. 2008, definendo il ricorso di due cittadini inglesi, uno dei quali minore, accusati rispettivamente di molestie e di tentato furto, che avevano chiesto invano alla polizia inglese la distruzione delle impronte digitali e dei campioni di Dna raccolti al momento dell´arresto e conservati anche dopo la chiusura, con assoluzione, del procedimento penale a loro carico. I due cittadini si erano visti rigettare la richiesta dalla polizia in base ad una legge nazionale che consente il prelievo e la conservazione di questi campioni senza limiti di tempo nella banca dati inglese del Dna. La Corte, all´unanimità, ha riconosciuto la violazione del diritto alla vita privata ai sensi dell´articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti umani del 1950. I giudici di Strasburgo hanno sottolineato, in particolare, che i profili di Dna permettono di risalire all´origine etnica e ricostruire i legami familiari, il che rende la conservazione più delicata e suscettibile di ledere il diritto alla riservatezza anche di terzi. Nella sentenza, inoltre, i giudici europei hanno rilevato che Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord sono i soli paesi in Europa a consentire la conservazione illimitata delle impronte digitali e dei prelievi di Dna di qualsiasi persona sospettata di aver commesso un reato, indipendentemente dall´età, natura e gravità del reato specifico. I giudici hanno considerato, poi, particolarmente preoccupante il rischio di stigmatizzazione, derivante dal fatto che persone innocenti siano state trattate alla stregua di criminali. Per tutti questi motivi la Corte ha considerato che la conservazione indiscriminata e senza limiti temporali dei profili del Dna e di altri elementi biometrici costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita privata e non può ritenersi accettabile in una società democratica, né proporzionata alle finalità di tutela della sicurezza pubblica. La Corte ha chiesto alla Gran Bretagna di adottare tutte le misure necessarie per dare seguito alla sentenza .